di Vittorio Ferla
Sono ancora negli occhi le immagini del cordiale incontro tra Mattarella e Macron in occasione delle celebrazioni dei 500 anni dalla morte di Leonardo (proprio mentre Salvini va a visitare Orban a Budapest). Un segno tangibile dell’amicizia tra Italia e Francia oltre che il riconoscimento della comune eredità europea del genio di Vinci. Ma anche la rappresentazione della stima del Presidente italiano verso quello francese, in una fase storica e politica in cui il governo bipopulista gialloverde ha deciso di svolgere un ruolo antagonista nei confronti di Macron, mettendosi alla guida dei movimenti e degli stati euroscettici.
Nulla di strano, in fondo. Macron, infatti, rappresenta oggi in Europa l’unico statista capace di rispondere con determinazione ed efficacia all’offensiva del populismo, a partire proprio dal cuore della Francia. L’esempio più imponente di questa strategia è stato il Grand Débat National, lanciato da Emmanuel Macron nel gennaio 2019 e concluso da pochi giorni, a metà aprile. Una maratona di 92 ore totali che il presidente francese Emmanuel Macron ha speso per ascoltare le lamentele dei cittadini e rispondere alle loro interrogazioni nei dibattiti pubblici. La consultazione – che ha avuto anche uno sviluppo online – ha raggiunto un pubblico ben più ampio rispetto a quello degli eventi in cui il Presidente francese è stato fisicamente presente e rappresenta un interessante caso di studio per capire come si può disinnescare una protesta sociale (e anche sui limiti dello strumento).
Una risposta ai Gilet gialli
Com’è noto, Macron ha lanciato il suo Grand Débat per rispondere alle violente proteste dei Gilet Gialli: il movimento, a partire dal novembre 2018, aveva cominciato a manifestare contro gli aumenti delle tasse sui carburanti; nelle settimane successive si è poi trasformato in una diffusa e violenta ribellione ‘sistemica’ contro lo stile personale di Macron (considerato altezzoso) e il suo metodo di governo (considerato verticistico e autoritario). E così una protesta sociale diffusa si è tramutata in un movimento squisitamente populista: popolo contro élite sulla base di una serie di rivendicazioni caratterizzate da qualunquismo sociale e ribellismo totalitario.
Renzi e Macron: un parallelo
Non sarebbe per nulla azzardato – tra parentesi – stabilire un parallelo tra l’esperienza di Macron e quella di Renzi. Due leader che scatenano una novità dalle spoglie della vecchia sinistra, conquistano una posizione di leadership, sono percepiti come ‘mutanti’ della politica, oggetto di odio antropologico. Ma non si può andare oltre nel paragone. Il resto lo fanno i sistemi istituzionali e le scelte strategiche. Il sistema istituzionale francese funziona e permette a Macron di vincere con distacco e con tutti i poteri necessari: di conseguenza, il presidente francese ha lo spazio e l’agio per reagire con intelligenza – propria – usando il Grand Débat. Il sistema italiano viceversa non regge: Renzi cerca di modificarlo con la riforma costituzionale e il referendum e così offre ai populisti l’occasione plebiscitaria per abbatterlo.
I risultati del Grand Débat: spunti e contraddizioni
Tornando alla Francia, nonostante il diffuso scetticismo e la derisione iniziale, i risultati del Grand Débat sono stati molto incoraggianti. Quasi due milioni di contributi sul forum online, più di 10 mila incontri nei municipi, più di 16 mila cahiers de doleance sottoposti dai sindaci, più di 27 mila email e lettere, 21 assemblee con i cittadini. I numeri parlano chiaro.
Tutti questi commenti sono stati trascritti, digitati, analizzati e i dati ottenuti sono stati resi pubblici.
Da questi dati emergono alcuni risultati interessanti: c’è grande consenso, per esempio, circa l’urgenza di contenere il cambiamento climatico o la riduzione delle tasse. C’è, poi, un desiderio diffuso di rafforzare le decisioni prese a livello territoriale e i servizi pubblici locali. In più, la gran parte dei francesi ritiene che i rapporti con la burocrazia siano complicati, incomprensibili, rigidi e a compartimenti stagni. Inevitabilmente le opinioni degli ‘auditi’ si aprono a una gran quantità di problemi. Un ampio numero di partecipanti argomenta che la Francia dovrebbe essere più accogliente verso gli immigrati e chiedono per loro un migliore trattamento. Molti propongono un pacchetto di misure ‘green’ che vanno dal miglioramento delle procedure di riciclo al minore consumo di carne di animali, ma il 58% non sarebbe disponibile a pagare una carbon tax per sostenere comportamenti ecologici. In alcuni casi i risultati sono contraddittori: tanti sono i paradossi della democrazia diretta.
