LibertàEguale

Le ragioni della fondazione del Pd sono ancora valide

Intervista a Stefano Ceccanti, Italia Oggi 18-01-2023

 

«Se si volesse identificare il cattolicesimo solo con le frange di sinistra radicale, escludendo il cattolicesimo democratico, che è per definizione anche liberale, non staremmo parlando del Pd, ma di un partito minoritario della sinistra». Stefano Ceccanti, costituzionalista dell’università La Sapienza, già parlamentare del Partito democratico e componente dell’Assemblea del partito, appartiene alla categoria dei cattolici impegnati in politica sin dai tempi della presidenza nazionale della Fuci, gli universitari cattolici. Nel confronto -scontro- per la ricostruzione del Pd, Ceccanti replica a Goffredo Bettini proprio sul ruolo dei cattolici (la sua elaborazione «valorizza il pensiero di alcune frange di sinistra radicale del mondo cattolico che hanno pieno diritto di cittadinanza in partiti di sinistra, ma che non fanno parte del cattolicesimo democratico»). E in merito al rischio di scissione del partito avverte: «Se dovesse accadere non si tornerebbe alle due identità precedenti, che erano già logorate, creeremmo un vuoto destinato ad essere riempito da altri». Pronti, ad agguantare il bacino elettorale, ci sono addirittura due contendenti: «Terzo polo e 5stelle».

 

Domanda. Sabato all’assemblea del Pd approverete la nuova Carta dei valori, riscrivete il dna del partito?

Risposta. Alcune settimane fa con il gruppo che ha dato vita al documento “Per una vera fase costituente”, gruppo composto da persone che sostengono diversi candidati alla segreteria, quindi trasversale, abbiamo promosso una riunione a cui hanno partecipato tutti e quattro i candidati e il segretario Enrico Letta. Lì tutti hanno convenuto esplicitamente che non ci potesse e non ci dovesse essere un’approvazione definitiva da parte di un’assemblea eletta quattro anni fa e che non aveva ricevuto alcun mandato di quel tipo.

D. Eppure la segreteria di Letta sta preparando la nuova Carta.

R. È stato fatto un lavoro istruttorio dai componenti del Comitato ed è giusto riconoscerlo. L’Assemblea troverà il modo di farlo proprio in una funzione referente, trasferendolo quindi alla nuova Assemblea eletta con le primarie, la quale anche sulla base delle discussioni di queste settimane con iscritti ed elettori, dovrà avere la funzione deliberante.

D. A che esigenza risponde la spinta ad approvare un Manifesto che la prossima assemblea potrebbe decidere di modificare?

R. Un processo costituente è fatto di varie fasi. Non può autoattribuirselo per intero, in senso pieno, un organo, come l’assemblea attuale, che non ne ha il mandato esplicito da parte degli elettori. Può certo avviare un processo, una fase pre-costituente, che però va poi consegnato a un organo elettivo di nuova legittimazione. Così anche sui temi del Manifesto, una volta che conosceremo questa bozza di testo, si potranno confrontare i candidati alla segreteria e quelli all’assemblea con iscritti ed elettori.

D. Lei è stato tra quanti hanno contributo a stilare la Carta attuale. A che esigenze rispondeva?

R. A dir la verità io allora lavorai sullo Statuto, che però era strettamente compenetrato. A me il punto chiave, tuttora valido, pare sia questa affermazione che è la premessa di tutte: «Nel Partito Democratico confluiscono grandi tradizioni, consapevoli della loro inadeguatezza, da sole, a costituire questo riferimento». Come ha detto Giorgio Tonini (all’Assemblea di Orvieto dell’associazione Libertà Eguale di sabato scorso, ndr) quel passaggio significa che da allora i democratici sono un soggetto, mentre prima democratico era solo un aggettivo di una identità definita anzitutto da un altro sostantivo, «cattolicesimo democratico», «socialismo democratico»…

D. Anche lei ritiene sia superata?

R. Questa intuizione fondamentale non è superata altrimenti non staremmo facendo una revisione della costituzione del Pd, staremmo facendo la costituzione di un altro partito. Che poi singole affermazioni possano essere modificate, integrate, che altri elementi ulteriori possano essere introdotti, tutto è discutibile, in un dibattito che deve avere tutto il tempo e il consenso necessario. Pochi mesi fa siamo intervenuti in Parlamento per introdurre il diritto all’ambiente sull’articolo 9 della Costituzione della Repubblica italiana, articolo che sta nella parte dei principi fondamentali, fino ad allora mai modificata, figurarsi se non si possa intervenire sulla costituzione del Pd. Però con la consapevolezza di quel vincolo, di quel principio supremo.

