Da alcuni anni la Bundesbank è capofila in Europa dell’istanza di ridurre l’entità dei titoli di Stato nel portafoglio delle banche, adducendo al riguardo la finalità di spezzare il legame tra i rischi associati al debito sovrano dei Paesi Ue ed il rischio sistemico generato dagli intermediari creditizi.
Non c’è da stupirsi, pertanto, che nell’intervento tenuto lo scorso 24 ottobre all’università Bocconi di Milano, la presidente del Supevisory Board della Vigilanza europea presso la BCE, Danièle Nouy, abbia sostenuto l’ipotesi di richiedere alle banche un buffer aggiuntivo di capitale a fronte della detenzione dei titoli di Stato; ciò non sorprende perché la politica di vigilanza attuata nel suo mandato dalla signora Nouy si è distinta per lo stampo prettamente rigorista, in ciò pienamente organica agli orientamenti tedeschi, dimostrandosi, però, sostanzialmente pro ciclica e amplificando in tal modo gli effetti della crisi.
Ciò non sorprende anche perché nell’incontro Ecofin tenutosi ad Amsterdam il giorno precedente il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, ha affermato: “Dobbiamo cominciare a ridurre i rischi che si determinano con la connessione fra debito pubblico e bilanci delle banche”, anche se su tali argomenti le stesse Authority europee si sono dimostrate molto caute e malgrado il commissario agli affari finanziari, Jonathan Hill, abbia osteggiato apertamente l’ipotesi tedesca ribadendo: “Dobbiamo stare molto attenti nel trattare queste materie: ci sono ragioni superiori di opportunità che coinvolgono la stabilità finanziaria della Comunità”.
Il problema sta infatti nell’opportunità di sollevare nuovamente la sussistenza di criticità legate al debito pubblico degli Stati Ue, considerando le avversità a cui le Autorità nazionali e comunitarie hanno dovuto far fronte per superare la crisi del debito sovrano che ha attraversato i mercati finanziari negli scorsi anni.
Si può anche essere in accordo sul fatto che i titoli pubblici non siano privi di rischio, come invece sono considerati dalla regolamentazione attuale ai fini dei requisiti patrimoniali delle banche, ma non è certo in questa fase, contrassegnata da una fragilità persistente dell’economia, che si può ipotizzare l’introduzione di nuovi vincoli regolamentari, che provocherebbe una reazione immediata dei mercati a scapito dei debitori sovrani e delle stesse banche.
La posizione tedesca sembrerebbe motivata anche da una sostanziale mancanza di preoccupazioni delle banche nazionali in relazione al problema. Qualora infatti si introducesse una ponderazione del rischio che porti all’adozione di requisiti patrimoniali aggiuntivi sull’esposizione rispetto ai titoli di Stato, gli istituti tedeschi se la caverebbero con pochi problemi, in considerazione del fatto che i requisiti di capitale sono calcolati in base al rating dell’emittente e che è presumibile che la Germania possa continuare a beneficiare della tripla A anche nel prossimo futuro.
Non sorprende, infine, che nel corso dello stesso convegno la signora Nouy abbia sentito il bisogno di negare che nel corso degli ultimi stress test effettuati in ambito europeo, la Deutsche Bank sia stata trattata con un occhio di riguardo, affermando che tutte le banche sono state trattate allo stesso modo ed aggiungendo, in modo quanto meno singolare, che lo staff della Vigilanza della Bce è addirittura “paranoico” sulle regole, così come si ritiene lei stessa.
Nelle scorse settimane è accaduto infatti che molti organi di stampa, e tra questi il Financial Times, abbiano dato grande risalto all’eventualità che il reale stato di salute della Deutsche Bank fosse stato nascosto negli esiti delle valutazioni condotte dalla Bce. Il solo fatto che tale ipotesi sia stata considerata degna di rilievo, tanto da rendere necessaria una pubblica smentita, deve far riflettere sul livello di credibilità di cui gode al momento chi è ritenuto responsabile della valutazione ingannevole, vale a dire il Board presieduto dalla signora Nouy.
E’ preoccupante, peraltro, che la stessa signora Nouy dia una connotazione positiva al termine “paranoico”, considerando la relativa condizione come la più indicata per sostenere la sua difesa di imparzialità, quando invece, come noto, la paranoia indica una psicosi cronica basata su un sistema di convinzioni a tema persecutorio che non corrispondono alla realtà di fatti.
Da questo punto di vista ci sentiamo pienamente d’accordo con la signora Nouy, e non siamo certo soli al riguardo: la politica delle vigilanza europea, infatti, è stata improntata all’ossessione, anzi alla paranoia, delle regole. Peccato, però, che si sia dimenticata degli effetti rovinosi sulle banche e sull’economia reale.