LibertàEguale

M5S: la (brutta) fine delle (false) promesse

di Pietro Ichino

 

Il M5S ha vinto le elezioni perché ha saputo interpretare la protesta della gente comune contro la cattiva politica, parolaia e disonesta perché non mantiene le promesse. Questo è il motivo per cui il leader del movimento Di Maio ripete ossessivamente che, invece, il “Governo del cambiamento” sta mantenendo le promesse.

Ora, lungi da me negare che nel passato remoto e recente l’Italia abbia sofferto di cattiva politica; ciò non toglie che la realtà sia molto più complicata di quanto pensi la gente comune quando giudica i governanti, e di quanto pensino i movimenti politici allo stato nascente quando formulano le loro promesse.

Accade così che nel giro dei soli primi tre mesi dall’insediamento del “Governo del cambiamento” siano cadute come birilli tre promesse molto precise del M5S:

 

  1. una è stata quella della chiusura dell’ILVA di Taranto (che per fortuna, lo ha deciso il ministro Di Maio, non chiude affatto);
  2. poi a seguire è caduta la promessa solenne “noi non voteremo mai un condono” (proprio un ampio condono è la prima misura della manovra di bilancio varata dal Governo);
  3. la terza è la promessa di bloccare la TAP (e nei giorni scorsi il ministro Di Maio ha autorizzato la prosecuzione dei lavori del metanodotto transadriatico in Puglia).

 

Presto sarà il turno della TAV e del traforo del Brennero.

E verrà anche il turno del “reddito di cittadinanza”, perché i 10 miliardi previsti per questa voce nel disegno di finanziaria 2019 se li è già mangiati l’aumento dello spread causato dal puro e semplice annuncio di questa spesa finanziata a debito: ora il Governo sta riflettendo sulla necessità di destinarli alla ricapitalizzazione delle banche, pericolosamente penalizzate appunto da quell’aumento.

Così, alle prese con il “partito dei fatti” – come lo chiama sul Foglio Claudio Cerasa –, il M5S è costretto a riflettere sul fatto che anche l’imprudenza e la presunzione, tanto comode in campagna elettorale, sono un fattore essenziale proprio di quella cattiva politica, parolaia e disonesta, per combattere la quale il movimento stesso credeva di essere nato.

 

 

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