di Stefano Ceccanti
Lettera al direttore Claudio Cerasa, Il Foglio 19 novembre 2022
Caro direttore,
ci sono due riflessioni che Goffredo Bettini molto autorevolmente rilancia e che mi sembrano difficilmente compatibili con il profilo che ha sin dall’inizio il Partito Democratico e che appaiono quindi preoccupanti specie se, sulla base della sua autorevolezza, dovessero rivelarsi tesi maggioritarie.
La prima è la rivalutazione della Rivoluzione d’Ottobre, della pretesa spinta propulsiva iniziale, che in ultimo ripropone su The Post internazionale del 18 novembre.
Ora in Europa e nel mondo le forze di centrosinistra si sono in realtà identificate nella Rivoluzione democratico-liberale del febbraio 1917 che aveva già demolito il regime zarista e sono stati identificati con Kerensky, non con Lenin. Celebre è peraltro lo scontro telefonico tra Kissinger e il socialista Mario Soares nella fase rivoluzionaria portoghese, in cui il primo non casualmente, identificandolo con Kerensky ,lo criticava a torto di mollezza verso i comunisti e gli profetizzava che ne avrebbe fatto la stessa fine. Soares non respingeva l’identificazione con Kerensky, ma garantiva che l’esito sarebbe stato diverso e così per fortuna accadde.
La seconda è quella sul cattolicesimo democratico, su cui si era già espresso nel giugno scorso. Bettini appiattisce l’intera Dc sulla destra e si rivolge a un generico cattolicesimo democratico, inteso come una somma di forze sociali, del volontariato, ecc., prive di una cultura politica nel senso forte del termine e come tali destinate ad essere mediate politicamente da altri, in uno classico schema da Fronte Popolare. Così facendo, contrariamente a quanto crede di interpretare Pomicino sul vostro giornale, non riprende affatto tesi di Pietro Scoppola, ma anzi fa esattamente il contrario. Per Scoppola il cattolicesimo democratico nel primo sistema dei partiti si era largamente sovrapposto ad una parte dell’esperienza della Dc italiana, diversa in questo dalla Cdu tedesca, partito di centro-destra, a causa del fatto che la sinistra italiana era l’unica con un’egemonia comunista e questo obbligava a un’unità altrimenti impossibile. Di conseguenza dopo la svolta del 1989, che archiviava il riferimento al comunismo, il cattolicesimo democratico poteva svolgere un ruolo diverso nell’incontro tra tutti i riformismi, prima nell’Ulivo e poi nel Pd. Ma appunto come cultura politica, non come somma di esigenze sociali.
Se però, e qui i due punti si saldano, si riscopre con la propria autorevolezza una nostalgia dell’identità comunista, della Rivoluzione di ottobre anziché di quella di febbraio, si minano le basi del Pd, che nasce sull’idea dell’unità dei riformisti e non di un’unità frontista della sinistra.
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.