di Claudia Mancina
Il libro L’apocalisse della democrazia italiana di Schadee, Segatti e Vezzoni (edizioni Il Mulino) analizza i due terremoti elettorali del 2013 e del 2018, proponendo una interpretazione di grande interesse, ancora maggiore dopo gli eventi dell’ultimo anno, che sembrano confermarla.
Lo schema di interpretazione proposto è molto diverso da quello che è stato prevalente nelle analisi post-voto.
Ci si interroga infatti non solo sui fattori di attrazione (verso Lega e 5 stelle) ma anche su quelli di repulsione (verso Pd e Forza italia). Consideriamo questo fatto abbastanza impressionante: nel 2008 la somma di voti di questi due partiti assommava al 70%, nel 2018 il 32%. Un crollo di quasi la metà in termini di voti assoluti.
Che cosa è cambiato, per giustificare un così pronunciato spostamento delle preferenze degli elettori?
Il libro propone due tesi principali:
La tesi “anti-Censis”
1- Quella che chiamerei la tesi anti-Censis. Questa tesi dice che il cambiamento non dipende da fattori morali o antropologici (il Censis ha parlato di sentimenti pre-politici); per esempio, non è cambiata nei gruppi campione l’opinione sugli immigrati, che era sempre negativa anche nel caso di elettori di sinistra.
E’ cambiata invece l’importanza di questo tema (salienza) sia per eventi reali (crisi degli sbarchi) sia perché un partito ne ha fatto il tema centrale della sua proposta politica.
Questa tesi anti-Censis ha una grande importanza, perché significa spostare l’attenzione dagli eventi oggettivi al modo in cui gli attori politici hanno risposto (o non risposto) a questi fattori oggettivi. Questo non significa che i fatti oggettivi – la globalizzazione, la rivoluzione tecnologica, la grande recessione del 2008-12 – non siano importanti, ma che non possono costituire un alibi per l’incapacità politica di governarli e di proporre soluzioni. Cioè va portata in primo piano la capacità e responsabilità politica dei partiti. Di destra e di sinistra.
Come hanno risposto i due partiti principali della Seconda Repubblica? Il libro identifica nel 2011 il tornante principale della perdita di autorità, quando, al culmine della crisi economica e finanziaria, sono stati incapaci di prendersi la responsabilità delle difficoltà e di una proposta di soluzione, nascondendosi dietro il governo tecnico. Napolitano fu accusato di una specie di colpo di stato non solo dall’opposizione, ma anche da una consistente area di elettori di sinistra, convinti che si sarebbe dovuti andare a votare. Questo è stato uno dei fattori della disaffezione degli elettori del Pd. Bisogna però ricordare che durante la segreteria Bersani il Pd non solo non aveva elaborato una proposta politica, ma nemmeno parlava di politica, limitandosi a discutere di alleanze. (Lo diremmo un vizio ricorrente; anche oggi rischiamo di perdere di vista la politica per concentrarci troppo sulle alleanze: dalla foto di Vasto alla foto di Narni). Il Pd era del tutto inconsistente come alternativa, non aveva idea di come affrontare il momento pericoloso in cui si trovava il paese; il presidente preferì mettere al sicuro gli equilibri finanziari, ed è difficile oggi dargli torto.
I partiti avrebbero potuto fare scelte diverse. Certamente hanno pagato quella mancanza di responsabilità; ma erano già destituiti di ogni credibilità, o autorità.
La crisi di autorità viene da lontano, a mio parere da prima di quel tornante. Per FI dalla mancanza di politiche efficaci quando è stata al governo e dal logoramento della figura di Berlusconi; per il Pd ancora peggio: tutta la storia post-comunista è stata un progressivo calo di credibilità, dovuta alla confusione di cultura politica, diventata, nel passaggio da una sigla all’altra, incertezza dell’identità. Il tema dell’elaborazione di una cultura politica effettivamente autonoma dal passato comunista, e adeguata a un partito di centrosinistra, è stato sempre accuratamente evitato da tutti i gruppi dirigenti, da D’Alema fino a Renzi, nell’illusione di non perdere consensi a sinistra. Con l’effetto, come accade in questi casi, di perdere credibilità e quindi consensi da tutte le parti.
In questo quadro da non dimenticare la riforma del titolo V, che apparentemente dava più poteri alle regioni, di fatto precipitava il paese in conflitti istituzionali che hanno aumentato la stagnazione generale.
In realtà da molto tempo i partiti hanno mostrato irresponsabilità e incapacità di governo. Da questo nasce la crisi di autorità che è esplosa nelle elezioni del 2013 e del 2018.
Il libro sottolinea che questa crisi di autorità si intreccia con l’emergere di una concezione della democrazia diversa da quella rappresentativa che è stata costruita negli ultimi secoli in Occidente.
