LibertàEguale

La coalizione di Trump si è allargata, mentre i dem diventano settari

di Alessandro Maran

“Harris non ha perso le elezioni perché un pezzo dei suoi non è andato a votare: ha preso tantissimi voti, più di chiunque altro escluso Biden e in certi casi persino più di Biden. Harris ha perso le elezioni perché un pezzo dei suoi ha deciso di votare per Trump, che ha allargato ancora di più il suo elettorato (…) Il fatto che Harris sia andata meglio dove ha pesato più lei che il partito dovrebbe portarci a chiederci cosa non abbia funzionato del partito più che di Harris, che ha condotto tra l’altro la più breve campagna elettorale di sempre. A meno di non pensare che il risultato di queste elezioni epocali sia il frutto di quanto accaduto in sedici settimane e basta, ma sarebbe autoconsolatorio e sciocco”.

Sabato scorso Francesco Costa ci ha raccontato “come” Donald Trump ha vinto le elezioni (https://www.ilpost.it/…/48ab4e1291fff642c95112ffe70c8598/ ). Questa settimana, dati alla mano, prova a ricostruire “perché”.
Datemi retta, non perdetevi “Da Costa a Costa” (https://www.ilpost.it/newsletter-da-costa-a-costa/). Dopotutto, anche l’America di Trump parla a noi e di noi. Come sempre.
Due passaggi:
“In tutto questo, la ciliegina sulla torta è l’ostracismo con cui il mondo del Partito Democratico – e soprattutto quello influentissimo dei “gruppi” e dei bianchi laureati di cui sopra – tratta chi non si allinea a tutte le loro idee: l’acceleratore di questo progressivo restringimento del partito, che oggi rappresenta sempre meno persone. Progressivo ma anche inevitabile: li hanno cacciati loro.
Per quanto incredibile possa sembrare ve lo garantisco, lo vediamo anche nei dati e nei fatti: i Repubblicani sono genericamente accoglienti con gli elettori che condividono metà o due terzi delle loro proposte. Lo vediamo in come la coalizione di Trump si sia allargata e oggi sia molto più diversa di prima, senza prevedere grandi test di purezza ideologica per chi arriva, per esempio. Per le élites, i “gruppi” e gli attivisti dei Democratici, le posizioni non negoziabili sono diventate tantissime: chi è d’accordo con due terzi delle loro proposte è un bigotto razzista omofobo di destra che farebbe bene a togliersi la maschera e andare con quegli altri”.
“Il caso di Joe Rogan è esemplare in questo senso. Rogan è il podcaster di maggior successo al mondo, con un contratto milionario con Spotify e un pubblico di decine se non centinaia di milioni di persone. È uno con opinioni difficili da incasellare, alcune vicine ai Democratici e altre ai Repubblicani, come la gran parte delle persone. Fino a qualche anno fa era un sostenitore di Bernie Sanders, insomma: una persona – e un tipo di persona – con cui i Democratici parlavano e di cui potevano puntare ad avere il voto.
Ora non è più così. E sapete perché alla fine Harris non è andata a fare l’intervista da Rogan? Lo abbiamo scoperto la settimana scorsa da fonti ufficialissime: perché le persone più di sinistra del suo staff erano contrarie ad andare da uno con le idee di Rogan e dargli un megafono (parentesi: quanto devi essere distante dal pianeta Terra per pensare che sia Harris a dare un megafono a Rogan e non il contrario?). Trump ovviamente è andato da Rogan, ha parlato tramite lui a qualche decina di milioni di persone a pochi giorni dal voto, poco dopo ha ottenuto il suo endorsement.

Ora i Democratici dicono: dobbiamo farci anche noi un nostro Joe Rogan! Un Rogan di sinistra! Un media popolarissimo e potentissimo ma che aiuti la sinistra e la nostra causa. «Il problema con quest’idea», ha scritto un attivista su Twitter, «è che appena il nostro Joe Rogan dovesse deviare da una qualsiasi delle mille opinioni considerate imprescindibili, ce lo mangeremmo vivo. Rogan stava con Sanders qualche anno fa, ma i Repubblicani non hanno cercato di far chiudere il suo podcast». Che è quello che farebbero loro, invece”.

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