di Giovanni Cominelli
“La cognizione del dolore” in terra di Bergamo è stata spinta allo spasimo in questa prima parte dell’annus horribilis 2020.
Ora che i venti di bufera del Covid-19 si stanno abbassando, i parenti dei troppi morti si sono organizzati per promuovere delle “class actions” all’americana. Davanti alle sedi delle istituzioni, ai tribunali, alle telecamere raccontano storie di lutti e di rabbia e invocano giustizia, per ottenere un risarcimento della morte.
Il dolore anestetizzato è riemerso con prepotenza, sotto forma di un interrogativo pressante: “Chi ha sbagliato?”. Giacché, “chi ha sbagliato deve pagare!”. Ora, l’elenco degli erranti nella gestione della pandemia è piuttosto lungo. Partendo dall’alto: le Autorità cinesi, l’Organizzazione mondiale della sanità, il Ministero della Salute, l’Istituto superiore di sanità, la Protezione civile, il Presidente del Consiglio, i Presidenti di Regione, gli Assessori, i Direttori regionali della sanità, i Direttori delle ATS, i Direttori degli Ospedali, fior di esperti e di scienziati. Finito l’elenco? No! Bisogna aggiungere sindaci, imprenditori, commercianti, parroci, segretari di partito e milioni di cittadini. A ciascuno il suo errore!
Siamo stati tutti sorpresi. Se il Covid-19 è stata la SARS dell’Occidente, qui non era stata prevista. Di qui impreparazione, improvvisazione, mancanza di tamponi, di reagenti, di mascherine e indicazioni contraddittorie. Istituire o no “zone rosse” è diventato il punto di condensazione di discussioni, decisioni, contro-decisioni, oscillazioni, azioni e, soprattutto, inazioni. La risultante? Migliaia di morti.
La comparazione tra la provincia di Bergamo e altre province, tra la Lombardia e altre Regioni, tra l’Italia e altri Paesi ha indotto il legittimo sospetto che qui in terra lombarda, qui in terra di Bergamo siano stati compiuti errori gravissimi.
Qui sorge un dilemma: errori o crimini? La mancata istituzione della zona rossa ad Alzano e Nembro è stata un tragico errore o un crimine feroce?
Se errori, allora occorre mettere in piedi una o più Commissioni d’inchiesta, che ricostruiscano la catena delle azioni e delle inazioni, politiche e amministrative, che facciano la radiografia spietata di ogni decisione e offrano suggerimenti per evitare che un Covid-19 di ritorno o un qualsiasi Covid-20 ci causi nuove tragedie.
Se crimini, allora occorre rivolgersi alle Procure della Repubblica per individuare e punire chi li ha commessi. I cittadini hanno scelto questo secondo corno del dilemma.
Zona rossa, interessi e politica
E’ probabile che l’ottusa resistenza dei partiti di maggioranza del Consiglio regionale lombardo alla costituzione di una Commissione d’inchiesta, perché eroicamente asserragliate a difesa del Presidente e dell’Assessore al Welfare, abbia contribuito a spingere i cittadini verso la Magistratura.
Certo, se il Presidente del Consiglio o della Regione, se Assessori, Sindaci e funzionari dichiarano che rifarebbero tutto daccapo e che eventuali defaillances sono esclusivamente da imputare ad altri livelli istituzionali ed amministrativi, essi finiscono per presentarsi con l’aureola di un’arrogante impunibilità. Se difendono così accanitamente degli errori palesi non solo rivelano stupidità, ma forse generano sospetti di nascondere del marcio.
Tuttavia, dietro alla scelta giustizialista del cittadino, per la quale il magistrato è diventato l’angelo quotidiano delle nostre vendette e la denuncia alla magistratura una modalità fondamentale della gestione dei conflitti personali e sociali, sta una visione della propria collocazione e responsabilità nel mondo, del proprio rapporto con la storia, del ruolo della dimensione pubblica e della politica, che vale la pena di indagare.
