di Alessandro Maran
Può anche darsi che, negli Stati Uniti, la parola «socialista» non sia più così destabilizzante e un-American. Ma è più probabile che, come osserva l’Economist, la popolarità crescente del socialismo, più che con la «rivoluzione», abbia a che fare con la mancanza di spina dorsale dei democratici. Che poi dalle nostre parti si faccia un gran parlare dell’opposizione «di sinistra» in America, ora che anche il mito della socialdemocrazia svedese resiste, anche se ammaccato, non deve sorprendere. I socialdemocratici americani, oltretutto, fanno sensazione.
Ma, come ha sottolineato Frank Bruni sul New York Times, si tratta di posizioni oltranziste: la maggior parte dei politici (e la maggior parte degli americani) dimora nell’estesa terra di mezzo. È lì che anche quest’anno si combatteranno gli scontri decisivi; ed è lì, in quella terra di mezzo che, se i democratici dovessero riprendersi la Camera dei Rappresentanti, matureranno le misure in grado di guadagnarsi il via libera del Congresso.
Dove “trionfano” i democratici moderati
La vittoria di Alexandria Ocasio-Cortez nelle primarie democratiche del 14° distretto di New York, di Ben Jealous (ex presidente della National Association for the Advancement of Colored People) nelle primarie per la carica di governatore del Maryland, e la ventata di sinistra, rappresentano solo una parte della storia delle prossime elezioni di metà mandato. L’altra metà, quella più rilevante, ha a che fare con i trionfi meno spettacolari di una schiera di democratici meno progressisti che, nella maggior parte dei casi, hanno vinto le primarie nei swing districts, le circoscrizioni elettorali che contano veramente e che potrebbero davvero passare dal rosso al blu.
Senza dubbio, l’estromissione di Joe Crowley da parte di Alexandria Ocasio-Cortez, la star indiscussa nelle primarie democratiche, ha mandato un messaggio preciso all’establishment del partito. Ma quando arriverà al Congresso Ocasio-Cortez non prenderà il posto di un repubblicano. Sarà un’altra democratica (e sicuramente un nuovo tipo di democratica), in un seggio ultra-democratico, che il partito comunque non avrebbe perso. E quasi sicuramente sarà in minoranza rispetto ai tanti nuovi arrivati che hanno condotto campagne più moderate in aree del paese dove questo si è rivelato il metodo giusto. Infatti, se si analizzano le vittorie dei democratici nei distretti cruciali, non si incontrano molti «socialisti» come Ocasio-Cortez (semmai la vera novità delle primarie democratiche sono le donne). Si tratta perlopiù di candidati democratici tradizionali, che corrono alle elezioni contro i repubblicani e contro i provvedimenti sulle tasse e la sanità e non per «rifare» il Partito democratico.
La prevalenza del pragmatismo
La National Public Radio ha constatato, infatti, in una serie di interviste con una dozzina di democratici in corsa in Pennsylvania, Illinois, Texas, California, Nebraska e nello stato di Washington, «che l’atteggiamento improntato a una visione realistica e pratica si sta imponendo sul progressismo in tutte le competizioni chiave che decideranno il controllo del Congresso».
Anche secondo Third Way, un think tank di Washington che promuove un’agenda di centro-sinistra, ad imporsi, nella maggior parte dei casi, sono i democratici più pragmatici. Solo una minoranza dei candidati sostenuti dai gruppi progressisti come Justice Democrats e Our Revolution hanno vinto le primarie, mentre più di tre quarti di quelli sostenuti dalla New Democrat Coalition, più centrista, hanno avuto successo. Inoltre, osserva Third Way, la maggior parte dei vincitori sostenuti da Justice Democrats o Our Revolution si è affermata in distretti saldamente in mano ai repubblicani; e probabilmente non prenderanno la strada del Congresso.
Alexandria Ocasio-Cortez? Non solo…
Nello stesso giorno in cui Ocasio-Cortez portava in prima pagina le rivendicazioni dei socialisti americani dopo aver battuto Crowley, democratici nuovi di zecca e molto meno progressisti hanno trionfato nelle primarie di alcuni distretti di New York in mano ai repubblicani. Come Max Rose nell’11° distretto (che comprende la parte più a sud di Brooklyn e l’intera Staten Island, una roccaforte dei conservatori), che certo non si definirebbe socialista e che cerca di strappare l’unico seggio di New York City in mano ai repubblicani. O come Antonio Delgado, un ex rapper, che ha vinto le primarie democratiche nel 19º distretto (che comprende parte della Hudson Valley e Catskills) e che fronteggerà John Faso, l’incumbent repubblicano. Entrambi hanno coltivato la «terra di mezzo» meglio dei loro rivali. Eppure, ciò non ha catturato l’attenzione dei media.
Il fatto è che, come ha detto al New York Times il deputato Josh Gottheimer (un democratico del New Jersey che ha strappato il suo seggio a un repubblicano nel 2016), nessuno si candida al Congresso con un cartello con scritto «lavoriamo assieme». Non è quello di cui si parla in tv o quello su cui si twitta. Ma, ha aggiunto, è quello il terreno dove si combatte davvero.
Verso le presidenziali 2020
L’idea che il futuro del Partito democratico stia più «a sinistra» ha invece molto a che fare con le prime sfide nella corsa presidenziale del 2020. I candidati potenziali, come Elisabeth Warren e Kristen Gillibrand, sanno che i progressisti avranno voce in capitolo nella scelta della nomination democratica, proponendo misure come il «Medicare for All» e l’abolizione della Immigration and Customs Enforcement Agency.
Ma c’è da dubitare che queste riforme possano raccogliere davvero la maggioranza in una camera controllata dai democratici.
Buona parte dei nuovi eletti sarà più simile a Color Lamb (un democratico della Pennsylvania che ha trionfato nell’elezione suppletiva del marzo scorso strappando ai repubblicani un seggio che conservavano da quindici anni, con un profilo moderato e opponendosi al single-payer healtcare) che a Ocasio-Cortez.
E se, com’è probabile, le elezioni di midterm daranno vita ad una camera con una ristretta la maggioranza democratica o repubblicana, i «centristi» conteranno parecchio e questioni di interesse bipartisan, come gli investimenti nelle infrastrutture e i miglioramenti alla riforma sanitaria, potrebbero calamitare l’attenzione più che le cause simboliche dei progressisti. Potrebbe perfino presentarsi l’opportunità di far passare miglioramenti importanti (in grado di proteggere i cosiddetti «Dreamers», i bambini giunti in America senza documenti, imporre più trasparenza nelle donazioni e incoraggiare i programmi di apprendistato, ecc.).
Sarà che, come dice Delrio, «l’economia capitalistica ha raggiunto l’esaurimento della sua fase propulsiva», ma ai più tutto questo sembra decisamente irreale. E forse, come sostiene Frank Bruni, il centro è davvero più sexy di quel che si pensa.