LibertàEguale

Le sfide della Spid-democracy

di Giovanni Cominelli

 

Grazie all’avvento dello SPID per firmare una proposta referendaria i cittadini che esprimono opinioni, desideri, suggerimenti non sono più rinchiusi nel recinto vociante dei social, nel quale, nonostante le apparenze, esistono solo gli individui, non la società. La Thatcher avrebbe ragione a sostenerlo almeno per quanto riguarda la società dei social. Grazie all’elettronica e allo Spid le opinioni, singole o coagulate in correnti più robuste, possono ora interagire direttamente con le istituzioni politiche, possono diventare “pubbliche”. Sulla necessità di regolamentare questo flusso emergono opinioni diverse. Stefano Ceccanti ha già avanzato una proposta per quanto riguarda la raccolta delle firme digitali a fini di referendum: arrivate a 100 mila, la Corte costituzionale dovrebbe dare un giudizio di ammissibilità dei quesiti…

Ad ogni buon conto, si aprono scenari nuovi per la democrazia italiana. L’apporto informatico servirà a migliorarla? Non è affatto detto. Non sono le voci dei cittadini che mancano, è la loro canalizzazione istituzionale il problema.

L’architettura della democrazia liberale è nota: cittadini-elettori, partiti politici, istituzioni politiche. La dinamica delle loro relazioni reciproche: i cittadini generano opinioni, i partiti le assemblano, le selezionano, le elaborano – secondo propri legittimi criteri di fazione – le indirizzano verso le istituzioni politiche. Il Parlamento e il Governo le restituiscono sotto forma di decisioni. Così, almeno, dovrebbe funzionare! L’art. 75 della Costituzione ha reso più complesso questo schema classico, perché ha valorizzato il canale diretto tra cittadini e istituzioni, bypassando così l’esclusiva rappresentanza partitica, per via di referendum consultivo o confermativo o abrogativo. Dal 1946 ad oggi in Italia si sono svolti 74 referendum nazionali, di cui 67 referendum abrogativi, un referendum istituzionale, un referendum consultivo e 4 referendum costituzionali. E’ a partire dagli anni ’70 che l’istituto del referendum è divenuto politicamente e istituzionalmente incisivo. Basterà ricordare, tra i tanti, quello del 1974 sul divorzio e quello del 1991 sulla preferenza unica. Occorre aggiungere che i partiti, coinvolti nelle avventure referendarie, a volte promotori indiretti, a volte strascicando i piedi, spesso punti sul vivo, sono quasi sempre riusciti a recuperare lo spazio di rappresentanza, che il referendum sottraeva loro.

Anche dopo il referendum del 1991 sulla preferenza unica, difesero accanitamente i propri spazi – per es. il 25% di proporzionale – con il Mattarellum e poi li recuperarono ad abundantiam con il Porcellum.
Ora, l’avvento della democrazia dello Spid per un verso accentua fortemente la dimensione referendaria della democrazia italiana e, per l’altro, sorprende i partiti in una condizione di grave incapacità di intermediazione tra cittadini e istituzioni politiche. Il sistema dei partiti resta fortissimo nel rapporto con lo Stato politico – con il potere legislativo, esecutivo e giudiziario – perfino con lo Stato amministrativo, ma è sempre più debole nel rapporto con i cittadini. Alla alfabetizzazione politica e alla mobilitazione sociale i cittadini provvedono sempre più da sé, spesso assai malamente. Così il ponte dei partiti appare interrotto e diroccato: regge la campata verso la sponda dello Stato, ormai impercorribile quella verso i cittadini. I sondaggi sulla reputazione dei partiti sono eloquenti. I partiti fingono di non accorgersene, anche perché la loro legittimazione di fronte a se stessi risiede più nel rapporto con lo Stato che con la società. Non occorre molta attitudine alla profezia per prevedere un’ebollizione referendaria – già anticipata dalle migliaia di petizioni attraverso Change.org – e, pertanto, una delegittimazione ulteriore del ruolo dei partiti e, più in generale, un venir meno del loro ruolo di filtro e di “addomesticazione” di ogni impulso primario proveniente dalla società civile/incivile.

Una rapida riprogettazione dell’architettura della democrazia italiana è dunque urgente. L’ondata populista, anti-elitista e anti-partito registrata in quest’ultimo decennio non si è affatto spenta. Perché il suo punto di origine non sta in un preteso populismo originario della società civile italiana, ma nel fatto che il rappresentare dei partiti si traduce sempre meno nel decidere. La crisi della rappresentanza partitica è figlia della crisi di capacità di governo e questa genera inevitabilmente la sfiducia nelle classi dirigenti e nei partiti. I partiti occupano prepotentemente le istituzioni pubbliche e di governo, non per fornire input di decisioni, ma per paralizzarle. La controprova, evidente agli occhi dei cittadini, è che quando essi non occupano pienamente le istituzioni di governo – vedi governo Draghi – il governo funziona molto meglio. La non-decisione è il tarlo della democrazia liberale, la cui crisi é crisi di potenza e di decisione. Criterio di giudizio sul funzionamento della democrazia è la sua capacità di prendere decisioni giuste e rapide, nella misura richiesta dalle urgenze del tempo presente.

Ora, la democrazia dello Spid spinge beneficamente ad un nuovo riallineamento di cittadini-partiti-istituzioni.
Da anni i partiti si trastullano in dibattiti sulle istituzioni e sulle leggi elettorali, avendo lo sguardo ossessivamente alla prossima scadenza elettorale. I segnali che arrivano dal mondo “là fuori”, dall’Afghanistan al nuovo Patto AUKUS, ci avvertono che il tempo della melina sta finendo. La storia sta passando altrove. Non è detto che ci ripassi davanti, se non edifichiamo le istituzioni capaci di frequentarla.

 

Editoriale da santalessandro.org, sabato 18 settembre 2021

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