di Luigi Covatta
Nel 1982 dovevamo scegliere uno slogan per la Conferenza programmatica del Psi che si sarebbe tenuta a Rimini.
Io, forse anche per arruffianarmi Craxi con la sua passione per le vecchie barbe del riformismo milanese, avevo proposto il turatiano “Rifare l’Italia”. Lui lo bocciò, e scelse “Governare il cambiamento”: perchè, mi spiegò, il cambiamento ormai procedeva autonomamente, e la politica poteva solo sperare di governarlo.
La stessa cosa, da un’altra cattedra, ci spiegò Bobbio tre anni dopo, revocando in dubbio l’identificazione fra riformismo e progresso che pure aveva avuto un fondamento nei primi decenni del Novecento.
Adesso leggo che si sta formando il “Governo del Cambiamento” e mi trovo un po’ spiazzato. L’impressione, nella migliore delle ipotesi, è che si tratti del cambiamento del governo. Altrimenti c’è da temere che i 5 stelle pensino davvero che la politica possa ancora determinare il cambiamento, come a cavallo fra Ottocento e Novecento.
Strano destino, per una forza nata all’insegna dell’antipolitica. Destino pericoloso per noi, però, se un secolo dopo la rivoluzione d’ottobre saremo ancora cavie di esperimenti di ingegneria sociale. E pazienza se Lenin diceva che anche una cuoca avrebbe potuto governare lo Stato comunista: al Cremlino, di fatto, le cuoche non uscirono mai dalle cucine.
Direttore di Mondoperaio, è vicepresidente di Libertàeguale. Dal 1979 al 1994 è stato parlamentare per il partito socialista, del quale nel 1992 è stato vicepresidente della “Commissione parlamentare per le riforme istituzionali”. Dal 1986 al 1989 è stato sottosegretario alla Pubblica istruzione, nei governi Craxi, Goria e De Mita. Dal 1989 al 1992 è stato sottosegretario ai beni culturali in due governi Andreotti.