di Vittorio Ferla
Il M5s è in crisi d’identità. E così Di Maio, imbeccato dal ritorno di Grillo, rilancia con una proposta di contratto al Pd, cercando di rafforzare il governo e prolungarne la sopravvivenza.
Lo spiega Travaglio…
Ma questa crisi non deve stupire. Perché era scritta nella genesi del Movimento. Come spiegava Marco Travaglio il 3 settembre scorso, in un editoriale per Il Fatto Quotidiano, “i 5Stelle sono nati come coscienza critica del centrosinistra”. Il passaggio è fondamentale, non soltanto perché racconta il sentimento di rabbia e la volontà di protesta alle origini del grillismo, ma perché ci ricorda l’intento moralizzatore dei Cinquestelle nei confronti del centrosinistra e la loro mission più autentica: quella di ‘redimere’ una classe dirigente colpevole di aver tradito e abbandonato il proprio popolo.
“Nel 2007, al V-Day – continuava infatti Travaglio nel suo editoriale – Grillo e Gianroberto Casaleggio sfidarono il Pd a opporsi davvero al berlusco-leghismo e a cambiare registro, cancellando le leggi-vergogna e sposando legalità e ambiente. Portarono le loro proposte a Prodi, non a B. e Bossi. E Grillo si iscrisse al Pd per candidarsi alle primarie, non a FI o alla Lega. Ora, 12 anni dopo, il Pd cambia idea e tende la mano. Grillo l’ha subito afferrata. Perché i 5Stelle dovrebbero respingerla?”
Insomma: l’obiettivo di partenza del Movimento è da sempre la ‘redenzione’ del centrosinistra e, in particolare, del Pd, sommamente colpevole per essersi consegnato a Renzi per alcuni anni. Se questo è vero – ed è vero – nel momento in cui il Pd, divorato dai sensi di colpa per aver perso la connessione sentimentale con il proprio popolo passato al grillismo, si presenta con il capo cosparso di cenere a chiedere nientepopodimeno che un’alleanza strategica si può finalmente cantare vittoria e accettare l’intesa.
Un’operazione facile perché, come spiegava Travaglio in quel fatidico editoriale, “un Pd così sbiadito e diviso, senza leader nè slogan forti, è un alleato meno insidioso e concorrenziale del monolite Salvini”. Da una parte, dunque, i ‘redentori’, un popolo mitico e organico guidato da leader predestinati (Grillo e Di Maio). Dall’altra, un popolo in disarmo, senza arte né parte, pronto a capitolare in mancanza di idee e di guida.
Il populismo sudamericano nel dna dei Cinquestelle
Come da anni ricorda Loris Zanatta, docente di Storia dell’America Latina all’Università di Bologna, “il meccanismo della redenzione è tipico dei populismi sudamericani, specie quelli di sinistra come nel caso del Venezuela di Chavez e Maduro: i leader che sono sentiti come dei predestinati; una idea messianica che si risolve nel compimento di una missione (redentrice, appunto); la convinzione che esista un popolo mitico, privo di fratture come se fosse una comunità organica. Un popolo innocente e puro che poi, però, viene corrotto e contagiato oppure è maltrattato e offeso”.
Il problema è che, continua Zanatta, “nella concezione organica l’inviduo non è previsto, ma è parte della comunità. Prevale una logica corporativa. La corruzione del popolo consiste anche nella frammentazione e disgregazione tipica della modernità”. I populisti combattono contro una sorta di ‘peccato originale’ – comunque sia inteso – che ha frantumato il mondo precedente. In questo meccanismo religioso e corporativo, la pluralità del popolo non è fisiologica, ma patologica. E le cause ideologiche della frammentazione sono, in genere, il liberalismo e il capitalismo. Questa cosa un po’ regressiva, spiega Zanatta, “piace molto agli intellettuali progressisti”. I quali non a caso, hanno simpatizzato per la rivoluzione venezuelana in America Latina e per la rivolta grillina in Italia.
Sia il M5s che la parte vincente dell’attuale Pd hanno in comune – almeno in parte – questi meccanismi perversi del populismo. Troppo forte nella loro storia, infatti, il peso di sedimenti culturali – quello religioso cattolico e quello politico comunista, a loro modo organicistici, escatologici e redentivi – che hanno forgiato la mentalità del nostro paese. Il Venezuela, insomma, non è così lontano.
La crisi della funzione storica
La novità di queste ultime settimane è la crisi di identità del M5s. Ma se è vero quello che abbiamo descritto, non bisogna stupirsene. Infatti, nel momento in cui i Cinquestelle accettano di governare con il partito considerato ‘corrotto’ – il Pd – e questo si offre nudo e crudo, senza idee e senza leadership, accettando il programma grillino – sia quello ereditato dal governo gialloverde sia quello imposto al governo giallorosso – fatto di assistenzialismo generalizzato, tutele corporative, spesa pubblica, cultura anti-industriale, populismo giudiziario e via elencando, si esauriscono la funzione storica e la missione salvifica originarie. Alcuni evocano pertanto la possibile “estinzione” del Movimento. Ma qui bisognerebbe ricordare che proprio il Movimento, nella fervida fantasia di Grillo e Casaleggio, era nato – forse non a caso – come una forza “biodegradabile”.
E allora che si fa? “L’unica strada è quella civica e ambientalista: quella che riempie le piazze sotto le insegne delle Sardine in Emilia e del movimento dei Balconi in Calabria”: così ha scritto Marco Travaglio nel suo editoriale del 22 novembre, in un estremo tentativo di salvare il salvabile.
“Nel poco tempo che c’è – ha scritto Travaglio – bisogna aprire le liste a quei mondi, tentando di aggregare attivisti senza bandiera, professionisti ed esponenti della società civile su pochi punti che stiano a cuore agli elettori di due regioni così diverse”. Ancora una volta, si cerca la potenza redentiva della società civile. Peccato però che le Sardine siano nate proprio per contraddire apertamente le menzogne e i vaffa dei movimenti populisti. Difficile che i Cinquestelle possano trovare lì la loro salvezza.
Il rischio di cadere tutti insieme
La salvezza potrebbe venire, forse, dal nuovo contratto di governo offerto in questi giorni al Partito Democratico – che ha subito accolto l’invito con docile gioia – allo scopo di prolungare il più possibile la vita dell’esecutivo e rimandare la caduta elettorale. Può darsi. Ma il Pd in cerca di ‘redenzione’ dovrebbe valutare attentamente se un abbraccio ancora più stretto con i grillini, nel nome di un programma sempre più populista, sia davvero conveniente, per l’Italia e per se stesso. Con il rischio di cadere tutti insieme, in modo ancora più eclatante, prima o poi.
Giornalista, direttore di Libertà Eguale e della Fondazione PER. Collaboratore de ‘Linkiesta’ e de ‘Il Riformista’, si è occupato di comunicazione e media relations presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio. Direttore responsabile di Labsus, è stato componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva dal 2000 al 2016 e, precedentemente, vicepresidente nazionale della Fuci. Ha collaborato con Cristiano sociali news, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Europa, Critica Liberale e Democratica. Ha curato il volume “Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa” (Rubbettino 2018).