di Giovanni Cominelli
Le parole che finiscono in “-ismo” hanno un infelice destino: quello di coprire troppi significati. Accade nella storia del pensiero, accade in politica… I significati più vanno in estensione, meno si radicano in intensione. E’ questo il caso di populismo, sovranismo, nazionalismo.
Il mito del popolo puro, vergine, originario. Con un capo unico
“Populismo” è l’idea che non esista una società, inevitabilmente articolata, divisa, frammentata, piena di interessi, conflitti sociali, guerre, tregue, paci provvisorie. No! Esiste “un popolo” come unità organica, pura, vergine, originaria. Solo “comunità”, non “società”. Suona meglio e forse più sinistramente in tedesco “Das Volk”. A meno che venga fornito di quattro ruote. In questo caso diventa solo una “Wolkswagen”. Questo popolo non ha bisogno del pluralismo politico; gli basta un Dux o, meglio ancora, un Führer. Un solo popolo, un solo Duce. Non servono le complicate geometrie istituzionali liberali, che pretendono di separare legislativo, esecutivo, giudiziario. Il Popolo governa, giudica, legifera.
Il nuovo populismo, all’epoca di Google, ha ipotizzato un salto quantico della democrazia: basta un click quotidiano di ciascuno e la Volontà generale sorge luminosa all’orizzonte. Non ha più bisogno di intermediari, di rappresentanti di interessi parziali, che tentino faticosamente di comporre le rispettive esigenze e che tendono a costituirsi in caste separate. Il massimo dell’individualismo, il massimo del collettivismo. E il Duce? E’ diventato l’Algoritmo.
Con ciò la Politica scompare, diventa Amministrazione tecnica. La Volontà generale comanda e piega sotto di sé i saperi, le competenze, l’informazione, la giustizia civile e penale, e l’amministrazione. E i programmi politico-elettorali? Sono pulsioni momentanee, risultanti dalla somma algebrica dei click. Mutevoli come le increspature quotidiane della Volontà generale. Ieri contro l’Euro? Oggi non più. Domani chissà. Facile riconoscere a questo punto l’identikit del M5S. E’ di destra, è di sinistra? Si tratta di articolazioni interne del tutto accidentali, definite da proiezioni esterne al Movimento, nelle quali esso non si può riconoscere. Queste differenziazioni portano le tracce di storie antiche precedenti, ma l’essenza del Movimento è ben altra. Sta al di là e al di sopra delle antiche divisioni sociali e di classe.
Donde è nato? Dall’indebolimento fatale della politica come mediazione di interessi e come governo, dovuta a molte cause circolari: il sistema politico-elettorale che ha prodotto stabilmente non-governi, il sistema giudiziario balzato davanti agli altri due poteri, il “quarto potere” dei mass-media entrato in alleanza fatale con quello giudiziario sia per esigenze commerciali sia perché organo e strumento di forti corporazioni, ostili naturalmente a qualsiasi governo forte. La politica ne è uscita distrutta, delegittimata, criminalizzata. Il curriculum decisivo per un “nuovo” eletto è quello di non averne nessuno, di non aver mai fatto politica e di non saperne nulla.
Il fallimento della governance europea e il nazionalismo
Il nazionalismo/sovranismo è un’altra storia. Esso è, in primo luogo, una proposta di collocazione internazionale dell’Italia e pertanto di una politica estera conseguente. Alle sue spalle sta la crisi del 2008 e l’incapacità europea di una gestione comune della crisi. E’ il fallimento dell’assetto intergovernativo della governance europea, in forza del quale i Paesi forti hanno dettato e dettano la politica a quelli più deboli. Nasce dalle contraddizioni di un assetto economico dell’Eurozona, dove vige sì una moneta unica, ma ci sono diciannove economie. E’ la mancata costruzione dell’Europa federale che ha prodotto i nazionalismi in Europa.
Per l’Italia, pressata dall’immigrazione e esposta passivamente all’avventura neo-coloniale franco-inglese e americana in Libia, a fini di petrolio, le conseguenze sono state anche più gravi. La politica italiana negli anni 2008-2016 ha oscillato tra risentimenti e piegamenti, tra un europeismo autoritativo-burocratico – l’Europa ce lo chiede! – e qualche cedimento ad un antieuropeismo soft, senza fare una battaglia su una propria proposta federale. Salvini ha investito su questo fallimento. La sua proposta nazionalista – l’Italia-fai-da te – non ha futuro, se non quello di una rottura dei rapporti con l’asse tedesco-franco, con il Nord-Europa e con l’Est Europa. Solo una sovrana e fragilissima solitudine.
