di Enrico Borghi
Le dichiarazioni rese in aula oggi dal deputato leghista Alessandro Pagano hanno una radice che arriva da lontano (leggi qui il resoconto dell’agenzia Agi: Silvia Romano è una “neo terrorista”. Il leghista Pagano infiamma la Camera). Nel merito, le censure giunte dalla Presidente di turno della Camera – rafforzate dalla presa di posizione del Presidente Roberto Fico – e le parole del collega Emanuele Fiano sono precise e puntuali.
Ma dietro le inaccettabili affermazioni di Pagano c’è di più. C’è tutto un retroterra, culturale e anche politico, di una destra ultracattolica – reazionaria e anticonciliare – che immagina la religione come “instrumentum regni” (in questo speculare all’islamismo che a parole si critica) e che vuol colpire al cuore non solo chi pratica sul piano politico la laicità dei cristiani in politica insegnata da Sturzo, ma anche il messaggio evangelico dello stesso Pontefice.
Mentre il presidente della Cei, Bassetti, nei giorni scorsi, ha definito Silvia Romano “nostra figlia coraggiosa”, oggi la Lega ha posto in atto un criterio di giudizio diametralmente opposto. C’è, nell’azione di quello che fu il Carroccio (ma non solo, basti vedere discorsi e dichiarazioni di molti esponenti di Fratelli d’Italia), un’evidente contestazione dell’impostazione e interpretazione del messaggio cristiano, che ha sullo sfondo uno specifico attacco alla pastorale e alla azione di Papa Francesco.
E’ un filone molto preciso, questo che si riassume oggi nell’attacco leghista, che arriva da lontano (da quel clerico-fascismo che propugnava la perfetta identità tra il regime mussoliniano e la pastorale della Chiesa fino alle espressioni che nella storia hanno visto i regimi di Salazar in Portogallo, le azioni degli Ustascia in Croazia, della Guardia di Ferro in Romania, fino al “nacionalcatolicismo” di Francisco Franco), che ha aderenze internazionali attuali precise – dagli ultraortodossi di Dugin in giù – e che si propone di alimentare una netta alternativa al cattolicesimo bergogliano all’insegna della difesa di confini, dei valori non negoziabili, dell’identità occidentale intangibile.
Un filone culturale, e politico, che non si fa mai problemi a strumentalizzare la fede e i simboli religiosi, e che contemporaneamente non permette ad altre confessioni religiose di farlo, alimentando un clima di odio, di razzismo e di nazionalismo esasperato nel quale neppure la salvezza di una vita umana – che pure dovrebbe essere il fondamento e il fine ultimo dell’agire cristiano, oltre che umano – viene salutata con favore, se questa vita umana non corrisponde ai canoni che si pretende debba avere.
Del resto, solo qualche mese fa – per giustificare questa fascinazione di diversi cattolici verso le ragioni del sovranismo – un autorevole cardinale, già sdoganatore del berlusconismo nella logica del “patto Gentiloni 2.0”, ebbe modo di dichiarare al Corriere della Sera che il cattolicesimo democratico aveva esaurito la sua rilevanza.
Aveva torto. Perché fino a quando nel Parlamento repubblicano ci saranno epigoni lefebvriani come il deputato Pagano, e partiti che ospitano nelle loro file questa dimensione culturale e politica, ci sarà bisogno di chi – con mille limiti insiti alla dimensione umana – si sforzi di interpretare sul piano secolare i valori del personalismo, della solidarietà, della sussidiarietà e del bene comune. Di chi sappia incarnare una azione che attorno al tema della fraternità – che dà il giusto equilibrio ai principi di libertà e uguaglianza che diventerebbero assolutisti se lasciati a se stessi – promuova l’ideale di una società più giusta, inclusiva, in grado di armonizzare sviluppo e integrazione.
Perché, come ci ha insegnato Zac, in politica ci si sta a causa della fede. E non in nome di essa.