di Elena Bonetti
Nei mesi scorsi si è manifestata l’ennesima crisi tra il governo gialloverde e la comunità scientifica, che ha iniziato a denunciarne pubblicamente il pensiero antiscientifico e il rischio di ingerenza dello stesso sul libero sviluppo della ricerca nel nostro Paese.
Le dimissioni di Ricciardi dall’ISS sono state l’ultima di una serie di fratture avvenute negli scorsi mesi: dalla rimozione di Battiston dall’ASI, alla conseguente dimissione della commissione che doveva sostituire la guida alla stessa agenzia, fino ad arrivare alla rimozione dei 30 esperti dal Consiglio Superiore di Sanità. Di ieri la notizia che il governo aveva avviato un’indagine di schedatura degli stessi scienziati sulla base anche delle loro idee politiche.
Ingerenza incostituzionale
Si sono susseguite in questi mesi doverose e nette prese di posizione di varie realtà scientifiche e accademiche, che hanno evidenziato le criticità dell’agire del governo. L’opinione pubblica e l’opposizione ne hanno di fatto denunciato l’ingerenza anti-costituzionale: per l’art. 33 della nostra Costituzione la scienza rimane libera e libero deve essere il suo insegnamento.
A novembre un editoriale apparso su Nature “Beware the rise of the radical right” indicava come un atteggiamento tipico di governi estremisti e populisti l’attacco al mondo scientifico e accademico, costretto da questi tipi di forze governative ad essere assoggetto al potere dello stato e verificato in base a presunti criteri di lealtà al regime politico. L’Italia, guarda caso, è citata in quell’articolo tra gli stati potenzialmente a rischio.
E’ quindi evidente che il governo stia dando segnali, anche in questo settore, che tendono a minare le radici della nostra democrazia. Tuttavia vorrei approfondire due ulteriori aspetti che credo vadano presi in considerazione come pericolosi processi di destrutturazione del nostro sistema sociale, libero e democratico.
Il primo aspetto riguarda il processo istruttorio e gli argomenti con cui l’attuale maggioranza di governo assume le proprie decisioni politiche. Smantellare e screditare il sistema scientifico significa privarsi di quella necessaria rete di persone e comunità formate, che offrono le competenze e gli strumenti oggettivi, reali, su cui basare le decisioni dell’esecutivo.
L’uno vale uno
Liberandosi di comunità competenti a cui rivolgersi si può affermare il processo decisionale diretto “dell’uno vale uno” in cui nulla deve essere dimostrato, argomentato, sottoposto a verifica. Il metodo scientifico che ha fatto grande il nostro paese, viene rinnegato a favore di una presunta forma di partecipazione collettiva diretta alla vita democratica, che ha al contrario l’esito di anestetizzare il pensiero e la capacità decisionale libera. A quel punto potrà accadere che davvero le scelte sulla legislazione che regola le vaccinazioni vengano assunte a sentimento personale o sulla base di sondaggi in rete per leggere il consenso delle azioni governative.
Stessa cosa per la valutazione di sostenibilità ambientale o di costi e benefici di investimenti tecnologici. Il paradosso consiste nel fatto che proprio questo meccanismo fintamente democratico ci espone ad essere burattini nelle mani di interessi privati e particolari, senza che nessuno possa liberamente e razionalmente argomentare contro di essi.
Una cultura democratica e libera
Il secondo aspetto è di tipo culturale ed educativo. Annichilire e mettere sotto sequestro il mondo scientifico significa screditare quel processo di conoscenza e costruzione di pensiero che permette alle coscienze di formarsi come libere e autonome. La scienza non è democratica, nel senso che una verità scientifica va dimostrata con argomenti universalmente verificabili, non votata dalla maggioranza. Tuttavia lo sviluppo di un pensiero scientifico è alla base di una cultura democratica e libera, capace di costruire comunità, contro l’individualismo dell’arbitrio.
Lo è perché ogni pensiero scientifico non nasce come verità assoluta, si pone costantemente alla verifica della propria fallibilità, accoglie il punto di vista altro e con questo si relaziona con argomenti mai personali, ma riconoscibili dalla comunità. E’ strutturalmente sociale e non individuale, parte da ciò che è avvenuto prima e si apre ad uno sviluppo del dopo. Non esiste una affermazione che è vera perché detta (o gridata) da qualcuno, o da molti. Una affermazione è vera se frutto di una dimostrazione o se dati sperimentali accreditati la avvalorano.
Una battaglia da fare
Abbiamo quindi davanti una battaglia educativa di cui la comunità scientifica si deve fare carico. Ma abbiamo davanti anche una sfida politica, che richiede la partecipazione di tutti i cittadini di questo Paese, donne e uomini che ancora credono nel valore della ricerca e della conoscenza, studenti e giovani che abitano le nostre scuole e le nostre università, fino ad arrivare alla nostra comunità politica e alle istituzioni della Repubblica.
Contro una maggioranza che intende costruire percorsi di ignoranza per controllare consenso inconsapevole, auspico che il Partito Democratico si adoperi per difendere i presidi democratici rappresentati dalla libera ricerca e dalla scienza e nel contempo sappia promuovere la diffusione di quel metodo scientifico necessario per formare cittadini liberi, capaci di discernimento e di scelta.
Vive a Mantova e lavora presso l’Università di Milano come professore associato di analisi matematica. Ha studiato matematica presso l’Università di Pavia, alunna del Collegio Ghislieri, laureandosi nel 1997. Ha poi conseguito il PhD in Matematica presso l’Università di Milano nel 2002. È stata componente della segreteria nazionale del Pd.