di Carlo Rognoni
Dopo il crollo dell’Urss una delle eredità più pericolose e drammatiche fu la presenza di armi nucleari in diversi Stati dell’ex Unione Sovietica, come l’Ucraina, la Bielorussia, il Kazakistan. Fu allora che Stati Uniti, Gran Bretagna e Federazione russa, i tre maggiori protagonisti del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), in un summit a Budapest firmarono un Memorandum per “garantire la sicurezza a questi tre Paesi” in cambio della consegna del loro arsenale nucleare alla Federazione russa. Non dimentichiamo che all’epoca l’Ucraina era la terza maggiore potenza nucleare al mondo, detenendo circa 4 mila ordigni nucleari.
L’impegno preso a Budapest fra gli altri punti prevedeva: il rispetto dell’indipendenza e della sovranità dei confini esistenti allora dell’Ucraina, e naturalmente anche degli altri due Stati; il rifiuto di ogni minaccia e uso della forza contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica; l’assistenza all’Ucraina (come alla Bielorussia e al Kazakistan) se avesse dovuto diventare vittima di un atto di aggressione, che facesse ricorso ad armi nucleari.
Ebbene Vladimir Putin si è inventato che quel accordo firmato a Budapest (fra il gennaio e il maggio 1992 Kiev consegnò a Mosca 2.400 ordigni nucleari, e altri 1.700 sistemi d’arma nucleari strategici lasciarono il suolo dell’Ucraina nel 1994) non era valido per almeno due motivi: dopo la rivolta di Euromajdan (piazza dell’Europa) che provocò la deposizione del governo filorusso di Janukovyc, considerato da Mosca un colpo di Stato, si è arrivati alla formazione di “un nuovo governo uscito da una rivoluzione, con il quale non abbiamo firmato nessun accordo vincolante”. Seconda scusa di Putin: nell’operazione militare in Ucraina non abbiamo usato armi nucleari e quindi non abbiamo tradito il Memorandum di Budapest.
Le garanzie promesse in realtà sono state palesemente disattese. In primo luogo evidentemente proprio da Mosca, ma in misura minore anche da Stati Uniti e Inghilterra, così come degli altri Stati nucleari firmatari (Cina, Francia) che si fecero anch’essi garanti, tramite accordi separati, della sicurezza e dell’inviolabilità dei confini di un’Ucraina denuclearizzata.
Come scrive Giorgio Cella nel bel libro “Storia e geopolitica della crisi ucraina” (Carrocci editore): “La violazione del diritto internazionale nel caso della Crimea, non si fermano comunque al solo Memorandum di Budapest, dato che, fatto di enorme rilevanza, l’annessione unilaterale della Crimea e il conseguente conflitto armato esploso nell’Ucraina sud-orientale scardinarono uno dei principi fondamentali dell’ordine internazionale liberale euroatlantico in auge dal secondo dopoguerra in poi: l’inviolabilità dei confini”.
Mi pare che ci siano molti buoni motivi per sostenere che Vladimir Putin è del tutto inaffidabile. Non solo si rifiuta di chiamare “guerra” la guerra che ha scatenato con l’invasione dell’Ucraina, di riconoscere i mostruosi delitti di donne e bambini di cui lui e i suoi soldati sono complici.
Un’altra gigantesca balla dietro la quale si nasconde Putin è che l’Occidente avrebbe tradito l’impegno da non allargare la Nato a est. Non esiste alcun documento scritto e firmato da Paesi occidentali che lo prova. Al contrario del Memorandum di Budapest.
Quegli italiani – e non sono pochi – che ancora oggi pensano che Putin avrà anche lui le sue buone ragioni per comportarsi da aggressore, farebbero bene a studiare, a documentarsi, a ragionare. Già – dicono – ma anche gli Stati Uniti hanno compiuto atti di guerra mostruosi e inaccettabili e alcuni loro presidenti si sono comportati come “delinquenti” né più né meno di Putin. Non sono d’accordo ma capisco. Può darsi! Oggi tuttavia abbiamo davanti agli occhi, non lontano dai nostri confini, decine di migliaia di donne e bambini che fuggono per venire da noi e che cercano in Occidente quello che in Russia non si vede e non si sente. Per esempio un’informazione seria, professionale, completa.
Aiutare l’Ucraina a difendersi con forza e determinazione come sta facendo, mettere in crisi il progetto demenziale di Vladimir Putin di sottomettere una repubblica libera e indipendente, è l’unica strada per convincere lo zar a sedersi al tavolo per parlare di pace.
Ha diretto le riviste Panorama ed Epoca e il quotidiano Il Secolo XIX. È stato senatore dal 1992 al 2001 e deputato dal 2001 al 2005 (con Pds, Ds, Ulivo). È stato vicepresidente del Senato dal 1996 al 2001. Ha fatto parte del consiglio di amministrazione della Rai.