LibertàEguale

La responsabilità politica del cristiano. Dal male minore al bene possibile

di Stefano Ceccanti

 

Intervento alla Fondazione Tarantelli – Roma, 21 ottobre

 

1-Le tre coordinate conciliari

Le coordinate con cui affrontare questo tema ci sono date da tre testi del Concilio Vaticano II che per un verso hanno recepito il portato positivo di esperienze storiche precedenti, principalmente le democrazie cristiane italiana, francese e tedesca, nonché la Presidenza Kennedy, e, per altro verso, hanno sollecitato sviluppi ulteriori, in larga parte sin qui non avvenuti, ma solo accennati.

La Dei Verbum, al paragrafo 8 B, un passo tanto caro all’abate camaldolese Benedetto Calati, ci ricorda che la comprensione della Rivelazione cresce e progredisce nella storia. Se così avviene per la Rivelazione tanto più dovrebbe valere per il cosiddetto diritto naturale, quella sorta di bozzolo di dottrine collegato alla Rivelazione sulla visione dell’uomo su cui poggiano spesso gli interventi legislativi proposti dalla Chiesa a tutti, a prescindere dalla condivisione della fede. Né la Rivelazione né il diritto naturale comunque inteso possono quindi essere descritti come un possesso statico e indiscusso di cui il singolo cristiano con responsabilità politica sarebbe mero esecutore con una sorta di mandato imperativo. Papa Francesco con Evangelli Gaudium si è inserito in quella apertura col richiamo al discernimento (n. 181), ma l’intuizione appare da sviluppare.

La Dignitatis Humanae, la dichiarazione sulla libertà religiosa, si riconcilia con tale diritto, dopo una lunga polemica non perché si arrenda a una forma di relativismo, ma perché relativizza il ruolo dello Stato: di fronte ad esso vale in questa materia così importante il principio liberale dell’ “immunità dalla coercizione” (paragrafi 1 e 2). Lo Stato si ritrae e accetta la propria funzione limitata: esso non ha il monopolio del bene comune. Si rifiutano quindi tutte le visioni statolatriche, sia quelle ateistiche sia quelle confessionalistiche.

La Gaudium et Spes al paragrafo 31 esprime una chiara opzione preferenziale per la democrazia il luogo della precedente indifferenza tra le varie forme di Stato: “ È poi da lodarsi il modo di agire di quelle nazioni nelle quali la maggioranza dei cittadini è fatta partecipe degli affari pubblici, in un’ autentica libertà. Si deve tuttavia tener conto delle condizioni concrete di ciascun popolo e della necessaria solidità dei pubblici poteri.” Questa opzione è del tutto coerente coi due aspetti precedenti. La democrazia verso cui ci si volge non è segnata da uno strapotere delle maggioranze, ma da un ruolo limitato dello Stato, è una democrazia liberale segnata da limiti interni (come il controllo di costituzionalità) ed esterni (le cooperazioni sovranazionali) ed è l’ambiente migliore per far crescere e progredire la comprensione della Rivelazione nel rispetto della dignità della persona.

Nel paradigma precedente, invece, ritenendo la comprensione della Rivelazione un dato statico e puntando quindi a uno Stato confessionale forte, in realtà l’indifferenza era più apparente che reale e si traduceva di fatto in una preferenza per Stati confessionali autoritari.

 

2-La premessa e il futuro delle coordinate conciliari: il ruolo bidirezionale dei cattolici in politica

Il cambiamento di paradigma che abbiamo descritto è stato appunto possibile perché la Chiesa non ha solo trasmesso ma ha anche appreso (come ammette esplicitamente Gaudium et Spes 41 quale condizione ontologica e non contingente del rapporto Chiesa-mondo) in particolare dalla negatività degli Stati autoritari confessionali e dalla positività delle democrazie liberali postbelliche.

L’apprendimento è in particolare avvenuto perché molti dei cattolici impegnati in politica non hanno solo portato in politica il loro vissuto personale e comunitario, ma hanno anche portato nella Chiesa la positività dell’apprendimento nelle assemblee elettive e nelle loro caratteristiche plurali. Valgano per tutte le puntuali ricostruzioni di padre Giuseppe Sale sul ruolo di De Gasperi nella sofferta accettazione dei principi di libertà religiosa e pluralismo da parte della Chiesa del tempo con forti livelli di tensione. E’ anche quello che ci ricorda lo storico Augusto D’Angelo sulle azioni di Moro nel far accettare il centrosinistra dei primi anni ’60 all’episcopato dell’epoca.

