LibertàEguale

La posta in gioco del 25 settembre

di Giovanni Cominelli

La Lega e Forza Italia hanno imputato al PD e al M5S la responsabilità della caduta del Governo-Draghi. Bastava, dicono, un Draghi-bis senza i pentastellati. Ma il PD, legato a doppio filo nel “campo largo” con il M5S, avrebbe rifiutato…

Ora, l’approdo a un Draghi-bis era certamente possibile. Solo che doveva essere la conclusione di una ri-approvazione dell’Agenda-Draghi: i voti a favore di un programma avrebbero definito il nuovo perimetro. Pertanto Draghi si è presentato al Senato con l’elenco dei SI e dei NO.

SI: agli aiuti militari all’Ucraina, agli Italiani in difficoltà (Agenda sociale), alle riforme necessarie per accedere ai fondi PNRR.

NO: allo scostamento di Bilancio, con conseguente aumento del debito pubblico (Salvini aveva chiesto 50 miliardi), a ulteriori rinvii della Legge sulla concorrenza, alla “protezione” corporativa dei taxisti, all’ulteriore rinvio della regolamentazione delle concessioni balneari, a ulteriori rinvii sulla riforma della giustizia, ad un reddito di cittadinanza “cattivo”, al superbonus pessimo, fonte di truffe e di ladrocini…

Il M5S, la Lega, Forza Italia hanno respinto il programma. La Lega e Forza Italia lo hanno fatto in un modo vile, perché, invece di votare apertamente NO, sono usciti dall’Aula.

Perché hanno votato NO? Elementare Watson! Perché non sono d’accordo sull’Agenda Draghi, né sulla politica estera né sulla politica socio-economica. Non lo sono, perché hanno in mente l’illusorio “tirare a campare” di un’Italietta sovranista-populista, che fa debito pubblico, che protegge le corporazioni e le lobby, che genera lo scontento per cavalcarlo. No ai sacrifici, no all’assunzione di responsabilità. Questa è l’Italia del sovranismo-populismo pentastellato e leghista, in convergenza evidente.

Nella sua prima uscita sul TG1 Salvini non ha trovato di meglio che proporre quali temi centrali delle elezioni di settembre “Quota 41” per i pensionamenti e “la pace fiscale”, con la rottamazione delle cartelle esattoriali. Questa è tutta l’Italia che la destra sovranista ha in mente, in questa drammatica estate 2022. Un’Italia che non è di questo mondo. Occorre prendere atto che parecchi Italiani – le elezioni del 25 settembre diranno quanti – condividono questa visione surreale, tutta chiusa dentro l’orizzonte degli interessi privati di ciascuno, senza orizzonte comune, senza prospettive di sviluppo e di ruolo europeo e mondiale. Un’Italia che sta invecchiando, senza giovani, sempre più in fuga verso l’estero, ripiegata sul proprio fatale declino. Che la politica di destra punta a rendere morbido e indolore, accumulando un debito pubblico crescente sulle spalle delle generazioni più giovani.

Il “popolo” si sta trasformando in “plebe”, quella delle piazze reali e virtuali, quella dei sondaggi e dei social. I “circenses” non mancano. Quanto al pane, non è più così sicuro. Il populismo sta arrivando al plebeismo da stadio. Il passaggio dall’egemonia berlusconiana sulla destra italiana a quella di Salvini/Meloni scandisce questa metamorfosi/degenerazione del populismo in plebeismo rissoso e rabbioso da campagna elettorale. E segnala, beninteso, la fragilità estrema e l’inconsistenza finale del liberalismo di Forza Italia.

E la sinistra?

Il ribaltone tattico promosso da Renzi nel 2019, che portò alla caduta del governo giallo-verde e alla costituzione di quello giallo-rosso, fu motivato dal pericolo autoritario e antieuropeista di Salvini. La convergenza tattica del M5S sull’operazione-Renzi fu dovuta principalmente all’esigenza di riaffermare l’egemonia pentastellata sul governo, che l’incompetenza del suo personale politico raccogliticcio aveva pregiudicato. Se Salvini aveva preso il posto della motrice del treno del governo, il PD si accomodò tranquillamente in coda. Perché? Tutta tattica dorotea per libido di potere? Non solo. Una parte consistente del PD fu e restò – resta? – convinta che il M5S fosse un nuovo modo di essere e di stare a sinistra, che Renzi aveva tradito. Solo pensando così si poteva, in un primo tempo, indicare Giuseppe Conte come “un fortissimo punto di riferimento per tutti i progressisti” e, poi, progettare, fino ad alcune ore fa, con Enrico Letta di costruirci il “campo largo”. Da Orlando, a Boccia, a Provenzano, a Emiliano, a Letta questa è stata la filosofia.

L’Agenda Mattarella-Draghi ha spezzato le illusioni di questa sinistra “storica” post-democristiana e post-comunista e ha tracciato un nuovo crinale della politica italiana. Lo ha fatto nel nome del destino del Paese. Ed è questo che si gioca il 25 settembre del 2022. Il crinale dello scontro ideologico e politico in tutto l’Occidente è quello della democrazia liberale sul terreno istituzionale, social-liberale sul terreno economico-sociale – “nessuno rimanga indietro”, protezione sociale, concorrenza, meriti e bisogni – euro-atlantica su quello internazionale, alleata e solidale con le altre poche democrazie del pianeta.

Chi arriverà per primo a controllare il crinale dei due competitori: la destra a trazione sovranista/populista illiberale o la sinistra, ma a quale trazione? Liberale?

Tuttavia la crisi folle del terzo governo in cinque anni obbliga a riproporre una constatazione non solo immediatamente politica: il sistema politico-istituzionale italiano si conferma incapace di produrre quel bene primario che è il governo del Paese per cinque anni. Non è mai stato in grado. A tale impotenza istituzionale, prevista e voluta dai Padri costituenti tra il 1946 e il 1948, il sistema dei partiti ha supplito fino al 1992 nel modo che conosciamo: durata minima dei governi, ma continuità dei partiti e del personale politico. La biografia di Andreotti è altamente simbolica: Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri già il 1° giugno 1947, Presidente del Consiglio dimissionario il 28 giugno 1992.

La novità è che i partiti hanno mantenuto la collocazione e i poteri rispetto alle istituzioni – continuano ad esercitare la proprietà privata incontrollata sulle istituzioni di tutti – ma hanno cambiato sostanza sociale: sono diventati sindacati di interessi socio-ideologici. Assecondando passivamente la frammentazione socio-culturale del Paese, si sono rinnovati quali rappresentanti dei frammenti. Incapaci di “ricomporre l’infranto”, sono diventati corporativi e agenti di corporativizzazione della società. Nati per fare da ponte tra interessi particolari e istituzioni universali, hanno occupato a fini privati anche le istituzioni. Era inevitabile che accadesse? Sì! E’ solo la conseguenza dello schema originario, per il quale i partiti erano il nocciolo duro della statualità, avendo essi rifondato lo Stato nel 1946-48. La modifica di questo schema del 1946-48 è ormai una necessità storica. Nessuno si può illudere che all’indomani del 25 settembre 2022 l’Italia avrà un governo stabile per cinque anni.

 

Editoriale da santalessandro.org, sabato 23 luglio 2022

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