La Banca centrale europea guidata da Mario Draghi sta dimostrando – nel perdurare della crisi economico-politica dell’Ue – di essere una delle poche istituzioni comunitarie realmente attrezzate per scongiurare il fallimento dell’Ue e promuovere lo sviluppo dell’Europa.
Il prezzo costantemente basso del petrolio (e delle materie prime) sommato alle difficoltà incontrate dal sistema bancario europeo nel suo complesso rappresentano due grandi variabili che rischiano di compromettere l’accenno di ripresa economica dell’area-Euro degli ultimi mesi.
Ed è per far fronte a queste due sfide che – nel suo intervento introduttivo alla Commissione economica del Parlamento europeo, il 15 febbraio scorso – Mario Draghi ha ribadito che “If either of these two factors entail downward risks to price stability, we will not hesitate to act”.
La Bce non esiterà –quindi – ad agire, supplendo ancora alle istituzioni “politiche” Ue, in un contesto nel quale il nuovo fronte di tensione tra i governi europei è rappresentato dalla cosiddetta ponderazione sui titoli di Stato, il meccanismo – ipotizzato per primo dall’ex presidente della Bundesbank Axel Weber – per il quale le banche che detengono bond nazionali devono prevedere a bilancio coperture adeguate a far fronte al rischio dei bond stessi.
Quella che apparirebbe come una eventuale opzione “tecnica”, nonché logica – Argentina ma anche Grecia sono lì a dimostrare che i bond nazionali non sono affatto immuni da rischi di default – e priva di impatto per l’economia reale, potrebbe in realtà comportare difficoltà per molti istituti bancari europei, che rischierebbero di “ingessare” i propri bilanci al fine di rispettare i nuovi canoni di copertura, il tutto a detrimento delle capacità di fare credito a famiglie e imprese.
La sola previsione della “ponderazione” sui bond – legata ad un processo di accordi relativi a Basilea 3 che prevederà probabilmente tempi lunghi per compiersi – ha nuovamente alimentato i contrasti tra i diversi governi europei, contrasti che non trovano sintesi né da parte della Commissione Ue né del Parlamento europeo.
Cos’è che, al contrario, fa della Banca centrale europea l’unica istituzione in grado di affrontare tali tensioni e – per dirla con Daron Acemoglu – di promuovere la prosperità dei cittadini europei? Molto spiega la lungimirante leadership del presidente Mario Draghi, ma la ragione “strutturale” delle potenzialità virtuose della Bce per l’economia europea deve rinvenirsi nello statuto stesso della Banca, che rappresenta un caso raro di istituzione comunitaria autenticamente federale.
Non vi è altra istituzione europea che, a fronte della crisi economica e politica che investe il continente possa dire con la stessa autorevolezza “we will not hesitate to act” e porre in atto politiche consequenziali: sarebbe il caso che le istituzioni democratiche europee – anche con un percorso a tappe che coinvolga dapprima i Paesi dell’Eurozona – compiano passi decisi verso questo modello.
Direttore di Libertàeguale. Lavora per un importante gruppo bancario italiano, ha collaborato a progetti del gruppo Reti nell’ambito della comunicazione e delle relazioni istituzionali ed è stato vicepresidente nazionale della Fuci. Twitter: @marcomartorelli