di Rosario Sapienza
Il 24 Novembre la Commissione ha presentato “Inclusione per tutti. Piano d’azione 2021-2027 per l’integrazione e l’inclusione” [COM(2020) 758 final].
“Inclusione per tutti” vuol dire che tutte le politiche dell’Unione devono essere accessibili a tutti.
Ma cosa vuol dire tutti?
Si tratta di un programma di interventi diretti a coloro che, pur non essendo nati sul territorio di uno Stato dell’Unione, vi risiedono regolarmente, ossia le persone che vengono definite “migranti regolari” e che, secondo le stime fornite dalla Commissione stessa, sarebbero 34 milioni (pari all’8% del totale della popolazione).
Il documento non contiene norme obbligatorie, ma solo proposte e raccomandazioni in vista di un coordinamento delle politiche dei singoli Stati membri, aggiornando così un precedente piano d’azione presentato nel 2016, con importanti modifiche, tra le quali quella dell’inclusione, accanto ai migranti regolari, di quei cittadini europei che hanno alle spalle un vissuto di migrazione, come ad esempio i migranti di seconda generazione.
Il documento non è vincolante in alcun modo per gli Stati membri, perché in questa materia, a differenza di quel che accade per le migrazioni irregolari e le richieste di asilo, l’Unione può solamente adottare “misure volte a incentivare e sostenere l’azione degli Stati membri al fine di favorire l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti nel loro territorio, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri” secondo quanto dispone l’articolo 79, paragrafo 4, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
La strategia proposta si indirizza a quattro obiettivi settoriali e prevede pure una linea d’azione trasversale, con interventi che saranno opportunamente finanziati dall’Unione con fondi appositamente dedicati, ma anche con fondi a competenza più generale. Gli obiettivi settoriali sono:
1- una politica dell’istruzione e formazione basata sulla agevolazione del riconoscimento dei titoli di studio e sulla promozione dell’apprendimento delle lingue;
2- azioni volte a migliorare l’offerta di opportunità di impiego, anche attraverso un sistematico riconoscimento delle qualifiche professionali;
3- una politica sanitaria attenta ai bisogni specifici di queste persone, supportata da strategie informative adeguate, specie per le donne;
4- la promozione di politiche abitative atte a favorire l’accesso alla casa da parte dei ceti meno abbienti.
La direttrice d’azione trasversale riguarda invece la costruzione di partenariati tra i vari soggetti, pubblici e privati, interessati all’integrazione sociale degli immigrati regolari e il finanziamento di tutti questi interventi con fondi tratti dal Bilancio pluriennale 2021-2027 (se e quando verrà approvato, vista l’impasse che si è creata a motivo dell’atteggiamento di Ungheria e Polonia, cui si è aggiunta adesso la Slovenia).
Questi interventi si inseriscono in una più complessa strategia volta a promuovere più in generale la coesione economica e sociale, perché come ha dichiarato Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione, “Le politiche di integrazione e di inclusione contribuiscono a sviluppare società coese e a rafforzare l’economia”.
Indubbiamente c’è da rallegrarsene.
Va pure ricordato che l’Unione è attiva da tempo a favore dei migranti regolari, non solo promuovendo interventi di coordinamento delle politiche statali di integrazione, quali quelli appena sinteticamente descritti, ma anche adottando propri atti in materie connesse nelle quali ha invece una specifica competenza, come, ai sensi dell’articolo 79, paragrafo 2 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, “la definizione dei diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che disciplinano la libertà di circolazione e di soggiorno negli altri Stati membri”.
Tutte cose interessanti e utili, certamente, che però non possono farci dimenticare la triste sorte che la stessa Unione europea e i suoi Stati membri riservano a chi cerca di giungere “irregolarmente” sul loro territorio.
Si tratta di una logica che non può essere accettata.
Se l’inclusione dev’essere per tutti, deve realmente essere “per tutti”, regolari e irregolari.
Perseguire a livello europeo le stesse politiche e logiche di inclusione per i cittadini ed assimilati, e di esclusione per tutti gli altri, significa sostituire a un nazionalismo statale un nazionalismo europeo.
Così non va bene!
Direttore di Autonomie e Libertà in Europa, contenitore di iniziative e ricerche sulla protezione dei diritti umani nei diversi territori europei. Professore ordinario di diritto internazionale nell’Università di Catania, ha dedicato particolare attenzione alle politiche di riequilibrio territoriale dell’Unione europea, collaborando con la SVIMEZ. E’ vicepresidente di Coesione & Diritto, associazione per la tutela dei diritti umani sul territorio. Autore del blog Lettere da Strasburgo sul magazine online www.aggiornamentisociali.it.
Andiamo per gradi e ragioniamo quanto sarebbe importante il traguardo di un sovranismo Europeo. Arriviamoci poi vedrai che sapremo andare oltre