di Giovanni Cominelli
La sostanza delle Linee Guida del Governo e la Bozza di risoluzione unitaria del 30 giugno elaborata dai Gruppi di maggioranza della VII Commissione per l’apertura del nuovo anno scolastico si può riassumere molto semplicemente nello slogan: “Arrangiatevi!”.
Il Ministero dell’Istruzione e il Governo prendono atto di non saper che fare e perciò lasciano liberi gli Istituti scolastici di organizzarsi come preferiscono, da soli o in compagnia degli Enti locali, dei Cinema, degli Oratori, dei Musei e dei Conventi. Di fatto, i Dirigenti sono avviati come il Cireneo sulla via del Golgota, lungo la quale devono procurarsi entro il 14 di settembre nuovi spazi, device elettronici, Reti, personale, mascherine in quantità. Intanto il loro personale è tutto in vacanza. Una parte da marzo. A loro il Ministero concede, sulla carta, la rottura di un tabù: quello della forma-classe costituita sulla base dell’anno di nascita degli studenti.
Così sarà possibile, di qui in avanti, “assemblare” i ragazzi in “gruppi di apprendimento”, provenienti da classi di età, da sezioni e da anni di corso diversi, e “aggregare discipline diverse”, garantendo a ciascun alunno le stesse opportunità formative.
La beffa dell’autonomia
Libertà e autonomia effettive riconosciute agli Istituti scolastici e ai loro Dirigenti? Sulla carta, fin dal D.P.R. 8 marzo 1999; nella pratica quasi mai e sempre in modo condizionato. Perché il limite è duplice ed è strutturale.
1- Il primo è rappresentato dalla rigidità amministrativa-sindacale della gestione del tempo di insegnamento e, dunque, del personale docente e del personale ATA (Amministrativo, Tecnico e Ausiliario). La quantità di ore di insegnamento è definita per legge su scala annuale; ma realmente e per contratti sindacali, che hanno una vigenza superiore a quella della legge ordinaria, l’orario è diviso in tot ore settimanali – 18 o 24 – su 5 giorni alla settimana.
2- Il secondo limite consiste nelle procedure di controllo e di verifica finali. Se i mitici Programmi – vitello d’oro del sistema di istruzione in ogni tempo – cessano di essere il criterio supremo di giudizio e di esame a favore di Indicazioni più generiche e più light, quando arriva il momento dell’Esame di stato, quali criteri di giudizio seguono le Commissioni sovrane? Non certo quello delle autonomie scolastiche. D’altronde, l’autonomia didattico-organizzativa finora prevista è solo del 20%. Un po’ poco per garantire la flessibilità che pure si promette e che è necessaria per gruppi interdisciplinari e di livello. Dovrebbe arrivare almeno al 40%.
In realtà sta avvenendo, non si comprende bene se per calcolo o per incompetenza di governo, che, mentre si proclama l’autonomia ai quattro venti, trasformandola a parole da “autonomia funzionale” in “autonomia da ente locale”, non le vengono minimamente riconosciuti gli strumenti per realizzarla. Essa finirà per funzionare come un cappio o una trappola. Il dirigente decide, per esempio, degli orari di ingresso degli studenti, ma al tavolo con gli Enti locali, in cui si decide la politica del trasporto locale, non va a sedersi il dirigente, ma il Ministero o il rappresentante dell’USR (Ufficio Scolastico Regionale).
C’è poi un aspetto squisitamente giuridico-sanitario. Poiché un’eventuale infezione da Covid-19 di ritorno è stata equiparata, su pressione dei sindacati, ad un infortunio sul lavoro, e poiché il Dirigente scolastico è considerato alla stregua del datore di lavoro di un’impresa privata, se un insegnante contrae il virus, la responsabilità civile e penale si deve imputare direttamente al Dirigente. Se un giudice “sbaglia”, paga lo Stato. Se un Dirigente sbaglia, paga il Dirigente. La differenza è che il giudice è pienamente sovrano nel giudizio, ma non ne risponde; il Dirigente non è “sovrano” nella scelta del personale – che gli arriva per concorso – ma ne paga il fio. Trattasi di incentivo ai pre-pensionamenti dei Dirigenti: meglio in pensione che in galera!