D. I sondaggi danno in continuo calo il PD, dalla sconfitta di settembre ad oggi perso un ulteriore 5%. Che cosa non ha funzionato?

R. Da quando il segretario si è dimesso e ha dichiarato che non si ricandida, il Pd è in una sorta di sede vacante, è pressoché impossibile riconoscersi in esso. Per questo il Congresso avrebbe dovuto farsi in tempi ben più brevi. Pur con questi ritmi lenti il Congresso può invertire il processo. Di irreversibile non c’è nulla. Mi sembra in particolare che già negli ultimi giorni coi candidati chiaramente in campo il trend negativo si sia arrestato.

D. Tra le idee per rilanciare il partito, Goffredo Bettini analizza la necessità anche di un impegno dei cattolici in chiave anti liberale. Lei da cattolico impegnato in politica e nel PD cosa ne pensa?

R. Ho trovato contraddittorio l’intervento di Bettini, tra le premesse e le argomentazioni. Nelle premesse parla di cattolicesimo democratico, si rivolge a Pierluigi Castagnetti e cita Jacques Maritain. Quando poi argomenta associa però questi elementi a contenuti che non hanno in niente in comune con questi riferimenti.

D. In che senso?

R. Basti pensare che Maritain è, insieme con altri, all’origine della svolta conciliare su democrazia e libertà religiosa a partire da una riconciliazione con il liberalismo americano. Bettini valorizza il pensiero di alcune frange di sinistra radicale del mondo cattolico che hanno pieno diritto di cittadinanza in partiti di sinistra, ma che non fano parte del cattolicesimo democratico. A quelle frange uno dei più importanti estensori cattolico democratici del Manifesto Pd, Pietro Scoppola, dedicò alcune pagine molto critiche del suo La nuova cristianità perduta, nella parte su «Disgelo conciliare e contestazione», segnalando che alcune arretratezze del cattolicesimo preconciliare si fossero ribaltate a sinistra nel post concilio con forme «di terzomondismo emotivo, di spinta a sinistra incontrollata» che andava direttamente al confronto col comunismo saltando quello con l’area laico-liberale in nome di un rifiuto «del progetto capitalistico» basato su «una tendenziale lettura mondana dell’escatologismo cristiano». Una lezione che vaccinò moltissimo noi della Fuci di allora.

D. L’uscita di Bettini non sconta di fondo già una spaccatura del Pd in due opposti fronti?

R. Non vorrei fare un processo alle intenzioni, però se si volesse identificare il cattolicesimo solo con quelle frange escludendo il cattolicesimo democratico, che è per definizione anche liberale, non staremmo parlando del Pd, ma di un partito minoritario della sinistra.

D. Ma non è invece possibile che sia la fusione all’origine del PD tra ex democristiani ed ed comunisti a non essere mai riuscita?

R. Il problema è che per alcuni, come Massimo D’Alema che non l’ha affatto nascosto, quella fusione non andava nemmeno tentata e l’hanno accettata solo per triste necessità. Se la dichiarassimo fallita, cosa che non è, non risbucherebbero le identità precedenti, che erano già logorate, creeremmo un vuoto destinato ad essere riempito da altri.

D. Da chi?

R. Ad oggi il Pd ha già ai fianchi da un lato il Terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi e dall’altro i 5stelle di Giuseppe Conte, due contendenti molto conflittuali già orientati a ridimensiorarcii nel 2024, nella  prova delle Europee dove il voto sarà proporzionale. La politica non conosce vuoti, una spaccatura ora sarebbe una follia. Anche perché se si craesse un vuoto si potrebbero inserire anche altre proposte nuove e non prevedibili.  Alle Europee è spesso aaccaduto, basti pemsare a quello che accadde con l’exploit della Lista Bonino e dei Democratici di Prodi nel 1999

D. Bonaccini e Schlein si contendono la sfida per le primarie. Che idea di partito rappresentano? Su vocazione maggioritaria, lavoro, redistribuzione della ricchezza, rapporto tra stato ed economia?

R. Lasciamo il tempo ai candidati di presentare le loro mozioni integrali e così ci faremo un giudizio preciso. Nel frattempo parla soprattutto l’ultimo passaggio, quello delle regionali emiliane. Stefano Bonaccini ha fatto il candidato Presidente, dimostrando un’impronta riformista effettiva e raccogliendo su quella un numero molto elevato di consensi andati al solo Presidente, oltre le liste. Elly Schlein ha rappresentato molto bene uno spicchio significativo di consensi a sinistra del centro. Questa differenza dice già molto.

D. Lei quale sposa?

R. Lo abbiamo detto a Orvieto con quella parte delle persone di centrosinistra di Libertà Eguale, realtà plurale, che fanno riferimento al Pd: l’opzione Bonaccini è molto più convincente.

 

 

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