Riceviamo e volentieri pubblichiamo il documento promosso da Base Riformista
PER UN’EUROPA CHE SAPPIA RIFORMARSI
Sia presidio di pace e di stabilizzazione politica
Il mondo è attraversato da conflitti sempre più aspri: ideologici, commerciali, di potenza. Le tensioni tra Stati-continente governati da regimi autoritari o da leader votati a un nazionalismo aggressivo hanno reso il mondo più pericoloso e instabile, e forte il bisogno di un’Europa maggiormente integrata e capace di assolvere con rinnovata energia la propria parte sulla scena internazionale. L’Europa è il più grande mercato unico e la più grande potenza commerciale del mondo. È il più vasto territorio plasmato dalle regole dello stato di diritto. La sua storia stessa le impone di agire come presidio di pace e di stabilizzazione politica. Come alfiere globale della promozione dei diritti civili e sociali e di uno sviluppo economico più equo. Come fautrice a tutto campo dei principi della democrazia liberale e rappresentativa, intenzionata a restituire vigore al diritto internazionale e a svolgere un ruolo da protagonista all’interno dell’Occidente avanzato. Non si può prescindere da un’Europa che sappia riformarsi in profondità per essere in misura crescente nelle condizioni di affrontare alla radice le paure prodotte dagli effetti disgreganti di una lunga recessione internazionale, di flussi migratori imponenti e di un’accelerazione spiazzante dei commerci e del progresso tecnologico. Fenomeni intrecciati che hanno compresso, nei Paesi di più antico benessere, i salari, gli sbocchi occupazionali, le certezze e le prospettive di avanzamento sociale dei cittadini meno istruiti e qualificati. Fenomeni che hanno aperto nella società una frattura epocale dentro la quale si sono trovati risucchiati i cosiddetti perdenti della globalizzazione. Due obiettivi concatenati ci stanno davanti e sono i principali tra quelli da perseguire: sostenere più fortemente chi investendo crea crescita, e farsi carico, assai più di quanto non sia avvenuto nell’ultimo quarto di secolo, del disagio e dei bisogni dei ceti medi e popolari impauriti e impoveriti. Dell’obiettivo di un’ampia diffusione dei benefici della crescita non è possibile fare a meno.
PER CONTRASTARE LA MINACCIA NAZIONALISTA
Con una più risoluta difesa a livello europeo di tutti i cardini dello stato di diritto
Con l’eccezione dell’Italia, i risultati delle ultime elezioni europee hanno visto fallire il tentativo di sfondamento posto in atto dai nazionalisti. Mentre si conferma senza futuro l’antieuropeismo di estrema sinistra, è ancora più urgente contrastare la minaccia rappresentata dal disegno di un’Europa di staterelli ininfluenti solo apparentemente padroni a casa propria. Per questo servono un investimento politico per un’accelerazione del processo di integrazione che passi per un bilancio dell’Eurozona più forte fondato su risorse proprie (web tax, carbon tax, tassa sulle transazioni finanziarie internazionali) e utilizzato a scopi di stabilizzazione anticiclica; l’elezione diretta del presidente dell’Unione Europea; l’attribuzione di maggiori poteri al Parlamento europeo e la limitazione dei poteri di veto dei governi nazionali; più forti politiche di contrasto al dumping sociale ed economico e alle pratiche di opportunismo fiscale, in primo luogo con la definizione, vincolante per tutti i Paesi membri, di un’aliquota minima di tassazione dei profitti; il completamento dell’unione monetaria con la trasformazione del meccanismo europeo di stabilità in un vero e proprio fondo monetario europeo; il rafforzamento della difesa comune; il controllo comune delle frontiere; un grande piano di investimenti europei contro la disoccupazione non strutturale. È indispensabile, inoltre, una più risoluta difesa a livello europeo di tutti i cardini dello stato di diritto, fino al punto di prevedere l’esclusione dei Paesi che li violano da qualsiasi trasferimento intracomunitario, e altresì procedere verso un’unione sociale ottenuta attraverso il radicamento della cittadinanza europea in un nucleo duro di diritti sociali.