Lo strano matrimonio tra M5S e Lega
Su quale piattaforma si basa, dunque, la convergenza con il M5S? Su una storia politica, innanzitutto. Perché, a partire dal 2011, il M5S e Lega si sono fatti le ossa e hanno conquistato voti in un’opposizione senza sconti contro tutti i governi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni. E poi, sul terreno dell’attacco alle élite politiche tradizionali. Si tratta di una convergenza politico-tattica: per il M5S le élite in quanto tali devono essere abolite; per Salvini solo “queste élite qui”, anche perché le vuole sostituire la propria.
Quanto all’Europa: per Salvini il no all’Europa è strategico, per il M5S è tattico. Il populismo ha usato il discorso anti-Bruxelles, nella misura in cui la proibizione dello sforamento del deficit oltre il 3% impedisca di aumentare il debito pubblico a fini di politiche assistenziali. E’ solo un’occasione strumentale per contestare, su questo come su altri temi, le élite. Sul tema cruciale dell’assetto della democrazia, Salvini tende, in alcune sue posizioni muscolari, alla “democrazia illiberale”, ma non sogna né l’abolizione della separazione dei poteri né la democrazia diretta. Come appare evidente, il nazionalismo ha incanalato rivoli di populismo nel proprio fiume. E si comincia a vederlo nei risultati elettorali e nei sondaggi.
L’alleanza M5S e Pd è impossibile. Di Maio e Salvini sono molto pericolosi
Se così stanno le cose, l’ipotesi di una futura alleanza di governo tra M5S e PD non ha basi né culturali né politiche. Dal punto di vista di una forza di sinistra liberale, federalista-europeista non ha senso. A meno che il PD non sia né sinistra liberale né federalista-europeista. Né ha senso stare a chiedersi chi è più pericoloso tra Salvini e Di Maio. Sono “pericolosi” ambedue, per ragioni diverse. Salvini, non perché sarebbe l’anticamera del fascismo, ma perché sta portando l’Italia nel vicolo cieco di un isolazionismo, in cui sarà messa nell’angolo da tutti: dall’asse antisovranista tedesco-francese, dai rigoristi del bilancio del Nord, dai Paesi di Visegrad anti-immigrati. Di Maio è, se possibile, anche peggio: per la sua idea della democrazia totalitaria, per il suo giustizialismo feroce. E per il suo assistenzialismo. Le politiche sociali volte all’eguaglianza stanno in piedi, se si crea ricchezza con lo sviluppo. Questa è sinistra. Se distribuiscono miseria eguale alle generazioni presenti, a spese di quelle future, allora è M5S.
Eppure è cresciuta, nei giornali che etero-dirigono il PD e, perciò, nel PD stesso, una folta schiera di nipotini di Sun Tzu, che disegnano tattiche a tavolino sugli scenari di alleanze PD-M5S. Il loro aedo è Massimo Cacciari su tutti i canali TV. E’ coerente, dopo tutto, con la sua antica teoria, scopiazzata da Carl Schmitt, dell’autonomia del Politico. L’idea è che il M5S sia una formazione instabile e friabile, destinata alla disintegrazione e che il gruppo dirigente del M5S sia maggioritariamente di sinistra, sia per cultura politica sia per biografie personali.
Alcuni esponenti del PD, appartenenti alla sinistra interna, ma non solo, hanno argomentato, già all’indomani del 4 marzo 2018, che essendo la Lega il nemico più pericoloso, bisognava tentare di ridurre il danno, alleandosi da subito con il M5S. D’altronde, esso avrebbe solo occasionalmente sottratto argomenti e voti al campo della sinistra, perché essa ha dimenticato colpevolmente le periferie e gli ultimi, per inseguire i ricchi, Prodi dixit! Perciò basterebbe riattivare questa memoria, perché le pecorelle, sotto momentanea e abusiva custodia del M5S, tornino all’ovile. Tutto questo tramestio di wishful thinkings – al quale nessuno dentro il M5S presta attenzione e, se lo fa, è solo per competizione con il PD o per l’antica logica democristiana dei due forni – ha solo uno sgradevole pregio: quello di mettere in evidenza la crisi di identità, di cultura politica, di programmi del PD attuale.
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.
Sono d’accordo in tutto credo che la linea Zingaretti possa rappresentare e costituire oggi la vera alternativa alla crisi identitaria del PD