di Vittorio Ferla
Il 30 novembre 2019 potrebbe essere forse l’ultimo passo verso la fine della Grosse Koalition tedesca. Il governo di Angela Merkel è in dubbio dopo l’elezione di Norbert Walter-Borjans e Saskia Esken, esponenti della sinistra interna, alla guida della Spd, socio minore della coalizione di governo. I due nuovi leader vogliono rinegoziare i termini dell’alleanza e chiedono importanti concessioni da parte dei cristiani democratici della CDU, senza le quali si dicono pronti a staccare la spina all’esecutivo. La risposta della controparte non si è fatta attendere. Paul Ziemiak, segretario generale della Cdu, ha dichiarato: “Il nostro obiettivo è governare bene la Germania. E le basi per farlo sono scritte nel nostro accordo di coalizione. Questa decisione interna dell’SPD non cambia nulla al riguardo”. Più chiaro di così.
La crisi della socialdemocrazia tedesca
Ma che cosa sta succedendo nella socialdemocrazia tedesca? Dalla fine della Seconda guerra mondiale i partiti socialdemocratici – insieme ai partiti democratici di centro -destra – hanno dominato i parlamenti nazionali in tutta Europa, assicurando la stabilità politica nel continente.
A partire dal 2010, tuttavia, è cominciato il declino: in alcuni paesi come la Francia, l’Olanda e la Repubblica ceca i partiti socialdemocratici sono scesi sotto il 10% dei consensi. In altri paesi come la Germania e l’Italia, i partiti di centrosinistra registrano perdite ingenti con una riduzione dell’elettorato alla metà dei voti di dieci anni fa. Nel 2002 l’Spd ottenne il sostegno di circa il 38 percento dell’elettorato, ma alle elezioni federali del 2017 ha ottenuto solo il 20,5% dei voti. Alle elezioni europee del 26 maggio 2019, il Partito verde tedesco ha battuto la Spd con il 20,5% rispetto al 15,8%. Lo stesso giorno, la Cdu della cancelliera tedesca Angela Merkel sconfisse i socialdemocratici a Brema, roccaforte tradizionale del centrosinistra negli ultimi settantatre anni.
Una serie di sconfitte senza precedenti, insomma, per il più antico partito politico tedesco, artefice di conquiste sociali decisive come le pensioni per tutti e l’accesso universale all’istruzione. Gli ultimi anni di governo con la CDU della Merkel in una “Grosse Koalition” (detta “GroKo” in tedesco) hanno eroso profondamente i consensi elettorali.
Ma le radici della crisi sono lontane. Secondo i dati dell’istituto di ricerca tedesco “Statista”, l’Spd contava 943.402 iscritti nel 1990, 734.667 nel 2000, 502.062 nel 2010. Alla fine del 2018, gli iscritti si sono ridotti a 437.754. Praticamene la metà rispetto al 1990. Sul piano elettorale, se nel 1998 il partito raggiungeva il 40 percento del voto nazionale, oggi è più che dimezzato. “Il voto più giovane, cittadino e istruito – ricorda Fernando D’Aniello, ricercatore universitario e osservatore della politica tedesca per la rivista Il Mulino – sembra andare ai Grünen, mentre fette consistenti dell’elettorato socialdemocratico si allontanano sempre di più dal partito, ormai ridotto a meno del 15%”.
La società tedesca è profondamente cambiata
Quali sono i motivi di questa crisi? Secondo Michael John Williams, professore di Relazioni internazionali alla New York University, “il declino della tradizionale classe operaia in Germania, spina dorsale della SPD nel 20° secolo, è stato accompagnato dalla nascita di un gruppo emergente di lavoratori digitali”. Questi lavoratori più giovani, continua Williams, “sono spesso altamente istruiti e socialmente progressisti, si preoccupano per l’ambiente e vedono le migrazioni in modo più positivo rispetto alla classe lavoratrice tradizionale”. Essi “non godono delle sicurezze del lavoratore classico e ciò li rende vulnerabili. Hanno così una visione molto diversa del concetto di giustizia rispetto ai lavoratori più tradizionali”.
Nel frattempo, “i lavori industriali classici svaniscono e un numero sempre crescente di tedeschi impiegati in queste attività tradizionali viene messo da parte: questo fenomeno è particolarmente grave nella Germania orientale, dove i lavoratori sono meno istruiti e meno progressisti sulle questioni sociali rispetto a quelli della Germania occidentale”. Conciliare queste diversità diventa sempre più difficile per la Spd.
La sfida dell’immigrazione
L’altra sfida è quella migratoria. Il governo CDU-SPD ha perseguito una politica di apertura e integrazione. Le politiche della Merkel – un’eccezione in Europa – hanno integrato un milione di nuovi arrivati, grazie ai quali la Germania ha potuto mantenere un’economia forte.
Tuttavia, molti tradizionali elettori della SPD si sono sentiti traditi dalla quantità di denaro che il governo federale ha speso per i rifugiati, quasi a dispetto dei tedeschi bisognosi.
