di Umberto Minopoli
A sinistra, come sempre si parla di massimi sistemi- il terzo polo, agenda Draghi o non Draghi, ecc – mentre il nodo del contendere è solo in un numero: quanti collegi uninominali il Pd e i suoi alleati riusciranno a strappare alla destra.
Conta relativamente il voto nel proporzionale. Qui Calenda può fare i suoi calcoli e sperare in buone percentuali, ma è del tutto inutile. La partita è nei collegi.
E’ qui che serviva un voto capace di mettere tutti insieme. Chi? Senza tante chiacchiere coloro che non vogliono un governo di destra, ultra maggioritario, guidato da Giorgia Meloni.
Con i Progressisti uniti nei collegi uninominali la partita, dicono le proiezioni, era giocabile mentre divisi può dare al cdx il 90% dei collegi e un numero di parlamentari schiacciante.
A destra, i terzo-polisti (Toti, Brugnaro, Lupi, ecc.) si sono tranquillamente turati il naso sulle diversità interne (agenda Draghi, Putin, ecc.) e hanno fatto blocco con il cdx, perché giudicato vincente.
A sinistra I terzo-polisti sorvolano sul nodo dei collegi uninominali (perfino nell’accordo privilegiato in essi che il Pd aveva siglato con Azione di Calenda) e si presentano da soli. Che vuol dire divisi nei collegi uninominali. E cioè, diciamolo chiaro, dove la prospettiva non sarà che vincano loro, ma che facendo mancare i voti al candidato progressista (che, nel 30% casi, senza lo strappo, sarebbe stato di Azione), giocoforza, faranno vincere il candidato del cdx.
E perché? A sentire Calenda tutto questo perché, a soli fini di accordo elettorale, nelle sue liste nel proporzionale, il Pd offre una tribuna a Fratoianni e Bonelli. E senza commistione di programmi. Cosa che Calenda aveva, saggiamente, accettato.
Che male potevano mai fare Fratoianni e Bonelli se l’asse della coalizione fosse stato tra il Pd e Azione? E’ ragionevole che questi due facciano talmente paura da rompere l’unico accordo che poteva limitare la destra nei collegi uninominali? Suvvia.
Un accordo che avesse portato a presentare, nei collegi uninominali a rischio, un unico candidato progressista e non due (e forse pure tre con Renzi) era il minimo sindacale se volevi battere la destra. Così la partita è in salita in partenza. Deve scattare l’intelligenza degli elettori: è giusto che la destra vinca, soprattutto, aggiudicandosi i collegi uninominali in maggioranza, perché i suoi oppositori sono divisi in due o in tre? Non è giusto.
E allora sia “voto utile”: sarà il numero di seggi che il Pd conquisterà a fare la differenza. Non per ragioni di credenza o di sentimento, ma per la dannata logica di questa legge elettorale, che concentra la partita nei collegi uninominali dove passa chi ha anche un solo voto in più al candidato di centrodestra. Di questo i terzo-polisti (di sinistra o di centro che siano) se ne fregano tranquillamente.
Chi parla di terzo polo ha già accettato l’esito probabile delle elezioni e pensa ad un puro posizionamento nel futuro Parlamento. E’ una rinuncia a giocare la sfida con il cdx. Che, fosse solo per una logica di dialettica democratica normale, si avrebbe il dovere di giocare.
E il Pd, nonostante tutto, deve giocarla. Senza cambiare i termini dell’accordo privilegiato firmato e poi stracciato da Calenda. L’agenda Draghi su politica estera, energia, economia non era una concessione a Calenda. Era la sostanza della politica responsabile del Pd, dall’inizio alla fine del governo Draghi.
Ed è la garanzia che il PD dà rispetto ad una destra che promette spesa pubblica e debito, regali fiscali e condoni e si porta dentro l’equivoco dei rapporti con Putin, della politica estera ed europea di Salvini e Berlusconi.
Si archivi subito Calenda e si lanci la sfida alla Meloni. E non ci si faccia paralizzare dalla paura della sfida nei collegi. Se il Pd dovesse risultare primo partito, la destra non sarebbe contenta e il quadro politico sarebbe in movimento anche in caso di vittoria numerica della coalizione di destra. Quello al Pd, se questo è il quadro, è il voto “utile”, l’unico che ha un senso e che è alla portata.
Dividere il fronte contro la destra ed evocare terzi poli, facendo a meno del Pd, la forza che contende a FdI il primato nel paese, significa rassegnarsi alla vittoria della destra, senza nemmeno giocare. E questa per un progressista, pure liberale e riformista, è una bestemmia.
Presidente dell’Associazione Italiana Nucleare. Ha lavorato nel Gruppo Finmeccanica e in Ansaldo nucleare. Capo della Segreteria Tecnica del Ministro delle Attività Produttive tra il 1996 e il 1999. Capo della Segreteria Tecnica del Ministro dei Trasporti dal 1999 al 2001. Consigliere del Ministro dello Sviluppo Economico per le politiche industriali tra il 2006 e il 2009.