L’Italia non può avere e non avrà alcun peso se resterà emarginata e isolata in Europa. Con la Spagna che ci ha ormai soppiantato nel ruolo di interlocutore primario di Francia e Germania, saremo senza voce non solo nella scelta delle principali cariche europee, ma anche nella definizione di scelte cruciali come quelle relative alla nuova governance dell’Unione. È indispensabile mostrare agli elettori che in Italia ci sono forze che sono capaci di dare risposte progressiste alle loro richieste di protezione, di sicurezza e di nuove opportunità, perché capaci di costruire quelle intese europee senza le quali è impraticabile qualsiasi tipo di azione efficace contro i più gravi problemi socio-economici del nostro Paese.
PER UNA NUOVA RETE DI PROTEZIONI SOCIALI
Senza cedere a facili demonizzazioni dell’economia di mercato
Per conseguire questo risultato occorre allestire una nuova rete di protezioni, non assistenzialistica e neodirigista. A gestirla devono essere poteri pubblici determinati a garantire un radicale rafforzamento delle politiche sociali (con un aumento degli investimenti in sanità, scuola e cultura) e più rigore nell’esercizio dei propri poteri regolatori e di repressione degli abusi di potere economico, i quali, lungi dal rappresentare un esito fisiologico del sistema di mercato, ne costituiscono anzi una deformazione patologica e degenerativa.
Sviluppo e coesione sociale sono due finalità indissolubili.
Senza cedere a facili demonizzazioni dell’economia di mercato in quanto tale, l’Europa va rafforzata affidandosi a un nuovo liberalismo sociale, e denunciando la dannosità delle impraticabili ricette demagogiche dei nazional-populisti, segnate da irresponsabilità finanziaria, pulsioni antidemocratiche, tentativi di creazione a getto continuo di diversivi e capri espiatori. Nonché da uno spirito di chiusura illusorio, nocivo per chi fa impresa come per chi maggiormente soffre le conseguenze indesiderate dei mutamenti economici. Per difendere le ragioni dell’apertura, in Italia e altrove, non basta dire che i fautori della chiusura sono degli impostori (e, beninteso, lo sono).
PER PROSCIUGARE IL MARE DELLE PAURE
Vanno costruite condizioni di serenità sociale
Azionando le leve di un nuovo liberalismo, solidale e ricco di sussidiarietà, e coerentemente dedito alla riduzione della povertà e delle disuguaglianze e al perseguimento di più alti livelli di sicurezza economica e di giustizia sociale e ambientale, dovremo mettere in campo politiche basate su sinergie profonde con il terzo settore e sulla risoluta valorizzazione dei diritti e dei doveri di cittadinanza. Politiche che abbiano come fine ultimo il prosciugamento del grande mare delle paure, razionali o irrazionali che esse siano. Se tarderemo a fornire risposte giuste e concrete a questi timori diffusi, prevarranno altre risposte, sbagliate e truffaldine. Vanno costruite condizioni di serenità sociale sorrette da una stretta alleanza tra industriosi e bisognosi; da un sistema sanitario che renda effettivo il diritto di ogni cittadino a curarsi tempestivamente e a costi accessibili; da efficaci tutele per chi non riesce a trovare un lavoro o lo perde in età avanzata e cade nella trappola della disoccupazione di lunga durata, e per chiunque, giovane o vecchio, si trovi in condizioni di vulnerabilità; da investimenti pubblici straordinari in infrastrutture materiali e immateriali, in conoscenza, in ricerca e sviluppo, in cultura, in salvaguardia ambientale, in politiche di apprendimento continuo, di alternanza scuola-lavoro, di ricollocamento e formazione professionale.
PER UNA RISPOSTA PROGRESSISTA ALLA SFIDA MIGRATORIA
Più controlli, più regole, più integrazione ma chi rischia di morire in mare si salva sempre
Governare l’immigrazione non significa solo occuparsi di integrazione.
La percezione di non governo dei flussi migratori e di inefficace controllo delle frontiere e dei confini è uno dei principali propellenti della crescita di consenso per i partiti di estrema destra, xenofobi e razzisti.
