di Giovanni Cominelli
Linkiesta di Christian Rocca conduce da tempo una preziosa campagna per “far finire la stagione del bi-populismo”, la peggiore della storia nazionale, Ventennio a parte. Qual è la via regia? Quella del ritorno al sistema elettorale proporzionale. Di qui, la proposta di un DDL proporzionale – questo il titolo provocatorio del dibattito coordinato da Sergio Scalpelli – presentata da Orfini, Taradash, Cundari, nel corso de Linkiesta- Festival di Milano del 12-13 novembre. I quali hanno discusso “sui mali prodotti dal sistema maggioritario” e sulla “necessità di ricostruire l’identità dei partiti e di evitare gli effetti funesti del taglio dei parlamentari”.
Secondo Cundari, la prima patologia del sistema politico è che esso cambia legge elettorale ad ogni stormir di fronda. In ogni caso, “in Italia il sistema maggioritario non ha mai veramente funzionato”. Per di più “…col maggioritario abbiamo costruito un sistema dove è venuto meno il senso dei partiti che nascono e muoiono alla velocità della luce”. Inoltre: “Il meccanismo maggioritario avrebbe dovuto costituzionalizzare le estreme, ciascuno dei due poli avrebbe legittimato l’altro. Invece è accaduto il contrario. Dobbiamo ammettere che il sistema è paralizzante e centrifugo”.
Per Orfini serve una legge proporzionale, “perché il maggioritario ha portato a una tensione oligarchica nel nostro Paese: le classi dirigenti sono sempre le stesse, l’astensionismo è aumentato e alla fine vota solo la parte di italiani che sta bene, o almeno meno male rispetto agli altri. (NR: che c’entra con il sistema elettorale?). Il maggioritario ha indebolito i partiti, gli strumenti attraverso cui la partecipazione dei cittadini dovrebbe manifestarsi”.
Anche Marco Taradash ha sparato a zero contro il maggioritario – i partiti sono delle oligarchie non democratiche – ma con argomenti che valgono, anche e soprattutto contro il sistema proporzionale.
La pars construens si legge in filigrana in quella destruens: il sistema elettorale proporzionale consente di ricostruire una nuova identità dei partiti, di aumentare la partecipazione alla politica e, dulcis in fundo, di impedire alla destra sovranista e nazionalista di vincere le prossime elezioni.
Quali sono le fragilità intrinseche di questo “philosophari” per un ritorno al sistema elettorale proporzionale? Il sospetto è che, in realtà, siano qui di gran lunga prevalenti le necessità del “primum vivere” dei Riformisti, oggi minoritari e frammentati, non per colpa del sistema elettorale. Sul tavolo riformista sono sparse molte tessere, che rifiutano ostinatamente di ricomporsi in un mosaico unitario. In questo caso, trattandosi di tessere della dimensione del 2-3%, un sistema elettorale proporzionale puro consentirebbe loro di contarsi e poi, forse, di aggregarsi. Forse…
Ma il “philosophari” dei proporzionalisti-dalemiani di ritorno non tiene, sia nella pars destruens sia nella pars construens.
La pars destruens: il rimprovero ai partiti di continuare a manipolare le leggi elettorali al solo scopo di vincere é mosso dalla stessa logica: per sopravvivere in parlamento come Riformisti o per impedire la formazione di un governo a egemonia bi-populista.
Ancora: le coalizioni del maggioritario erano “false”, perché all’indomani della vittoria non funzionavano più? Esattamente come quelle formate su base proporzionale. L’unica differenza è che queste ultime cambiavano il governo ogni nove mesi, le maggioritarie ogni 17 mesi, stando alla media.
Ancora: i partiti sono oligarchie non democratiche dal 1943, ben prima del sistema maggioritario. I partiti democratici da allora non sono mai stati regolati da nessuna legge… democratica.
Insomma, la pars destruens è tutta fatta di argomenti a porta girevole.
Ma é la pars construens il problema.
Se il governo Draghi è ciò che dobbiamo difendere e prolungare al massimo, fino al 2023 e oltre, si deve constatare che esso non è nato dal sistema elettorale, né maggioritario né proporzionale. E’ il prodotto del semi-presidenzialismo de facto, garantito dal funzionamento a fisarmonica della Costituzione materiale, previsto dalla Costituzione. Un semi-presidenzialismo all’italiana. Lo sforzo dei riformisti dovrebbe tendere a trasformare il “de facto” nel “de jure”. Diversamente, nessun sistema elettorale potrà garantire la durata quinquennale di un governo. Sennò, addio Draghi! Nessuna riforma del sistema elettorale può fare fronte alla lunga e patologica crisi della democrazia italiana, forte nel rappresentare, debolissima nel governare. Sono le istituzioni della democrazia il problema, non i partiti; è la seconda parte della Costituzione da aggiornare/modificare profondamente. Per una ragione molto semplice: il sistema sociale, quello politico, quello istituzionale costituiscono il sistema-Paese, appunto. Pensare di spezzare l’organizzazione neo-corporativa della società italiana – in ciò consiste il riformismo! – senza cambiare il sistema politico che l’ha modellata, senza modificare il sistema istituzionale che garantisce e riproduce il sistema politico, è pura illusione. L’illusione di un avvenire. La partecipazione dei cittadini? Che cosa c’è di più democratico del potere di scegliere direttamente con due schede in mano, con una il Presidente della Repubblica e con l’altra il proprio rappresentante in Parlamento? Obiezione dei riformisti-proporzionalisti: e se poi vince una maggioranza sovranista-populista? Se vinceranno i populisti, gli Italiani faranno esperienza per i prossimi cinque anni della loro politica fallimentare e noi – ahi! – con loro. Ma è la democrazia, bellezza! O un’élite, che si pretende democratica, ha ricevuto dalla Storia la missione di impedirlo? A meno che la tesi-previsione sia che stia arrivando al potere il fascismo. In questo caso, serve ben altro che il ritorno al sistema elettorale proporzionale.
La stabilità dei governi? Se un Presidente è eletto direttamente dai cittadini-elettori, sta lì per cinque anni, qualsiasi terremoto accada dentro il sistema politico. Vedi Francia. Il destino dei partiti? Possono dedicarsi a costruire radici sociali e culturali, formare classe dirigente, preparare i candidati da proporre al voto diretto dei cittadini. Fine della partitocrazia, inizio di una nuova rifondazione dei partiti. Fine dell’occupazione dello Stato, radicamento nella società.
Fa capolino una domanda maliziosa: è il fascismo che sta tornando o è D’Alema, via-nipotini?!
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.