LibertàEguale

Lombardi e Achilli, socialisti riformisti

di Danilo Di Matteo

 

Il 18 settembre ricorrono i quarant’anni dalla morte di Riccardo Lombardi, “l’ingegnere del socialismo italiano” che parlava “un dialetto marxista”. E, a ben guardare, provando a giocare con gli astri o con la cabala, nei mesi estivi si rincorrono anche le date della sua nascita (16 agosto 1901) e della nascita e morte di un altro grande socialista, Michele Achilli (22 luglio 1931-4 agosto dello scorso anno).

A casa, da bambino e da adolescente, i loro nomi mi erano familiari, accanto a quelli degli esponenti del Pci, di Pietro Nenni o dello stesso Giuseppe Saragat. Quella era per noi e per tanti altri italiani la Sinistra, con la maiuscola. Con i suoi contrasti interni, i suoi distinguo e, nel caso del leader socialdemocratico, con “un destino cinico e baro”.

Lombardi, come è noto, era laureato in Ingegneria, Achilli era architetto. Un caso? Forse no. Il loro non era un riformismo parolaio; intendevano piuttosto ricostruire dalle fondamenta la nostra società e, più in generale, questo mondo follemente ingiusto (le celeberrime “riforme di struttura”). Michele era un lombardiano sui generis. In particolare, quando l’Ingegnere avallò la possibilità di collaborare attivamente con gli esecutivi che escludevano il Pci, egli sostenne una battaglia tanto di minoranza quanto tenace per l’Alternativa di sinistra. Poche compagne e pochi compagni, almeno in apparenza, che pure, tuttavia, incarnavano ed esprimevano idee e stati d’animo diffusi nel popolo di sinistra.

Più in generale, del resto, l’aggettivo lombardiano non indicava tanto l’adesione a una corrente in senso stretto, quanto un atteggiamento, una tendenza, una sensibilità culturale e politica.

Con Achilli venni in contatto epistolare pochi mesi prima che morisse. Volevo spedirgli un mio pamphlet dedicato alla sinistra, ma lui lo aveva già acquistato. Anzi: scrisse di considerare preziose le mie considerazioni sui decenni passati al fine di proiettarci nel futuro. E non fece in tempo a spedirmi un suo libro sul connubio tra architettura e politica. La polis, in effetti, oltre che situarsi storicamente, vive in uno spazio tutto da organizzare o da riedificare. Non a caso le “utopie” rinascimentali prendevano le mosse e provavano a interpretare le istanze di un assetto urbanistico dal volto umano.

Ecco, Lombardi e Achilli andrebbero studiati e compresi proprio al fine di ereditarne la spinta, caratteristica della sinistra, a umanizzare la nostra vita, soprattutto quella dei più deboli.

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