di Giampaolo Galli*
Il governo Draghi ha fatto manovre espansive impiegando oltre 47 miliardi di euro, senza mai ricorrere a scostamenti di bilancio. Una spiegazione c’è e per l’Italia sarà fondamentale uscire dalla dipendenza del sussidio
Stando alla stime ufficiali, il governo ha fatto interventi espansivi, ossia che hanno peggiorato il deficit del 2022, per oltre 47 miliardi. A questo numero si arriva sommando gli effetti della legge di Bilancio che ha aumentato il deficit dell’1,2 per cento del pil (da un tendenziale di 4,4 per cento a un programmatico di 5,6 per cento), gli effetti del Def di aprile che ha consentito di aggiungere un altro 0,5 per cento (perché il deficit tendenziale ristimato ad aprile era sceso a 5,1 per cento) e infine gli effetti della relazione del ministro Franco al Parlamento del 26 luglio, in cui si informava che la stima aggiornata del deficit era nuovamente scesa (al 4,8 per cento) e che dunque vi era spazio per interventi aggiuntivi pari a 0,8 per cento del pil. Sommando, si ottiene il 2,5 per cento, ossia all’incirca 47 miliardi. Siamo di fronte a un insieme di misure espansive la cui entità ha pochi precedenti, senza scostamenti di bilancio.
Come è stato possibile? Si è realizzata una sorta di grande partita di giro. Nel primo giro, l’inflazione ha trasferito risorse dai contribuenti allo stato, attraverso il maggior gettito fiscale, soprattutto imposte indirette, dovuto al fatto che l’inflazione gonfia le basi imponibili. Nel secondo giro, lo stato ha restituito quelle risorse ai contribuenti. In questo modo lo stato ha risarcito i contribuenti senza intaccare i suoi obiettivi di bilancio perché ha speso solo il sovrappiù che ha incassato. La storia non finisce qui perché bisogna chiedersi cosa è successo degli aumenti prima delle tasse. In gran parte gli aumenti che abbiamo visto negli ultimi mesi sono dipesi dalle materie prime importate, in primis il gas.
Il costo è stato a carico della nazione intera. Sono peggiorate le ragioni di scambio, ossia il rapporto fra quello che si paga per l’import rispetto a quello che si incassa dall’export: in sostanza, la nazione è un po’ più povera. A questo si è rimediato in parte con una crescita economica superiore alle previsioni. Anche in questo caso, lo stato ha incassato più entrate del previsto e con queste ha ristorato i contribuenti, soprattutto quelli con redditi bassi, senza intaccare il bilancio. Il ristoro però non poteva che essere parziale, a meno di voler far pagare il conto alle generazioni future con nuovi scostamenti di bilancio, ossia con più debito. A questo Draghi e Franco hanno opposto un muro invalicabile e ciò ci consente oggi di centrare, cosa che non succede spesso, gli obiettivi di deficit e debito.
A questa strategia si muove un’obiezione. Come ricorda una recente nota di Fitch, l’effetto immediato dell’inflazione è di migliorare il deficit con maggiori entrate fiscali. Ma nel giro di pochi mesi, l’effetto si fa sentire anche sulla spesa, perché aumentano i costi per gli acquisti delle pubbliche amministrazioni, per gli stipendi e per le pensioni. Il bilancio potrebbe peggiorare nel prossimo futuro perché sullo scenario internazionale si addensano nubi cupe per via del blocco della crescita cinese, della mini recessione americana e dell’aumento del costo dell’energia.
Una prima risposta a questa obiezione è che anche gli altri paesi hanno fatto manovre simili alle nostre perché tutti avevano gli stessi problemi: la sofferenza delle famiglie per il costo della vita e la difficoltà delle imprese a reggere gli aumenti delle materie prime e dei semilavorati. Secondo l’ultimo bollettino della Bce, nell’Eurozona solo nel periodo comprese fra l’invasione dell’Ucraina e la fine di giugno sono state varate misure per circa l’1 per cento del pil, più o meno come in Italia. Una seconda risposta è che quasi tutte le misure di sostegno del governo Draghi sono di tipo una tantum. Valgono per il mese o per il trimestre in corso. Ma qui si viene al punto dolente. Dopo tanta bonanza (bonanza apparente perché, come si è detto, è stata in gran parte una partita di giro), riuscirà l’Italia a liberarsi dalla dipendenza del sussidio?
Oppure in questi anni abbiamo tutti imparato che lo stato ha un rimedio per ogni guaio? Anche perché una partita di giro a livello macroeconomico può essere la partita della vita per una persona o per un’impresa; per quanto lo stato cerchi di dare sussidi mirati c’è sempre chi riesce ad avere più sussidi degli altri. La faccenda è decisiva perché la storia economica dimostra che a volte i sussidi possono essere necessari, ma possono essere anche nemici della crescita. Gli italiani riusciranno a fare crescita economica duratura solo se riusciranno a liberarsi dalla logica dei sussidi e se ciascuno riuscirà a trovare dentro di sé la forza di andare avanti, combattere, innovare. Chi conta sui sussidi, può forse fare la fortuna sua e della sua famiglia, ma non fa fare un solo passo in avanti alla collettività.
*Il Foglio, 17 agosto 2022
Senior Fellow presso la Luiss School of European Political Economy. Laureato all’Università Bocconi (1975), ha conseguito il Ph.D al MIT (1980) con la supervisione di Robert Solow e Franco Modigliani. Dal 1980 al 1995 ha lavorato presso il Servizio Studi della Banca d’Italia, prima all’ufficio mercato monetario poi come capo dell’ufficio ricerche econometriche; dal 1991, divenuto responsabile della direzione internazionale, ha rappresentato la Banca d’Italia presso diverse istituzioni internazionali, tra le quali il Comitato Monetario dell’Unione Europea, il Comitato di Politica Economica dell’OCSE, il G10. Successivamente, è stato capo economista di Confindustria (1995-2002), Direttore Generale dell’Associazione Nazionale delle Imprese di Assicurazioni (2003-2008), Direttore Generale di Confindustria (2009-2012); deputato eletto come indipendente nella lista del collegio Milano 1 del Partito Democratico, assegnato alla Commissione Bilancio della Camera (2013-2018). È stato docente di econometria, politica monetaria e politica economica presso l’Università Bocconi (Milano), l’Università La Sapienza (Roma) e la Luiss Guido Carli (Roma). È autore di numerosi articoli su riviste scientifiche e sul Sole 24Ore.