di Giorgio Armillei
Abbiamo letto di tutto in questi giorni a proposito della costituzione di Italia viva di Renzi. Un’operazione superficiale, ipocrita, rancorosa, infantile. Come il suo artefice. Quando è andata bene l’uscita di Renzi dal PD è stata definita inutile. Forse proprio da coloro – uno tra tutti, Franceschini – che la temono di più, al netto della superficialità dell’ipocrisia, del rancore, dell’infantilismo. Ma è davvero un’operazione inutile? Davvero le scissioni sono inutili? Meglio essere minoranza in un grande partito che maggioranza in un piccolo partito? Dipende.
Era inutile l’uscita del gruppo socialista moderato dal Labour finito all’estrema sinistra con Michael Foot all’inizio degli anni ottanta? Da quella scissione il Labour si riprese solo quando inventò Tony Blair. Era inutile la defezione dal partito democratico USA dei Reagan democrats negli anni ottanta per contrastare lo stallo leftist del partito? Da quella scissione il Partito democratico si riprese solo quando inventò Bill Clinton. È stata inutile la decisione di Macron di dar vita a LREM per liberare il voto liberale e riformista dalla gabbia del partito socialista e da quella di Les Republicains? Da quella decisione è nato il governo più riformista della Francia degli ultimi 25 anni. È stata inutile l’aggregazione Indipendent Group for Change nel Parlamento britannico per dare una sponda ai laburisti e ai conservatori insofferenti verso i loro leader? Anche da quell’aggregazione è nata la possibile diga all’ondata populista dei brexiteers.
Non tutte le scissioni sono inutili. La misura dell’utilità – cioè del peso politico – è una misura pragmatica che va raccolta non solo sul piano statico dell’attualità ma anche su quello dinamico della potenzialità. Le scissioni sono utili se si hanno consistenti risorse a disposizione per far sì che si tratti di qualcosa che si pesa e non solo si conta. Le scissioni sono utili se generano quello che Sartori chiamava il blackmail potential, cioè se generano soggetti, partiti o aggregati capaci di alterare e modificare le tattiche della competizione tra i partiti e soprattutto la direzione di questa competizione. Le scissioni sono utili se hanno un obiettivo trasformazionale (riconfigurare nel medio periodo l’assetto del sistema dei partiti) e non solo transazionale (guadagnare potenziale di coalizione e quindi giocare sul patronato delle cariche: ministri, vice-ministri, sottosegretari, presidenti di commissione).
La scissione di Renzi è utile? Innanzi tutto, diciamo che ha le sue ragioni, al netto del personaggio per molti urticante e al netto dei suoi tanti errori. Un pezzo di PD – dirigenti, iscritti, elettori – non ha mai digerito non tanto e innanzi tutto Renzi ma l’idea di un grande partito riformista di impianto liberale e democratico, a vocazione maggioritaria, necessariamente governista, con una leadership personalizzata e selezionata da un corpo elettorale vasto fatto di militanti, iscritti, elettori, simpatizzanti, semplici segmenti di opinione pubblica non mobilitata. Insomma, un pezzo di PD non ha mai digerito il PD, quantomeno il PD della relazione Vassallo di Orvieto 2006. L’ha dimostrato sterilizzandone il potenziale innovativo a partire dall’elezione unanimistica di Veltroni, beninteso Veltroni complice. L’ha dimostrato innalzando le barricate contro Renzi nel 2012. L’ha dimostrato inghiottendo l’amaro calice della leadership renziana solo dopo il tracollo della svolta veterosocialista di Bersani. L’ha dimostrato segando il ramo sul quale era seduto nel 2016 pur di mandare a casa Renzi.
Questo stesso pezzo di PD, in evidente sinergia con gli ex PD a suo tempo usciti in chiave antirenziana, sta ora tentando di traghettare una maggioranza e un governo di emergenza, saggiamente e coraggiosamente varato per ostacolare la deriva anti UE di Salvini, verso la formazione di un’organica alleanza nella quale non è difficile vedere anche i tratti di un Syriza 3.0 italiano, come il Syriza 2.0 greco prudentemente filo UE. E come il Syriza 2.0 greco, si potrebbe aggiungere, destinato prima o poi alla sconfitta. Ci si può chiedere se questo traghettamento costituisca una variabile interna, fisiologica, al perimetro strategico e ideale del PD o ne costituisca un suo sostanziale sovvertimento. La tentazione di rispondere sì, c’è di certo un sovvertimento, è questo pezzo di PD che sta uscendo dal PD di Orvieto, altro che Renzi, è molto forte. Ma si tratterebbe forse di una risposta affrettata. La domanda è tuttavia legittima e la risposta alla domanda a sua volta legittima un interrogarsi privo di irrigidimenti su scissioni e ricomposizioni.
Non solo. Si tratta di un traghettamento che si muove in direzione opposta a quella necessaria a riallineare il paese con il posizionamento dell’asse centrale del conflitto politico, nell’Unione europea come nei suoi stati membri. Questi ultimi si allineano lungo un asse che contrappone il populismo (sia quello con radici a destra che quello con radici a sinistra) al liberalismo. Il traghettamento giallorosso, quantomeno nelle intenzioni dei suoi sostenitori della prima ora, si allinea lungo un asse che contrappone populismo di destra (Salvini) a populismo di sinistra (PD e M5s). Tanto che il lavoro della sinistra liberale rimasta nel PD consiste oggi proprio nel tentare di evitare il collasso populista della maggioranza giallorossa: una strategia che appare essenzialmente difensiva, di riduzione del danno, schiacciata tra le esigenze di sostegno al governo – e quindi sotto ricatto del M5s – e quelle di coerenza con il suo profilo liberale e riformista.
Composta in diverse formazioni, più o meno forte, al governo da sola o in condominio, tutti gli elettorati dei grandi paesi dell’Unione dispongono di un’opzione liberale non marginale o gregaria. Germania, Francia, UK e in un certo senso anche Spagna sono in questa condizione: l’unica a esserne fuori è proprio l’Italia. Questo è il punto sul quale misurare l’utilità della scissione di Renzi. Riesce a riaprire la partita di un polo liberale di governo? Qui si tocca la differenza tra la diagnosi e la terapia. La diagnosi è argomentabile, l’abbiamo visto. La terapia lo è un po’ meno. È utile una scissione che parte come sola operazione parlamentare? È utile la scissione di una corrente che avrebbe comunque disposto di un potere di coalizione parlamentare, come la formazione del governo Conte 2 ha dimostrato? È utile una scissione che mobilita solo una minoranza già mobilitata?
Le scissioni non mi piacciono ma possono essere utili. Di questo si dovrebbe parlare, non di altro.
Funzionario del Comune di Terni. Già assessore alla Cultura a Terni, è stato collaboratore a contratto del Censis e della cattedra di scienza della politica, Facoltà di scienze politiche della LUISS.