di Erminio Quartiani*
Concordo con chi ha sostenuto che nel PD è uscita sconfitta una linea di subalternità al populismo accentuatasi nella fase conclusiva del Conte 2, o meglio che il PD è imploso a causa della impraticabilità del terreno dell’accordo strategico PD-M5S. Ma voglio anche osservare che Il Governo Draghi si è dovuto insediare per iniziativa del Presidente della Repubblica per demerito di tutti, non solo del PD, visto che il Conte2 era figlio di tutti i soggetti del centrosinistra che lo avevano promosso nel 2019, non solo del PD.
Dico anche chiaramente a chi ha sostenuto che il governo Draghi è un governo riformista, che questa è una lettura sbagliata e ideologica, perché il Governo Draghi è semplicemente un Governo per l’Italia e la sua salvezza, non solo dalla pandemia, per il varo del Pnrr e il rafforzamento del Paese nel rapporto con i partner europei e d’Oltreatlantico.
Perciò non ideologizziamo il ruolo di Draghi. Sarebbe sbagliato per noi riformisti e per la riuscita dei compiti che è stato chiamato ad assolvere con la fiducia larghissima del Parlamento. Si discute della durata del Governo. E anche quando non lo si fa esplicitamente, c’è chi spera in un tempo breve di vita del governo per poi andare al voto, chi per evocare il termine al febbraio 2022 a scadenza del settennato di Mattarella e chi per provare a ipotizzare candidature alla presidenza della Repubblica diverse da quella dell’attuale Presidente del Consiglio. In ogni modo quel che è certo è che il Governo ha bisogno di tutto il sostegno per ottenere risultati in campo sanitario, sociale, economico e delle politiche di sostenibilità tali da poter influenzare il corso di qualsiasi governo possa succedergli durante una legislatura a scadenza naturale o persino a scadenza più ravvicinata. Il che è condizione essenziale per attuare politiche riformiste e dare avvio alle riforme che l’Europa invoca in cambio del Pnrr che ha come orizzonte il 2026.
Nessun governo futuro potrà così prescindere da ciò che verrà avviato dal Governo Draghi. Si pensi solo a quanto potranno fare i due nuovi ministeri della transizione ecologica e di quella digitale (che non sono stati promossi con la legge di riorganizzazione del governo per dare loro e alle loro scelte un respiro breve). Non credo tuttavia che, anche per ciò, dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, sia obbligata la strada del voto anticipato, perché occorrerà dare continuità a quanto avviato dal governo Draghi per uscire dall’emergenza pandemia, per dare attuazione certa al Pnrr e al NGEU, per rilanciare su basi rinnovate l’economia del Paese.
Lo spazio della legislatura che va a conclusione naturale, oltre che essere garanzia di attuazione delle riforme che richiamava Morando, è anche la condizione perché si possano realizzare la riforma dei regolamenti parlamentari per stabilire un nuovo rapporto tra esecutivo e parlamento, e soprattutto si possa dar vita a una nuova legge elettorale. Anche i partiti disporrebbero del tempo per consolidare i cambiamenti attesi e già fortemente intervenuti (sia nel PD sia nella la Lega come nel M5S in particolare), per predisporre una competizione bipolare.
Io penso che il Pd debba tornare a proporsi come il partito dei riformisti, perno di un rinnovato centrosinistra che allarga le proprie alleanze. Condizione questa per esercitare una funzione coerente con quella di un partito che persegue una vocazione maggioritaria. Ho qualche dubbio sulla formula pronunciata da Letta nel suo discorso di insediamento: “liberali nella cultura, riformisti nel metodo, radicali nei comportamenti”. Sarebbe meglio dire “democratici nei comportamenti”, se vogliamo che il PD intenda ascoltare e rappresentare quella parte della società alla quale offrire soluzioni di governo dei processi profondamente sconvolgenti in atto nel mondo della produzione, nelle forme delle relazioni sociali e nell’ambiente a seguito dei cambiamenti climatici, offrendole ai principali attori dell’economia e del lavoro.
Infine tre osservazioni conclusive.
La prima riguarda la riforma elettorale. D’accordo sul maggioritario. Ma anch’io, come Paolo Segatti, insisterei sull’uninominale, cioè sul sistema elettorale, non solo sul metodo di assegnazione dei seggi, perché anche il Porcellum era Maggioritario!
La seconda: meglio il doppio turno, certo. Ma non disdegnerei, nelle condizioni date, uno sbocco che portasse a un ritorno del Mattarellum, magari rivisitato nel senso di lasciare spazio alla rappresentanza delle minoranze marginali, elettoralmente parlando.
Infine, per competere con la Lega e il centrodestra nei territori, riprenderei il tema del federalismo solidale e cooperativo, per superare la deriva centralista imboccata dal governo precedente, poco confacente all’organizzazione sociale del nostro paese e alla sua tradizione autonomista (a maggior ragione se si prospetta una riforma della sanità).
*Deputato per tre legislature nelle fila dei Ds e del Pd
Intervento alla Presidenza Nazionale di LibertàEguale – 20/03/2021