Con questa realtà bisogna fare i conti.
Le nostre risposte non possono che partire dall’urgenza di politiche europee per l’asilo e la redistribuzione dei richiedenti asilo, prevedendo penalità severe per chi si sottrae al dovere della solidarietà intraeuropea. Servono poi accordi e operazioni internazionali allo scopo di limitare le partenze e rendere possibili i rimpatri. E serve un potenziamento della cooperazione allo sviluppo e degli aiuti ai paesi più poveri.
Bisogna essere umani: chi rischia di morire in mare si salva sempre, senza se e senza ma.
Allo stesso tempo bisogna essere realisti e rigorosi, perché umanità e sicurezza possono e debbono stare insieme: è indispensabile la definizione di canali legali di ingresso, con corridoi umanitari e quote di immigrazione sostenibile per chi viene nel nostro Paese a lavorare.
Sarebbe sciocco postulare che l’accoglienza possa essere senza limiti, e non vedere che, salvo che non si vogliano fare regali ai demagoghi, non ci si può non porre il problema della sostenibilità sociale ed economica dei flussi migratori.
Tutto ciò sarebbe del resto inutile, o quanto meno insufficiente, senza un rafforzamento deciso delle politiche di integrazione, che sono anche politiche di interazione, fondate sul pieno riconoscimento e la piena attuazione dei diritti e doveri di cittadinanza e sul protagonismo cooperativo degli enti locali, che andrebbero sostenuti nello sforzo di messa in pratica di azioni ispirate al cosiddetto modello Mechelen.
È persino ovvio ricordare che nessuno di questi obiettivi potrà essere raggiunto se non riusciremo a dotarci di una solida rete di alleanze a livello europeo.
Oggi siamo lontanissimi da tutto ciò: paradossalmente, i nostri maggiori alleati sono i governi più fermamente intenzionati a non collaborare con noi per la soluzione dei problemi che maggiormente ci assillano.
PER UNA NUOVA CENTRALITÀ DEI DIRITTI UMANI
Contro la cattiva propaganda del populismo nazionalista
Il nazionalismo sovranista minaccia l’Europa anche nei suoi valori di fondo, sfidandola sul terreno insieme fragile e identitario dei diritti umani così come sono stati definiti e praticati dalle democrazie liberali nel corso del XX secolo. È una minaccia sorretta dalla forza di grandi potenze internazionali (dalla Russia di Putin in primo luogo), sostenuta dalla sponda delle “democrature” europee del Quartetto di Visegrad (dove le libertà di stampa, parola e associazione sono già messe in discussione) e alimentata anche in Italia dalla “trappola della paura” costruita dalla Lega con la connivenza dei Cinque Stelle. La nostra azione riformista accanto alla rivendicazione del diritto alla sicurezza deve vedere un rinnovato impegno per rilanciare la centralità dei diritti umani all’interno di un progetto di società che sia ispirato ai valori di giustizia, tolleranza e pluralismo, e capace di animare iniziative concrete di lotta contro le violazioni dei diritti fondamentali della persona (di qualunque etnia o nazionalità) e di tutela reale delle condizioni di chi è minacciato. Perché la scelta non è tra “buonisti” e “patrioti”, come vuole farci credere la cattiva propaganda del populismo nazionalista, ma tra chi difende le ragioni della società aperta e liberale, con gli strumenti della democrazia e del diritto internazionale, e chi fomenta rabbia, divisione e intolleranza, con l’unico obiettivo di ridurre ed eliminare le garanzie di libertà e pluralismo che l’Europa ha conquistato con fatica negli ultimi decenni della propria storia.
