LibertàEguale

La solidarietà come collante dell’integrazione europea

di Stefano Ceccanti

Premessa: il punto di vista dall’Italia verso l’Unione europea.

Dal momento che questo è un dialogo che parte da due voci, la mia e quella di Irene Tinagli, assumo un preciso punto di vista, di affrontare il tema a partire dalla mia angolazione, dall’Italia, dal Parlamento italiano con due semplici sottolineature di merito. E lo faccio nel giorno in cui ricordiamo il sacrificio di un grande italiano, Vittorio Bachelet, nei cui scritti civili e giuridici troviamo una forte insistenza, a partire dall’articolo 11 della Costituzione, sull’importanza dell’integrazione sovranazionale per dotarsi di livelli efficaci di Governo per risolvere i problemi delle persone.

Un primo punto: più che solidarietà direi più precisamente consapevolezza dell’interdipendenza.

Il primo punto di cornice che vorrei sottolineare è una precisazione sul titolo. La solidarietà allude alla mutualizzazione del debito, il punto di svolta di questa fase. Forse però varrebbe la pena di chiamarla più precisamente consapevolezza dell’integrazione. La mutualizzazione esprime solidarietà, ma deriva da essa.

Questa consapevolezza rompe la doppia narrazione populista che si alimentava a vicenda:

– quella dei populismi del Sud che descrivono in modo unilaterale le vicende di tutti questi anni come frutto esclusivo di una durezza calvinista del Nord, come se i limiti degli assetti attuali dei Paesi del Sud non derivassero anche e soprattutto da storture interne;

– quella dei populismi del Nord che descrivono i Paesi del Sud come una palla al piede di cui varrebbe la pena di liberarsi quanto prima.

Per queste ragioni il punto di svolta non è tanto dovuto all’emersione di un’improvvisa solidarietà, ma alla consapevolezza dell’interdipendenza da cui la solidarietà scaturisce. L’Unione europea non sarebbe affatto la stessa senza l’Italia e quindi il contributo più consistente del Next Generation Ue non è un generico umanitarismo, una generica solidarietà, è quello di esprimere una consapevolezza. Nel contempo, arrivati a un test decisivo, è evidente che non c’è Italia senza Ue e quindi il piano nazionale non può consistere in una generica programmazione dei fondi senza prendere sul serio fino in fondo il percorso della loro utilizzazione fino ai giusti vincoli sulla valutazione.

Il secondo punto è la centralità del correttivo presidenziale della forma di governo per affermare l’interdipendenza in due fasi, una difensiva ed una propositiva.

Dal punto di vista che ho scelto vorrei quindi spiegare quale è stato il punto di forza con cui si è imposta la consapevolezza dell’interdipendenza nel nostro Paese. Un esito non scontato, visto che i risultati delle elezioni del 2018 aveva segnato il successo di due vincitori, Lega e M5s, che avevano affermato allora posizioni euroscettiche.

Il fattore decisivo è stato il correttivo presidenziale della nostra forma di governo. Esso si è espresso in una prima fase in modo difensivo, come un parapetto rispetto alla formazione del Governo Conte 1, col rifiuto del Presidente Mattarella sulla base dell’articolo 92 della Costituzione di dare il via libera alla proposta di nomina come Ministro dell’Economia di Paolo Savona, autore di un piano per l’uscita surrettizia dall’Euro e quindi anche dalla Ue, che è uno dei pilastri del nostro ordinamento costituzionale.

È opportuno richiamare le parole puntuali del Presidente del 27 maggio 2018, che ci ricordano quanto siamo lontani, per fortuna, da quel contesto: il rifiuto di procedere alla nomina è motivato in quanto Savona era “sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’Italia dall’euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell’ambito dell’Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano. Quella dell’adesione all’Euro è una scelta di importanza fondamentale per le prospettive del nostro Paese e dei nostri giovani: se si vuole discuterne lo si deve fare apertamente e con un serio approfondimento”.

La seconda fase è stata propositiva ed è quella che si è espressa con particolare vigore nelle motivazioni con cui il Presidente ha conferito l’incarico a Mario Draghi, motivando in modo molto chiaro il rifiuto di procedere ad uno scioglimento anticipato soprattutto con la gestione tempestiva ed efficace dei fondi europei.

Anche qui vale la pena di richiamare le parole esatte del Presidente del 2 febbraio scorso: “Entro il mese di aprile va presentato alla Commissione Europea il piano per l’utilizzo dei grandi fondi europei; ed è fortemente auspicabile che questo avvenga prima di quella data di scadenza, perché quegli indispensabili finanziamenti vengano impegnati presto. E prima si presenta il piano, più tempo si ha per il confronto con la Commissione. Questa ha due mesi di tempo per discutere il piano con il nostro Governo; con un mese ulteriore per il Consiglio Europeo per approvarlo. Occorrerà, quindi, successivamente, provvedere tempestivamente al loro utilizzo per non rischiare di perderli”.

È del tutto evidente che senza questo correttivo presidenziale, almeno in questa fase, la nostra forma di governo non riuscirebbe a garantire prestazioni di unità, a preservare sul nostro lato la necessità dell’interdipendenza. Ma, appunto, di consapevolezza di interdipendenza si tratta, la solidarietà ne è una conseguenza.

Una piccola postilla finale: forse al termine degli anni in cui i fondi europei consentiranno un complessivo rifacimento del Paese, sarebbe anche bene che venisse affrontato e risolto il problema di dotarsi di solidi assetti istituzionali, debitamente riformati, che evitino di dover ricorrere costantemente e necessariamente al correttivo presidenziale.

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