La politica elettorale del personale
Già, il personale. La Ministra Azzolina ha annunciato, nel dicembre 2019, 48 mila assunzioni; con il primo Decreto emergenziale ne sono stati aggiunti altri 16 mila; il Decreto Rilancio ne annuncia altri 50 mila tra docenti e personale ATA. Totale: 114 mila! Lo scenario è il solito: fuga di chi oggi insegna al Nord verso il Sud, dove le cattedre si moltiplicano come i pani e i pesci della parabola, mentre al Nord le cattedre restano vuote, soprattutto nelle discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Le scuole saranno costrette ad assumere laureandi e laureati come sul finire degli anni ’60 e inizio ’70. Poco male, almeno un ringiovanimento anche culturale!
Ciò che tuttavia i Sindacati e l’Amministrazione si rifiutano di ammettere da decenni è che i concorsi non servono a selezionare un docente dotato di sapere e abilità pedagogico-diattiche. Tampoco i concorsi prevedono criteri di selezione dei nuovi profili professionali, capaci di gestire i Gruppi di livello e di interdisciplinarità e di adeguarsi al paradigma digitale, che la DAD (Didattica a Distanza) ha reso irreversibile. La figura del docente selezionata dai concorsi – per la cui conclusione serve comunque almeno un anno – non è in grado di praticare il “modello Campus” né il “modello Infosfera”. Certo, ne sono più capaci i giovani precari assunti saltuariamente.
Poiché l’annunciata intenzione di offrire a ciascun ragazzo eguali possibilità formative richiede la personalizzazione del suo percorso educativo, occorre dunque una figura professionale che sia capace di costruire, in collaborazione con il ragazzo e con la sua famiglia, il suo Piano di Studi Personalizzato, che lo accompagni nella sua realizzazione, che tenga i contatti con i docenti delle discipline. E’ diverso dal docente di cattedra classico. Si chiama “tutor”. Ha bisogno, a sua volta, di formazione. Ma introdurlo significa rompere i tabù burocratico-sindacale dell’unicità della funzione docente e del rifiuto della differenziazione di percorsi professionali, carriere e stipendi! Continua a contare solo l’anzianità.
Così, è evidente che, nonostante la resa momentanea al “Campus” e al “Digitale”, permane la pretesa di iniziare il nuovo anno scolastico con la stessa filosofia politica, sindacale e amministrativa di sempre, che ha portato alla crisi del modello novecentesco, all’analfabetismo funzionale diffuso, al 20% di drop-out, ai NEET ecc… ecc… Vero è che gli 80 mila e passa docenti promessi abbasseranno la media docente/alunni a 1/7, la più bassa la mondo. Di questo passo torneremo al precettore di nobiliare memoria. Peccato che i risultati non si prevedano alla stessa altezza aristocratica.
Nonostante la riduzione del numero di alunni per docente, la personalizzazione resta, nell’attuale contesto burocratico-sindacale, un miraggio. Come non ricordare con nostalgia il Rapporto OCSE Education at a Glance, intitolato appunto “Schooling for Tomorrow: A Personalizing Education”? Era l’anno 2006! Senza questo passaggio restano pure lacrime di coccodrillo quelle versate sul pericolo di un’accentuazione delle diseguaglianze, che sono causa ed effetto della povertà educativa.
La scuola è di tutti, se è di ciascuno
Costruire una comunità educante, in primo luogo all’interno di ogni singolo Istituto, per poi poter procedere alla firma di “Patti educativi territoriali”, è possibile solo se si scioglie la contraddizione tra il nuovo progetto pedagogico-didattico del Campus e del Digitale e il permanere di vecchie strutture burocratico-sindacali, che intendono gestire il personale e l’organizzazione dell’apprendimento secondo le esigenze degli addetti e non degli utenti.
Mai come al tempo del Covid è stato visibile il carattere antagonistico di questa contraddizione. Il Governo e i partiti che lo sostengono devono decidere da quale parte stare. Si deve riconoscere che Forza Italia, tra le forze di opposizione, ha sposato decisamente la causa dell’innovazione e dell’eguaglianza delle opportunità educative, mentre il PD e il M5S si lasciano opportunisticamente etero-dirigere dalla propria constituency elettorale. Avranno certamente i voti degli insegnanti. Da vedere se avranno quelli delle famiglie e dei cittadini, dei lavoratori e degli imprenditori preoccupati del futuro dell’intelligenza produttiva del Paese.
Quanto al ruolo sociale dell’istituzione scolastica, da sempre enfatizzato dalla sinistra, si dovrebbe ricordare sempre la “Lettera ad una professoressa” (1967) di don Lorenzo Milani: “la scuola è di tutti solo se è la scuola di ciascuno”. Il “ciascuno” continua a mancare all’appello, in nome del buro-egualitarismo ipocrita della sinistra al governo.
(Pubblicato da www.santalessandro.org il 4 luglio 2020)
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.