PER NUOVE POLITICHE SOCIALI
Con una revisione profonda della qualità della nostra spesa pubblica
Il debito pubblico va messo sotto controllo e reso sostenibile non tanto perché lo esigono dei trattati, quanto perché senza conti stabilmente in ordine una frazione eccessiva della spesa pubblica sarà assorbita dagli esborsi per interessi passivi, sottraendo risorse agli interventi sociali e ostacolando gli investimenti, e tutte le decisioni politiche saranno incessantemente in balia dei sussulti per lo più imponderabili dei mercati finanziari. Senza conti in ordine la nostra sovranità nazionale risulterebbe ridimensionata. Verrebbero messi in pericolo i risparmi di milioni di famiglie, il funzionamento degli ascensori sociali, le opportunità di vita dei più giovani e di chi non è ancora nato. Chi vuol accumulare debito a briglie sciolte è un disintegratore sociale che di fatto rischia di portarci fuori dall’euro, dentro uno scenario di instabilità perenne, di possibilità di investimento compresse dagli alti tassi di interesse, di potere d’acquisto dei redditi più bassi e da pensione falcidiato sia dall’inflazione che da tagli draconiani alla spesa pubblica.
Nuove e più efficaci politiche sociali, quindi, sono una necessità ineludibile. La loro finanziabilità non è però un elemento secondario, né è facile da assicurare. Dipende in primo luogo da una revisione profonda della qualità della nostra spesa pubblica e dell’architettura organizzativa dei nostri apparati statali, a partire dai rapporti tra istituzioni centrali e periferiche, che devono essere ispirati alla valorizzazione delle potenzialità delle autonomie locali e regionali senza perdere di vista l’imprescindibilità di meccanismi solidali e di riequilibrio. Si tratta di spendere meglio, cioè in maniera più equa e produttiva, dato che spendere di più è impossibile. Problemi altrettanto grandi sono quelli relativi ai numerosi nodi che da decenni frenano la crescita della produttività nel nostro sistema economico: i tempi troppi lunghi della burocrazia e della giustizia civile; i troppo pochi investimenti in innovazione di processo e di prodotto; il livello eccessivo della tassazione sulle aziende e di quella sul lavoro, che deve calare per avere salari più alti e una riduzione permanente dei costi delle assunzioni; la mancanza di una pervasiva e innovativa contrattazione di secondo livello e di forme di partecipazione dei lavoratori alla definizione delle strategie aziendali. Oltre a un evidente ritardo in materia di istruzione e formazione
PER INVESTIRE SU CONOSCENZE E COMPETENZE PER NON RINUNCIARE AL FUTURO
Come costruire una strategia di rafforzamento dei saperi
Jim Rohn scriveva: «i poveri hanno grandi televisori, i ricchi grandi librerie». La frase è provocatoria ma descrive con efficacia l’importanza della conoscenza nel mondo odierno della produzione di beni e servizi. Quando parliamo di economia della conoscenza, digitalizzazione, intelligenza artificiale e industria 4.0 facciamo riferimento a uno scenario socio-economico e tecnico globale sempre più complesso, tale da esigere investimenti massicci per la diffusione di nuove conoscenze e nuove competenze allo scopo di rafforzare la competitività del sistema Italia e di offrire ai giovani possibilità reali e concrete di accedere a un mondo del lavoro che si sta trasformando rapidamente e profondamente. Per questo la scuola, che in tutti i suoi gradi dovrebbe poter essere frequentata senza costi da tutti i figli di famiglie sotto una certa soglia di reddito, è chiamata a rendere strutturali le iniziative volte all’acquisizione di maggiori competenze tecnologiche, promuovendo percorsi di studio flessibili, dedicando tempi più estesi all’apprendimento trasversale, mettendo in campo modelli di orientamento efficaci, rendendo centrali e prioritarie le azioni finalizzate a un’effettiva e qualificante alternanza scuola-lavoro. Non più eludibile è la questione di come costruire una strategia di rafforzamento dell’innovazione didattica. In questo senso, sono necessarie iniziative formative a tutti i livelli del sistema di istruzione e formazione professionale. La rivoluzione in atto portata da Industria 4.0 sta cambiando la struttura delle professioni, soprattutto nelle imprese più innovative. Attualmente, nel nostro Paese, la formazione dei ragazzi non è in grado di rispondere a questa domanda di cambiamento: molto spesso gli imprenditori lamentano la scarsità di competenze non esclusivamente teoriche. E, in genere, troppo elevato è il gap digitale. In un quadro di questo tipo la formazione e l’apprendimento permanente rappresentano una scelta obbligata per lavoratori e imprese: istruzione e mondo produttivo devono collaborare di più e con maggiore efficacia; l’offerta universitaria deve innovarsi; le scuole superiori devono cambiare la didattica valorizzando anche gli istituti tecnici e professionali; ai lavoratori anziani o rimasti fuori dall’innovazione dei processi devono essere offerte ampie opportunità di assimilazione di nuovo sapere, nella consapevolezza che le disuguaglianze di conoscenza sono tra le più grandi disuguaglianze di potere che esistano e che di fatto sono uno dei più regressivi fattori di iniquità sociale che si possano immaginare.
