di Carlo Fusaro
Corre l’anno 2008, gennaio. Sfiduciato al Senato si dimette il II governo Prodi, l’unico della XV legislatura: sostenuto da una ventina (20) sigle e con la partecipazione di tredici (13) di esse, la compagine governativa più massiccia del dopoguerra, centodue (102) fra ministri, viceministri e sottosegretari (oggi non si potrebbe: massimo possono essere 65).
L’occasione fu il ritiro del sostegno del minipartito di Mastella e consorte, ingiustamente coinvolti nella solita inchiesta (ma questo come sempre fu stabilito solo anni dopo); la causa reale proprio l’accozzaglia di tanti partiti diversi, obbligata dal fatto che il premio previsto dalla allora nuova legge Calderoli, voluta dal centrodestra nel 2005, funzionò alla Camera ma ovviamente non servì al Senato dove, per errore o astuzia, era attribuito regione per regione (non sul voto nazionale): un indiscutibile difetto.
Dopo qualche tentativo, il presidente Napolitano sciolse le Camere.
Intanto però, dopo il bellissimo discorso di Walter Veltroni del 27 giugno 2007 al Lingotto, era stato fondato nell’ottobre successivo il Partito democratico a vocazione maggioritaria, primo segretario proprio Veltroni.
Furono le vicende del governo Prodi II a imporre per la prima volta la sacrosanta parola d’ordine: mai più coalizioni tenute insieme con lo sputo, “buone a vincere le elezioni, ma non a governare”. Cioè esattamente la motivazione, accattivante ma ingannevole, con la quale alcuni, nel 2022, non paghi di avere una legge proporzionale per più di due terzi, la vorrebbero trasformare in proporzionale integrale. La ratio sarebbe questa, appunto: i 3/8 di collegi uninominali, per la conquista dei quali le liste possono con la legge Rosato apparentarsi, sarebbero un irresistibile incentivo a stringere coalizioni ingannevoli volte ad acchiappar voti ma non a governare.
Par di capire che i proponenti della proporzionale integrale con questa motivazione, evidentemente donne e uomini dalla volontà debole, ritengano indispensabile non essere messi in tentazione…
Ora a parte che nel 2018 se la coalizione di destra si è divisa (la Lega andando con il M5S, Forza Italia e Fratelli d’Italia no) è perché non avevano affatto vinto (nel senso di ottenere la maggioranza), la vicenda del 2008 dimostra che leader degni di questo nome, se vogliono, possono evitare le finte coalizioni che non sono affatto imposte dalla legge!
Infatti, e torno al 2008, Walter Veltroni annunciò che il PD sarebbe andato da solo, e così fece (salvo imbarcare la sola Italia dei Valori): inducendo Berlusconi a fondare il Popolo delle libertà e fare altrettanto. E sì che non c’è paragone fra la legge Calderoli e la legge Rosato: la prima attribuendo la maggioranza di (allora) 340 seggi alla Camera alla coalizione con anche solo un voto più delle altre era molto più premiante di quanto non sia la Rosato (che oltretutto prevede non solo lo sbarramento del 3% per l’accesso ai seggi, ma anche quello dell’1% al di sotto dei quali i voti di una piccola lista coalizzata non “valgono”).
Certo: il Pd di Veltroni perse le elezioni (le avrebbe perse comunque), ma ottenne il 38% dei voti e oltre il 40% dei seggi (380 fra Camera e Senato). E Berlusconi ebbe una salda maggioranza con la quale dimostrare al paese se sapeva governare o no. Come andarono le cose lo sappiamo: unì all’inadeguatezza (anche politica: vedi litigio con Fini che di fatto gli tolse la maggioranza) la sfortuna (si ritrovò con la grande crisi finanziaria, incapace di fronteggiarla): e fu governo Monti (2011).
Ma Veltroni aveva dimostrato che perfino con un sistema iperpremiante, basta volere. E questo è quello che il Pd potrebbe e dovrebbe fare nel 2023, alleandosi solo con forze davvero omogenee, conquistando i suoi seggi proporzionali e certamente non pochi di quelli maggioritari (nelle grandi città e in alcune aree del paese). Non c’è alcun bisogno dell’ennesima legge elettorale più o meno provvisoria, e per giunta proporzionale integrale. Quando il tempo delle riforme tornerà si affronterà la situazione con la serietà e l’organicità che merita, magari partendo dalla legge Mattarella Senato.
Presidente del Comitato scientifico di Libertà Eguale. Già professore ordinario di Diritto elettorale e parlamentare nell’Università di Firenze e già direttore del Dipartimento di diritto pubblico. Ha insegnato nell’Università di Pisa ed è stato “visiting professor” presso le università di Brema, Hiroshima e University College London. Presidente di Intercultura ONLUS dal 2004 al 2007, trustee di AFS IP dal 2007 al 2013; presidente della corte costituzionale di San
Marino dal 2014 al 2016; deputato al Parlamento italiano per il Partito repubblicano (1983-1984).
Sono d’accordo e vorrei firmare l’appello