di Pietro Ichino
Nota a margine della sentenza di Palermo nel processo “Stato-Mafia”: i giornalisti ignorano troppo spesso che le decisioni giudiziarie possono collocarsi in una zona grigia, nella quale non è affatto patologico, bensì del tutto fisiologico, che il giudizio di impugnazione abbia esito diverso rispetto alla fase precedente
Tra i difetti più gravi del giornalismo nostrano va messa a fuoco una diffusissima incapacità di comprendere il funzionamento della Giustizia.
Questo difetto si manifesta ogni volta che si celebra un processo penale importante sotto i riflettori dell’opinione pubblica, e una sentenza ne conclude una fase: se l’esito è l’assoluzione, esulta la stampa c.d. “garantista” presentandolo come la prova di un grave abuso d’ufficio compiuto dalla pubblica accusa, la quale avrebbe ordito un calunnioso complotto ai danni dell’imputato; se invece l’esito è di condanna, a esultare è la stampa di segno opposto, che dà fiato ai colpevolisti per partito preso.
Se poi l’esito di una fase del giudizio contrasta con quello della fase precedente, allora immancabilmente se ne trae la prova del malfunzionamento dell’amministrazione giudiziaria, della presenza nel suo seno di giudici faziosi se non corrotti.
Da una parte e dall’altra si dimentica, innanzitutto, che il compito del pubblico ministero non è di assolvere o condannare, bensì di promuovere il processo in tutti i casi in cui è possibile che ne esca un giudizio di colpevolezza: è dunque del tutto fisiologico che si assista a un rinvio a giudizio e a una successiva assoluzione.
Si dimentica, poi, che il più delle volte l’accertamento della verità storica dei fatti e dei comportamenti, la loro qualificazione giuridica, e anche la decisione circa la ragionevolezza di un dubbio sollevato dalla difesa dell’imputato, presentano aspetti di marcata opinabilità.
I due o più gradi di giudizio sono previsti proprio per garantire la possibilità di un approfondimento del confronto delle tesi contrapposte in questa zona grigia. E per consentire che alla prima sentenza possa farne seguito una di segno opposto.
Il fatto che questo accada non è il segno di un malfunzionamento della Giustizia, ma semmai del contrario: dell’effettività del riesame che è stato compiuto. Il problema è che sui dubbi e sulle zone grigie è difficile fare i titoloni a caratteri cubitali.
Già senatore del Partito democratico e membro della Commissione Lavoro, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Ordinario di Diritto del lavoro all’Università statale di Milano, già dirigente sindacale della Cgil, ha diretto la Rivista italiana di diritto del lavoro e collabora con il Corriere della Sera. Twitter: @PietroIchino