LibertàEguale

L’umanesimo della libertà dell’Italia euro-atlantica

di Giorgio Tonini

 

Secondo una vulgata assai diffusa, la fine dell’unità politica dei cattolici nella Dc avrebbe determinato la loro irrilevanza: culturale, sociale e politica. In realtà, a trent’anni dalla conclusione dell’esperienza storica democristiana, legata ad una stagione storica irripetibile, la cultura politica dei cattolici democratici è più viva e “centrale” che mai. Ne ha offerto, proprio in questi giorni, una prova formidabile l’immagine dell’incontro alla Casa Bianca tra Mario Draghi e Joe Biden, da tutto il mondo visto e letto come un vertice tra Europa e Stati Uniti. Le due sponde settentrionali dell’Atlantico hanno dialogato tra loro, anche avvalendosi di un tratto comune alle due personalità che in quel momento le rappresentavano: un tratto culturale, si potrebbe dire financo spirituale.

Joe Biden è il secondo presidente cattolico degli Stati Uniti, dopo John F. Kennedy. Come JFK, è un democratico cattolico, come Draghi formatosi alla scuola dei gesuiti. Come Kennedy, anche Biden ha imparato a vivere la sua fede cristiana e la sua confessione cattolica nel contesto pluralista della “religious freedom” americana. Un contesto che insegna a vivere e ad apprezzare la tensione, talvolta il vero e proprio conflitto, tra verità e libertà. Una tensione, un conflitto che non possono mai essere risolti una volta per sempre, scegliendo uno dei due corni del dilemma, a scapito dell’altro. La verità cristiana sarebbe infatti non affermata, ma negata, se fosse pensata e vissuta contro la libertà, che di quella verità è parte costitutiva ed essenziale. Così come non ci sarebbe vera libertà, in un contesto che inibisse la proposta della propria verità di fede. Non a caso, la “religious freedom” è il fondamento storico-identitario della democrazia americana: un fondamento che ha retroagito in modo decisivo sull’evoluzione “conciliare” della chiesa di Roma e sulla stessa cultura politica dei cattolici democratici europei, come dimostrano ad esempio le “Riflessioni sull’America” di Jacques Maritain (il filosofo contemporaneo più amato da Paolo VI), appena ripubblicate dalla Morcelliana a cura di Stefano Ceccanti. È grazie a quella “spiritualità del conflitto” (copyright di Pietro Scoppola) tra verità e libertà, che i democratici cattolici come Biden possono vivere dentro la “guerra culturale” sull’aborto, da “pro-life” sul piano etico-religioso e da “pro-choice” su quello politico-legislativo. E dentro la guerra vera, quella che uccide e devasta, e sparge sangue e lacrime, consapevoli che la libertà non si esporta con le armi, ma con le armi si può essere costretti a difenderla dai suoi nemici. Perché non c’è nessuna strada che porti alla pace, se non attraverso la difesa della libertà e della democrazia. Sempre perché la verità, anche la verità della pace, semplicemente non può darsi senza, fuori o peggio contro la libertà.

La difficile ricerca del punto di equilibrio tra costruzione della pace e difesa della libertà è stata al centro del confronto tra i due statisti, posti alla confluenza tra due sensibilità diverse eppure convergenti e complementari. Anche perché incarnate da due personalità formate ed allenate a pensare la complessità, a vivere il conflitto, a ricercare la mediazione.

Sul nostro versante dell’Atlantico, spiritualità del conflitto e umanesimo della libertà mostrano il filo sottile e robusto che collega Draghi a De Gasperi, il più europeo degli statisti italiani. Uomo di frontiera, per metà della sua vita suddito e parlamentare dell’impero austro-ungarico e per l’altra metà protagonista della storia d’Italia, De Gasperi incarna la cultura dell’et-et, alternativa a quella dell’aut-aut. Così la sovranità nazionale si completa e si rafforza, non pensandosi come assoluta, ma al contrario limitandosi: nel riconoscimento delle autonomie e nella condivisione di una comune sovranità europea. La quale a sua volta si struttura anche riconoscendosi nella solidarietà transatlantica. E le condizioni della pace si realizzano costruendo ad un tempo la difesa comune delle democrazie, in Europa e con gli Stati Uniti, e le istituzioni mondiali del multilateralismo, nelle quali gettare le basi e creare le condizioni per una progressiva affermazione del primato del diritto sulla forza, sostituendo al diritto del più forte, la forza al servizio del diritto. Con lungimiranza e realismo insieme, sempre.

Con pazienza e tenacia, Draghi ha reso questo pensiero, egemone in Italia e ascoltato e seguito in Europa. Subìto, sia pur con recalcitrante riluttanza, anche dagli appassionati degli aut-aut populisti e sovranisti, che dispongono di messaggi tanto seducenti nel marketing, quanto inservibili nel problem solving. Nel realizzare questo capolavoro, tanto prezioso quanto fragile, Draghi ha potuto avvalersi della copertura aerea del Quirinale di Sergio Mattarella e del sostegno della fanteria del Pd guidata da Enrico Letta. Due personalità delle quali è superfluo ricordare le ascendenze politiche, culturali, spirituali.

Un capolavoro prezioso, ma ancora fragile. Atteso alla prova decisiva del consenso democratico. Un nuovo 18 aprile, di qui ad un anno scarso, che l’umanesimo della libertà dell’Italia euro-atlantica non può permettersi di perdere.

 

 

Da Il Foglio, 20 maggio 2022

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