Una democrazia invisibile o impolitica, cioè una concezione che si basa sull’idea che esista un comune sentire giusto e che i conflitti, e i conseguenti compromessi, siano dovuti a comportamenti deviati della classe politica, comportamenti che esprimono interessi personali o di gruppo. Questo ovviamente è uno degli aspetti principali del populismo: l’idea che esista un popolo omogeneo, in nome del quale il populista parla. Credo che sia importante essere consapevoli che il populismo è una tendenza, un punto di fuga, interno alla democrazia come tale; può essere tenuto in scacco solo quando le istituzioni funzionano bene e ci sono soggetti politici in grado di sottrarsi al populismo. Per questo i cedimenti sono così gravi.
Questa democrazia invisibile può assumere la forma della democrazia diretta (5 stelle) o plebiscitaria (Lega). In ogni caso si tratta di una seria sfida alla democrazia rappresentativa, una sfida della quale non possiamo prevedere gli esiti. E’ da qui che viene la tendenza ad allinearsi alle democrazie illiberali.
Il muro tra destra e sinistra
2- La seconda tesi è quella che c’è una impermeabilità dei consensi, addirittura un muro, tra sinistra e destra. L’analisi dei flussi ribadisce sempre che non c’è spostamento di voti da sinistra a destra o viceversa. Allora che cosa è successo nel 2013 e nel 2018? E’ successo che si è messa a disposizione un’offerta politica che non era né di destra né di sinistra, offrendo agli elettori delusi dell’una e dell’altra parte una opzione percorribile, e molto appetibile sullo sfondo della concezione della democrazia di cui sopra. In altre parole possiamo dire che il tripolarismo, del quale tanto si è parlato, era in realtà falso, cioè era un effetto del perdurante bipolarismo. Questa tesi è confermata dalle elezioni successive e dalla crisi dei 5 stelle, che si spiega soltanto se si pensa che siano stati una zattera per lo scontento e la protesta. Ma a sua volta questa tesi conferma quanto sia importante l’offerta politica.
Alcuni dubbi e riflessioni per il presente
Dubbi: l’analisi è concentrata sui 5 stelle, in realtà sulla Lega è carente e porta a uno schiacciamento sui 5 stelle. la Lega è un’altra cosa, non è solo Salvini, è un partito, ha una classe dirigente sperimentata, governa tutte le regioni più produttive del paese e le governa bene. Non è certo un caso che dopo il terremoto si stia affermando come l’unica forza stabile, mentre i 5 stelle si squagliano.
Penso poi che si dovrebbe dare attenzione anche a un altro “muro” della Seconda Repubblica, quello tra Nord e Sud, che è stato al centro delle elezioni del 2018. La Lega si è illusa di rompere questo muro ma non sembra in grado di farlo. E’ troppo presto per prevedere cosa succederà, ma certamente una interpretazione compiuta della attuale situazione del paese deve misurarsi con gli spostamenti di potere e di consensi nel Mezzogiorno. Senza una efficace politica per il Mezzogiorno l’Italia non potrà mai uscire dalla attuale tendenza al declino.
Oggi che fare? Sarà possibile recuperare credibilità e reputazione? La dirigenza attuale del Pd sta tentando di farlo in modo scomposto, producendo più che altro chiacchiere, come quella sul nuovo partito o partito nuovo (direi che da Togliatti a Occhetto a Veltroni il tema è stato ampiamente sfruttato e appare un po’ ripetitivo). O con l’idea dell’apertura alla società civile, anche questa non esattamente una novità. Solo una coerente e coraggiosa proposta politica può iniziare a risalire la china. E quindi una politica realistica sull’immigrazione, scelte chiare per lo sviluppo e la crescita, basta retorica sull’Europa o sull’ecologia (vogliamo dire finalmente che bisogna fare i termovalorizzatori?). Ma soprattutto, a conclusione della lettura di questo libro, prendersi la responsabilità delle scelte, e non trovare sempre alibi alle proprie non-scelte.
Infine, che cosa ci dicono le elezioni in Emilia Romagna? Si continua a dire che l’Emilia non è l’Italia, tuttavia la Lega prende il 32% senza che l’anima rossa emiliana lo impedisca. L’Emilia ci dice che per vincere occorrono due cose: una proposta politica seria, che non ceda al populismo, e un leader sufficientemente convincente. E naturalmente un sistema elettorale che consenta la vittoria, ma non voglio aprire qui la questione della legge elettorale. Bonaccini ha vinto senza i 5 stelle. Questo non significa che un’alleanza con loro non si possa fare, ma ci ricorda che le alleanze si fanno a partire dalla propria proposta politica, e non viceversa. E’ questa oggi l’alternativa di fronte al Pd.
(Intervento per la presentazione del libro L’apocalisse della democrazia, Il Mulino – Roma, 31 gennaio 2020)