Probabilmente i principali punti di consenso riguardano le tasse e la spesa pubblica. I risultati suggeriscono che il 75% sono favorevoli ai tagli alla spesa pubblica ma la risposta non spiega bene come. Per esempio, solo il 10% dei partecipanti al Grand Débat chiede il ritorno della wealth tax. Ma secondo i sondaggi addirittura i tre quarti dei francesi sarebbero a favore. Il Grand Débat, in altre parole, non era un sondaggio statistico nazionale ed è stato assai contestato proprio per questo dalle opposizioni.
Le proposte di Macron
Adesso, consapevole delle contraddizioni che pur emergono dalla consultazione, Macron dovrà assumere decisioni che non deludano e non dividano. “Nei sondaggi la maggioranza dei francesi si è detta ‘non convinta’. Ma sulle singole proposte specifiche prese una per una l’apprezzamento è stato sorprendentemente elevato”, ha spiegato molto bene Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera. Macron ha respinto le proposte estreme dei Gilet gialli, ha confermato una serie di misure (l’aumento dei salari minimi e l’incentivazione degli investimenti tramite l’abolizione dell’imposta sui patrimoni) e, con un occhio al ceto medio impoverito, ne ha promesse di nuove (la indicizzazione delle pensioni inferiori ai 2mila euro, il taglio per 5 miliardi delle imposte sul reddito da finanziare attraverso l’abolizione di alcune detrazioni a favore delle imprese e lotta più dura all’evasione). Ma ha anche chiesto ai francesi un impegno a lavorare di più perché si vive più a lungo, annunciando incentivi per allungare la vita lavorativa. Infine, raccogliendo il forte bisogno di decentralizzazione ha proposto dei patti territoriali per impedire le chiusure di ospedali e scuole senza accordo del sindaco, la riforma della funzione pubblica e alcune riforme istituzionali.
Una iniziativa comunque vincente
Il tentativo di Macron resta apprezzabile: uno sforzo straordinario per recuperare il contatto con i cittadini francesi. In qualche modo, dunque, il Grand Débat è già servito per raggiungere una parte dei suoi obiettivi. Ha consentito al ‘jupiteriano’ Macron di dimostrare che può uscire dal ‘palazzo’ e ascoltare il popolo. Ha offerto una via alternativa per intercettare la frustrazione nazionale. Nelle strade, nel frattempo, i partecipanti alle manifestazioni dei Gilet gialli sono sensibilmente diminuiti. I consensi per il presidente continuano a sembrare bassi ma sono ritornati ai livelli di ottobre prima che iniziassero le proteste.
Macron: una bussola per l’Europa
C’è un ultimo rilevante punto da evidenziare. L’esperimento di Macron – la sua sostanza politica – dice qualcosa anche ai progressisti europei e lascia un segno nel dibattito continentale in vista delle elezioni europee.
Il Regno Unito è allo sbando, incapace di risolvere il guaio in cui si è cacciato con la Brexit. L’Italia perde ogni giorno di più dignità e credibilità a causa delle scelte politiche del governo bipopulista. La Germania, pur essendo l’economia più solida d’Europa, sembra incapace di assumere un ruolo di unificazione comunitaria, divisa tra la rigidità dei democristiani e l’inconsistenza dei socialdemocratici. I socialisti governano in Portogallo e Spagna, ma è difficile immaginare che questi due pur importanti paesi possano mettersi da soli alla guida dei processi di riforma della Unione europea.
Resta appunto la Francia. E resta Macron. Una Francia che si conferma solida potenza politica continentale insieme con il suo Presidente energico e visionario restano un punto di riferimento indispensabile per quei progressisti che hanno a cuore il rafforzamento e l’evoluzione dell’Europa contro la minaccia nazionalpopulista.
Giornalista, direttore di Libertà Eguale e della Fondazione PER. Collaboratore de ‘Linkiesta’ e de ‘Il Riformista’, si è occupato di comunicazione e media relations presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio. Direttore responsabile di Labsus, è stato componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva dal 2000 al 2016 e, precedentemente, vicepresidente nazionale della Fuci. Ha collaborato con Cristiano sociali news, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Europa, Critica Liberale e Democratica. Ha curato il volume “Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa” (Rubbettino 2018).