di Giovanni Cominelli
L’Italia è un Paese bloccato. A partire dagli anni ’80, si sono sviluppati dei “movimenti di liberazione” per sbloccare il Paese.
Tre movimenti che hanno tentato e fallito
Chi mise la faccenda sul piano “etico”, sulla scia di Enrico Berlinguer, attribuì la colpa del blocco alla corruzione della “casta” politica e fece dei giudici l’avanguardia del movimento di liberazione. Mani Pulite, la Rete, i Girotondi e il M5S appartengono alla stessa filiera.
Una seconda filiera di liberazione fu costruita dalla Lega Lombarda, dalla Liga Veneta e dalle varie Leghe e Movimenti autonomisti, che nacquero negli anni ’70 e che si saldarono agli inizi degli anni ’90 nella Lega Nord. Essi individuarono nello stato centralistico unitario la causa del blocco. Donde varie soluzioni in successione: il sindacalismo politico del Nord, il secessionismo della Padania, il federalismo. Salvini ha proiettato il secessionismo su scala europea.
Il terzo movimento di liberazione fu quello referendario: il problema era il cattivo funzionamento del sistema politico, in particolare l’instabilità patologica e la breve durata dei governi, che gettava la politica in mano alle potenti corporazioni socio-economiche e alla più stabile Amministrazione statale.
Questi ultimi non erano pensieri improvvisi. A parte le elaborazioni presidenzialiste di Costantino Mortati e di Piero Calamandrei, presentate con scarso successo nell’Assemblea costituente, e quelle successive di Randolfo Pacciardi, Craxi aveva già proposto nel 1979 e poi lanciato da Rimini nel 1982 la “Grande riforma”, che andava in direzione di una Repubblica presidenziale.
Ma, come ricordò Giorgio Napolitano, in una lettera alla signora Anna Craxi, in occasione del decennale della morte di Bettino Craxi, “l’elemento maggiormente innovativo della riflessione e della strategia politica dell’on. Craxi non si tradusse in risultati effettivi di avvio di una revisione della Costituzione repubblicana”. L’accusa di autoritarismo gli fu subito scagliata addosso dal PCI. Questa accusa sarà una costante della storia della sinistra: l’ultima vittima ne è stato Matteo Renzi.
I tre movimenti subirono una forte accelerazione dal crollo del Muro di Berlino, le cui macerie si abbatterono sul sistema partitico nazionale, mandandolo in frantumi e con ciò liberando, al momento, la strada dall’ostacolo più forte per ogni riforma istituzionale…
Il fallimento del tentativo di Seconda repubblica
Ma il movimento referendario – che qui ci interessa – scelse la via relativamente più facile: non la proposta di una Repubblica presidenziale, ma quella di un sistema elettorale maggioritario. Si pensava che la riforma costituzionale sarebbe seguita in automatico. Dopo gli interventi della Corte costituzionale e quelli legislativi dei partiti, ne uscì il Mattarellum: un sistema maggioritario a turno unico, corretto dai partiti con il 25% di proporzionale, per fini di salvezza partitica.
Il tentativo di passare dal sistema elettorale maggioritario ad una Seconda repubblica (semi-)presidenziale fallì all’interno della Commissione bicamerale, presieduta da D’Alema, perché nessun partito – neppure quello nuovo di Forza Italia – era disponibile a riconoscere ai cittadini il potere di scegliere direttamente il capo del governo.
In questa logica il cambio del sistema elettorale non è finalizzato all’Institution building, ma a far vincere “definitivamente” la prossima competizione elettorale. Perciò Berlusconi fece fallire la Bicamerale: temeva che alla scadenza della legislatura nel 2001 Prodi avrebbe ri-vinto le elezioni. Invece vinse lui. Ma nel 2005, per assicurarsi la vittoria nel 2006, cambiò il Mattarellum in Porcellum. Invece fu sconfitto.
Di lì in avanti, incominciò e prosegue un trapestio inconcludente dentro e tra i partiti: tutti dichiarano di volere un governo che duri cinque anni, ma nessuno vuole un governo istituzionalmente forte. Chi ci è andato più vicino è stato Renzi con l’Italicum e con le proposte di modifica istituzionale. Ma anche in questo caso il tabù della mediazione partitica della volontà politica degli elettori non è stato superato.