Nell’ex Germania dell’Est, dove molte persone, nonostante i miliardi di euro investiti nella regione, si sono sentite lasciate indietro, questa sensazione ha causato un esodo degli elettori SPD verso la destra estrema di Afd, Alternativa per la Germania. Al contempo, lo spostamento della CDU al centro del centro-destra ha eroso altri margini di elettorato alla base tradizionale della Spd.
La GroKo? Eppur si muove
Nonostante l’antipatia verso la GroKo, inoltre, in questi mesi il governo di coalizione è stato altamente produttivo. Un recente sondaggio della Bertelsman Foundation ha rilevato che nei primi quindici mesi di attività, il governo ha realizzato oltre il 60% delle sue promesse. L’economia tedesca resta florida – è l’unica capace di crescere in Europa – e i tassi di occupazione restano buoni nonostante la diffusione di lavori flessibili.
Tuttavia solo il 23% degli elettori della Spd è soddisfatto del lavoro svolto dal partito al governo. È chiaro che la GroKo non funziona a vantaggio dell’Spd, il partner minore della coalizione. Il paradosso è che gli elettori tedeschi vogliono che la coalizione rimanga al potere fino alla fine della legislatura nel settembre 2021.
Che cosa succede adesso? La prima opzione disponibile – mantenere la rotta dell’attuale governo – appare sempre più debole dopo la vittoria della coppia Walter-Borjans ed Esken.
La svolta a sinistra
La seconda opzione è la svolta a sinistra, come già è accaduto con Corbyn in Uk e con Zingaretti in Italia. “Esken e Walter-Borjans – spiega Fernando d’Aniello – possono intercettare il voto dei delusi della Grande coalizione, da sempre in crescita, e proporre una linea simile a quella del Labour di Jeremy Corbyn. Non è un caso che il loro bersaglio polemico preferito siano le riforme di Schröder”.
Questa è la svolta sostenuta con forza da Kevin Kühnert, capo del gruppo giovanile Spd. Kühnert ha richiesto la collettivizzazione di grandi aziende tedesche, come la BMW, e limiti alla proprietà privata degli immobili. “Senza tali mosse – dice Kühnert – superare il capitalismo sarà impossibile”. “Questo punto di vista tuttavia – spiega Michael John Williams – non sembra molto popolare in Germania. Né vi sono prove che queste idee sarebbero accolte favorevolmente dalla società tedesca che è generalmente prospera. Molto probabilmente, la svolta a sinistra causerebbe il collasso del residuo sostegno al partito”.
Una deriva populista per la Spd?
Ne è convinto, per esempio, Hans Monath, giornalista e commentatore del Tagesspiegel, un quotidiano di centrosinistra: “A prima vista, la Brexit o l’elezione di Trump hanno poco a che fare con la sconfitta di Klara Geywitz e Olaf Scholz all’Spd. Ma con i socialdemocratici sono in atto dinamiche abbastanza simili. Sebbene Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans non siano di destra, la loro promessa di cercare la socialdemocrazia più autentica e le loro intenzioni di incarnare una Spd ‘pura’ e sciolta dai compromessi ricorda molto le pulsioni dei populisti”.
Finora, continua Monath, “il populismo in Germania sembrava essere un dominio della destra politica. Nei nuovi Länder, dove l’Afd è ben oltre il 20 percento, ciò può essere spiegato e tollerato dalla storia della DDR. Ma la gran parte dei tedeschi erano orgogliosi di non essere impazziti come altrove succede nelle società occidentali. Non sta andando così, purtroppo. Il populismo ha trionfato in un partito che ha sempre sostenuto i valori dell’Illuminismo e che si era sempre opposto alla rivoluzione perché ispirato dalla razionalità e dal riformismo. Che altri paesi occidentali abbiano sperimentato cose simili, è una piccola consolazione”.
La terza opzione
Esiste dunque una terza opzione? Per il professor Williams sì: “sarebbe quella di reinventare il partito per il lavoratore del 21° secolo. Cercare di tornare alla base del partito tradizionale è difficile. I lavori tradizionali continuano a diminuire e molti di questi elettori sono sempre più anziani. La scommessa più intelligente sembra essere quella di rappresentare le preoccupazioni dei lavoratori più giovani nella nuova economia. Un approccio basato sul presente e sul futuro e un’agenda orientata all’equità economica, sociale, generazionale e ambientale”.
Chissà se i socialdemocratici tedeschi saranno in grado di raccogliere la sfida. Intanto scricchiola il governo della Merkel.
Giornalista, direttore di Libertà Eguale e della Fondazione PER. Collaboratore de ‘Linkiesta’ e de ‘Il Riformista’, si è occupato di comunicazione e media relations presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio. Direttore responsabile di Labsus, è stato componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva dal 2000 al 2016 e, precedentemente, vicepresidente nazionale della Fuci. Ha collaborato con Cristiano sociali news, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Europa, Critica Liberale e Democratica. Ha curato il volume “Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa” (Rubbettino 2018).