LibertàEguale

La lezione di Duverger

di Enrico Morando

 

Credo che soltanto lelezione di Altiero Spinelli nelle liste del PCI per il Parlamento europeo abbia esercitato sulla linea politica del PCI -in tema di integrazione europea- uninfluenza superiore a quella che Maurice Duverger -direttamente tramite la sua elezione ad europarlamentare e indirettamente, attraverso i suoi interpreti italiani- ha esercitato sulla posizione dello stesso partito in tema di riforme istituzionali ed elettorali.

Non so chi sia stato a suggerire al gruppo dirigente del PCI la candidatura europea del grande scienziato della politica francese. Immagino che ci sia stato qualcosa di più di uno zampino dellattuale Presidente della Corte Costituzionale, ma non glielho mai chiesto.

Ricordo invece bene la campagna elettorale (Europee del 1989): per Maurice Duverger venne scelta la circoscrizione Nord Ovest e, in quegli anni, io mi occupavo, per il Comitato regionale del PCI piemontese, dellorganizzazione delle preferenze. Fu nellesercizio di quella funzione che ricevetti la prima lezione del professor Duverger, che conoscevo (poco) soltanto grazie agli articoli di Augusto Barbera.

Accadde infatti che in coda alla prima riunione (credo che si sia fatta a Milano, ma non ne sono sicuro) tra i candidati e le strutture di partito responsabili della loro campagna, Duverger -evidentemente informato da qualcuno sul mio ruolo in materia di preferenze- mi rivolse una domanda (non senza essersi prima scusato), sulla probabilità di elezione sua e degli altri candidati più noti. Naturalmente, non ho gli appunti che mi consentano di virgolettare alcunché, ma -andando allessenziale- ricordo che la mia risposta cercò di mettere in evidenza che il combinarsi della posizione di lista del candidato col lavoro organizzato sui facsimili di scheda presso gli elettori consentiva di avere, per la circoscrizione, non probabilità, ma sicurezza di risultato.

Con mia somma sorpresa, il professore iniziò a bombardarmi di domande sulle tecniche che usavamo, per poi concludere che quel modo di usare il metodo delle preferenze su liste plurinominali consentiva di vedere bene la reciproca influenza tra sistema istituzionale e sistema dei partiti. In sostanza, mi disse, le preferenze considerate in sé, fuori dalluso che ne fanno i partiti, assegnano allelettore un potere sovrano, in un rapporto diretto tra lelettore stesso e il candidato, più o meno noto, più o meno apprezzato.

Ma luso che ne faceva il partito -in questo caso il PCI-, rendeva le preferenze qualcosa di profondamente diverso. La conclusione era chiara e mi rimase impressa: mai giudicare un sistema politico-istituzionale guardando separatamente alle istituzioni e ai partiti. Ne discendeva unindicazione che mi sarebbe servita negli anni successivi (e mi serve tuttora): se si vogliono davvero fare le riforme-cioè cambiare il sistema politico-costituzionale in modo che accresca contemporaneamente la sua efficacia (capacità di decidere), la sua legittimazione (capacità di rappresentare e di fare del popolo il decisore di ultima istanza), e la sua capacità di garantire le libertà individuali e collettive-, bisogna agire su entrambi i fronti: quello dei sistemi elettorali, della forma di governo e delle autorità di garanzia, certamente, ma anche (e contemporaneamente) sulla natura dei partiti e sui loro rapporti reciproci e con la società.

È una lezione che resta valida, come quella racchiusa nella frase finale dellultimo dei suoi famosi articoli del 1956 sulla riforma costituzionale in Francia: bisogna dunque evitare un circolo vizioso: senza pressione esterna (al parlamento), la riforma non sarà adottata. Con pressione esterna, essa sarà snaturata. Per uscirne, non c’è altra via che convincere progressivamente i deputati (direttamente e indirettamente: attraverso lintermediazione degli elettori)”.

Lascia un commento

L'indirizzo mail non verrà reso pubblico. I campi richiesti sono segnati con *