Quando il blocco del Paese diventa particolarmente insopportabile per i cittadini – non per tutti – perché stare in permanente surplace, senza andare avanti e senza cadere, esige un faticoso e sterile dispiego di energie, allora si vede scendere dal Sinai un nuovo Mosé, che propone al popolo disperso nel deserto di seguirlo sulla via della Terra promessa.
Il popolo vorrebbe semplicemente un Paese normale, dove i governi governino per cinque anni, la giustizia funzioni, la burocrazia sia al servizio dei cittadini, delle famiglie e delle imprese, la gente paghi le tasse, i giovani trovino lavoro e facciano figli. Un Paese come tanti in Europa: non il Bengodi, non l’assenza di conflitti, non il paradiso terrestre. Il Mosè di turno si presenta sempre con un afflato salvifico: prima Berlusconi, poi Grillo, poi Renzi, Salvini… tutti hanno promesso di mettere in movimento le acque fradice della palude immobile della politica italiana. Bastava liquidare i nemici: il Comunismo, la Casta, l’Europa…
La nuova avventura di Renzi
Solo che lo sbarramento è il sistema politico-costituzionale stesso, radicato nella Costituzione più bella (sic!) del mondo, quando il mondo era assai diverso da quello di oggi. Di questo sbarramento i partiti fanno parte organica. Benché bloccati nel reciproco assedio – come lucidamente lo definì Aldo Moro – tutti condividono l’idea che è solo attraverso la loro mediazione che si può fare un governo. Ma si tratta di un sistema che non prevede che il Paese sia governato, semplicemente.
Pertanto, nessuna perturbazione, ristrutturazione, rifondazione, scissione nel sistema politico e nei singoli partiti che non si ponga l’obbiettivo di un radicale Institution building ci porterà fuori dal deserto. E nessuna modifica, ritocco, radicalizzazione del sistema elettorale aprirà automaticamente la strada ad un nuovo sistema politico-istituzionale, una nuova Repubblica. Vale l’opposto: un progetto di riforma istituzionale richiederà un nuovo sistema elettorale.
Perché la scissione non sia un déjà-vu
E’ qui che si decide il futuro della “scissione” di Renzi: preziosa, se sarà in grado di mettere in movimento i cittadini per una nuova Repubblica, oggi esterni al circuito bloccato e autoreferenziale dei partiti in perenne lotta tra di loro, ma unanimi nel difendere il monopolio nella scelta del governo. Questa logica partitica è la prima causa dell’insorgenza dell’antipolitica, sia nella forma attiva del voto a partiti sedicenti anti-casta sia nella forma del crescente astensionismo. Non è l’Anti-politica, è l’Anti-partitica.
Matteo Salvini vuole il maggioritario completo, perché è convinto, sondaggi alla mano, di poter vincere le prossime elezioni? Dovrebbe essere sfidato, non anatemizzato. Al tavolo potrebbe forse maturare l’idea di un accordo generale per una Repubblica presidenziale. Rispetto alla quale un sistema elettorale a doppio turno sarebbe coerente: il primo voto al tuo partito, il secondo eventuale al candidato più vicino. Ci sarebbe spazio per tutti: per i cittadini/elettori e per i partiti. Diversamente, “la scissione” sarà solo un dèjà vu.
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.
Fatico a comprendere l innamoramento per il presidenzialismo. Il presidenzialismo funziona con difficoltà negli Stati Uniti che hanno una storia unica e che quando si formarono conoscevano solo esperienze monarchiche. In tutti gli altri paesi ad es latinoamericani non funziona. Lo stesso il semipresidenzialismo che funziona benino solo in Francia. Meglio un premierato alla tedesca penso
Lucida ricostruzione della crisi della politica italiana, vista dal punto di vista del palazzo. Nella società, nell’arco di tempo considerato, è andata in crisi la democrazia come modello esemplare, la sua caratteristica nazionale in rapporto con la globalizzazione del capitale economico e finanziario. La caduta delle ideologie ha favorito la prevalenza dell’opportunismo in tutti i partiti. Ecc.