di Stefano Ceccanti
Paolo Armaroli non ci delude neanche stavolta e con la sua consueta prosa brillante, in cui scioglie anche i tecnicismi del diritto, ci porta tra Montecitorio e il Quirinale. L’inizio è sulla prima elezione di Mattarella per iniziativa di Matteo Renzi sette anni fa e lo svolgimento ha come momento più teso, forse anche più drammatico, il veto alla nomina di Paolo Savona come ministro dell’Economia nel governo Conte 1, autore di un piano per l’uscita surrettizia dall’Euro. Sembra un racconto di un secolo fa, visto che attualmente Lega e M5s sostengono un governo guidato da Mario Draghi e che i parlamentari M5s sono stati obiettivamente tra i protagonisti della rielezione del Presidente. Eppure Armaroli ricorda molto bene e con pignoleria a pagina 28.
Mentre Conte e Salvini subiscono la decisione del Presidente egli mette in atto la “manovra diversiva” dell’incarico a Cottarelli (p. 28) che li costringe a una precipitosa marcia indietro, tornando indietro anche rispetto alla reazione emotiva e insensata del M5s di chiedere addirittura la messa in stato di accusa del Presidente (p. 29). Relativamente più tranquilli, ma fino a un certo punto, i passaggi gestiti da Mattarella tra Conte 1 e 2 e, infine, a Draghi. Armaroli passa quindi a raccontarci il bis di Mattarella e la congiunzione astrale con l’elezione simultanea alla presidenza della Corte costituzionale di Giuliano Amato che, insieme a Mario Draghi alla guida del Governo, formano un trittico fondamentale per la tenuta del Paese. La rielezione di Mattarella, per una spinta dal basso dei parlamentari recepita solo dopo dai vertici, come puntualmente spiegato, specie a pag. 47 (ma anche a p. 64 con la notazione che da Mattarella vanno solo i capigruppo parlamentari e non anche i segretari) consente la continuità dell’azione di Draghi. L’autore ha qualche momento di sincero stupore per la totale approssimazione con cui il centrodestra gestisce l’operazione Casellati, il cui esito è appunto definito “catastrofico” (p. 52). Di suo Armaroli ci aggiunge qualche elemento di stupore per il fatto che la Casellati, pur potendo, non abbia mai votato (p. 53).
Obiettivo polemico dell’autore è soprattutto il confuso e scriteriato movimentismo di Salvini (p. 57). Bilancio positivo, invece, per Draghi, che avrebbe potuto rischiare altrimenti un ombrello “meno solido per ripararsi dalla pioggia” (p. 63) di partiti così diversi uniti nella maggioranza. Finita la parte di stretta attualità Armaroli torna indietro nella storia repubblicana e ci propone un ritratto dei vari Presidenti che si sono succeduti. Si passa quindi dalla tendenza di De Nicola a presentare spesso dimissioni, il monarchico alla guida della repubblica per unire il Paese (p. 80) a Einaudi, facitore del primo Governo del Presidente, quello di Pella nel momento di difficoltà del centrismo dopo le elezioni del 1953 (p. 88), a Gronchi “uomo del Parlamento per eccellenza” (p. 94) e che finisce per avere rapporti “altalenanti” coi governi che si succedono finché non matura pienamente il centro-sinistra (p. 97) e allora esso va accompagnato da un bilanciamento moderato al Quirinale individuato in Segni (p. 101). Si passa quindi a Saragat che salva la formula di centrosinistra (p. 116), a Leone, il cui mandato invece inizia con una flessione verso il centrodestra dell’equilibrio politico (p. 131) ma che rapidamente vede il quadro politico maturare verso la solidarietà nazionale col Pci.
Ritratti azzeccati nella sintesi anche quelli di Pertini , il primo ad accompagnare la nascita di esecutivi non a guida dc, di Cossiga che accresce il proprio interventismo solo dopo la fine obiettiva del primo sistema dei partiti del 1989 che però tenta invano di sopravvivere nell’immobilismo, nonostante l’invito al cambiamento nel messaggio presidenziale del 1991, rivalutato giustamente solo ma solo di recente (p. 165). Infine Scalfaro, eletto per riaffermare con forza il primato del Parlamento ma che poi si trova a espandere ben oltre Cossiga la fisarmonica dei poteri presidenziali (p. 172), Ciampi, con un’elezione da unità nazionale per molti versi inaspettata e Napolitano, il primo ad avere un bis a causa dell’impotenza del sistema dei partiti. Non sarebbe stato l’ultimo. Il problema, ma qui andiamo oltre Armaroli, è se il Governo Draghi, anche con l’ombrello di Mattarella, si rivelerà solo una cronicizzazione dell’emergenza, con inamovibilità dei tecnici e della stampella presidenziale o avremo poi una nuova fisiologia dell’alternanza in cui le forze politiche, una volta messi in sicurezza i fondamentali, potrebbero finalmente alternarsi con riforme coerenti con l’Eurozona e senza dinamiche stagnanti o distruttive.
Paolo Armaroli, “Mattarella 1 e 2. L’ombrello di Draghi. Ritratto a matita di 12 Presidenti”, La Vela, Lucca 2022
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.