Perché non è stata istituita la “zona rossa”? Risposta: la maggioranza non la voleva. Non i lavoratori e le loro famiglie, non gli imprenditori, non i commercianti, non i parroci, non i partiti, non gli amministratori… Ciascuno aveva legittimi interessi da difendere.
La politica vile e il consenso dei cittadini
A questo punto, i decisori politici non hanno avuto il coraggio di opporsi all’orientamento prevalente dei numerosi e variegati portatori di interessi. Politici vili, dunque? Sì, vili.
Ma per onestà intellettuale si deve riconoscere che la loro viltà è sta largamente e democraticamente condivisa. La loro non-decisione ha trovato il consenso di chi li ha democraticamente eletti. Coloro che adesso invocano tribunali e carceri sono gli stessi, statisticamente parlando, che hanno eletto i decisori/indecisori.
La decisione di non istituire la “zona rossa” è stata un crimine, visto che da quella sono conseguite migliaia di morti? No. E’ stato una drammatica catena di errori di governo locale, regionale e nazionale. E’ stata una decisione politica, prodotta del nostro sistema democratico a più livelli, nazionale, regionale, locale. Come è evidente, non si è dimostrato perfetto, non qui in Lombardia. Migliore in Veneto. Delle sue falle i cittadini tendono ad incolpare la politica, benché questa abbia rispecchiato passivamente e perfettamente le nostre micro-irresponsabilità, le piccole viltà, i nostri micro-interessi e furbizie.
E’ già accaduto. Quando Mussolini dichiarò guerra alla Francia il 10 giugno 1940, nel tripudio di un generale consenso, e provocò, nel corso di cinque anni, la morte di circa mezzo milione di Italiani e la distruzione del Paese, commise un crimine, da denunciare ad una Procura della Repubblica o al Tribunale di Norimberga? No, non un crimine, ma un gigantesco errore, che la maggioranza degli Italiani ha condiviso massicciamente almeno fino alla primavera del 1943.
La banalità dell’Errore
Non occorre grande fantasia per immaginare, in una narrazione contro-fattuale dell’istituzione subitanea di una zona rossa, le reazioni inferocite di coloro che ora altrettanto ferocemente ne lamentano la mancata creazione. Si potrebbe obbiettare che sì, noi abbiamo eletto gli amministratori e i politici, con l’intesa implicita che facessero il loro dovere di decisori.
Già! Ma appena provano a decidere, vengono immediatamente accusati di essere antidemocratici e di fare un uso prepotente del potere. In realtà, gli elettori vogliono una politica che non decida, per paura che offenda i propri interessi particolari. Vogliamo l’uomo forte: forte con gli altri, ma debole con noi.
E i politici tendono ad adeguarsi, per non essere impopolari. Così i governi, invece di governare, vanno a caccia del consenso. Bettino Craxi aveva già spiegato, a suo tempo, che i governi devono governare e che tocca ai partiti conquistare il consenso. Questa volta le conseguenze sono state tragiche.
Così è venuta prevalendo in questi anni, da Mani pulite in avanti, una cultura che combina il pan-penalismo con una visione gnostica e perfettista della società. In forza del primo, ogni azione deve essere misurabile e punibile sulla spietata bilancia di Dike. In forza della seconda, tutto deve essere risarcito, compresi il dolore e la morte, affinché venga ricostituito l’equilibrio della società perfetta. In forza di tutti e due, l’intera storia passata deve essere rifatta daccapo, vecchie statue abbattute e nuove erette. Non occorre molta perspicacia per intravedere, dietro il disegno perfetto dell’arazzo, il disordine dei fili e l’angoscia per la fragilità delle nostre società imperfette, insidiate dall’insopportabile “banalità dell’Errore”.
(Pubblicato su www.santalessandro.org il 20 giugno 2020)
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.