Questo ruolo non sembra essere stato esercitato in modo ugualmente coraggioso e fecondo in anni recenti, dove anzi si è corso costantemente un rischio di regressione, interrotto solo in alcuni momenti: in modo più forte e smitizzante sull’idea di possesso di una visione statica del diritto naturale con l’intervento dell’allora cardinale Ratzinger nel dialogo con Habermas e poi da papa nei due interventi al Bundestag e a Westminster.

Solo con l’attuale pontificato è stato fatto un passo in più, è stata di fatto abbandonata quella particolare declinazione dei cosiddetti “principi non negoziabili” che stabiliva tra di essi con la nota dottrinale del 2002 un’astorica graduatoria. E’ ovvio che ogni principio ha un’elasticità limitata di applicazione e che oltre una certa soglia l’elastico si spezza. Il punto è, però, che in ogni decisione vengono a incidere principi diversi e che la ricerca di soluzioni che li bilancino senza sacrificarli unilateralmente mal tollera rigide e astoriche gerarchie tra di essi.

Il superamento di fatto, al di là della nuova enfasi sul discernimento, non è ancora però chiara enunciazione di un modello diverso, più rispettoso delle coordinate conciliari e complessivamente coerente con esse.

 

3-Piste di futuro: depenalizzazioni, clausole di non punibilità e prevenzione, passaggio dal male minore al bene possibile

In particolare, in contrasto con la Dignitatis Humanae, sembra ancora prevalere l’idea di uno Stato forte in cui vari comportamenti ritenuti non conformi alla propria interpretazione del diritto naturale dovrebbero essere repressi con sanzioni, specie penali, quando invece il principio dell’immunità della coercizione dovrebbe consentire una maggiore autolimitazione che non significa chiamare bene il male, ma con la quale lo Stato, ammettendo la sua parzialità, rinuncia a punire, almeno in parte, fenomeni che possono essere prevenuti in altra forma.

Depenalizzazioni, clausole di non punibilità (che a differenza della precedente mantengono il reato ma chiariscono le condizioni in cui esso non è imputabile alla persona nel caso concreto), azioni preventive ed educative appaiono strumenti più efficaci e comunque per altra via comunque rispettosi di principi che non l’estensione massima del diritto penale. Come peraltro, prima del Concilio, segnalava in termini più filosofici Jacques Maritain ne “L’uomo e Lo Stato” e su cui, comunque la Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II proponeva qualche significativa apertura, specie al n. 71, affermando: “la pubblica autorità può talvolta rinunciare a reprimere quanto provocherebbe, se proibito, un danno più grave, essa non può mai accettare però di legittimare, come diritto dei singoli — anche se questi fossero la maggioranza dei componenti la società —, l’offesa inferta ad altre persone attraverso il misconoscimento di un loro diritto così fondamentale come quello alla vita.”

Anche le modalità concrete di come in una società pluralista e in uno Stato democratico in cui alle Corti costituzionali è demandata sulla base di principi scritti nelle Carte l’eventuale smentita delle maggioranze (e non alle prese di posizioni, per quanto autorevoli, del diritto naturale da parte di Chiese o altre realtà) si determina il cosiddetto male minore dovrebbero essere viste in un modo meno semplicistico di quello comunemente ammesso. In genere si ritiene, per poter ricorrere a tale criterio, come ancora continua a fare Evangelum Vitae al n. 73, che prima si debba concretamente determinare un male maggiore a cui solo in seguito sarebbe legittimo sottrarre una parte, come nello schema del referendum abrogativo.

Si fa invece ancora fatica a valorizzare lo scambio di idee, di punti di vista, il fatto che anche il raggiungimento di sintesi condivise, fatalmente distanti dai punti di partenza di ciascuno, costituisca anch’esso un principio e un valore. Bisognerebbe passare quindi dal concetto troppo restrittivo di male minore a quello più dinamico di bene possibile che valorizza invece maggiormente gli elementi di condivisione. Del resto Gaudium et Spes 43 ricorda che “ la Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano”.

E’ forse questo il lavoro più urgente da fare.

 

 

 

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