PER UNA QUESTIONE FEMMINILE VERAMENTE AL CENTRO
Uno dei banchi di prova più impegnativi per una forza che si dice riformista
La questione femminile rappresenta in tutti i suoi molteplici aspetti uno dei banchi di prova più impegnativi e cruciali sui quali misurare la capacità di una forza che si dice riformista di essere veramente tale. L’obiettivo della parità salariale non può restare oggetto di un’ormai insopportabile ginnastica declamatoria priva di riscontri pratici. È necessario prevedere l’obbligo di pubblicazione delle retribuzioni per le società quotate in borsa, per le aziende statali e per quelle con più di 15 dipendenti. E serve un effettivo sistema di incentivi e sanzioni per quelle che a parità di mansioni non assicurano alle donne stipendi pari a quelli degli uomini. Nelle politiche di conciliazione e per la maternità serve un ulteriore salto di qualità: piani straordinari per nidi gratis; congedi parentali familiari; un pacchetto di mesi da dividere tra madri e padri, a stipendio pieno, nel primo anno di vita dei figli, e a metà stipendio per i due anni successivi, a carico dello Stato. Le aziende che assumono donne applicando la parità nei ruoli apicali debbono essere incentivate, e quelle che discriminano le donne e non rispettano la parità di genere nelle assunzioni debbono essere sanzionate. Della questione femminile fanno parte a pieno titolo le politiche di contrasto alla violenza di genere. È venuto il momento di introdurre nel nostro ordinamento forme di “reddito di libertà”: una donna che denuncia maltrattamenti o che pone fine a una relazione perché vittima di violenza ha diritto a un sostegno economico e nella ricerca di un lavoro. Infine non si può non affrontare il problema delle famiglie monogenitoriali, le più esposte a fenomeni di impoverimento, di precarietà e di drammatica perdita di sicurezza e di opportunità: i figli delle famiglie monoparentali e monoreddito hanno diritto ad agevolazioni specifiche, e, qualora l’altro coniuge non provveda al mantenimento dei figli, deve essere lo Stato a intervenire, rivalendosi in seguito sull’inadempiente.
PER UNA POLITICA SERIA SUL MEZZOGIORNO
C’è bisogno di spirito innovativo non di politiche assistenziali
Tutto ciò va fatto con grande attenzione alla necessità di operare per l’attenuazione dei grandi e antichi squilibri territoriali che continuano a segnare pesantemente il nostro Paese: il diritto di ogni persona a una vita dignitosa non può variare in base al luogo di nascita. È tempo di riprendere una politica seria e strutturale nei confronti del Mezzogiorno, che merita ben più delle scelte propagandistiche e di corto respiro che oggi occupano la scena, e che ha bisogno non di politiche assistenziali bensì di spirito innovativo e dell’attuazione di azioni autopropulsive che partano dalla verità di fondo che la questione meridionale è questione nazionale per eccellenza: affrontarla adeguatamente significa incrementare le potenzialità competitive del Paese nel suo complesso, soprattutto se riusciremo ad aggredire nodi decisivi come il gap infrastrutturale e a promuovere investimenti di spessore nella scuola e nei settori produttivi più promettenti.
PER UN AMBIENTALISMO NON IDEOLOGICO E UN ECOLOGISMO RIFORMISTA
Con la promozione della crescita e del progresso
La salvaguardia dell’ambiente è un terreno cruciale, perché si collega non solo a fondamentali questioni di uguaglianza di diritti tra le persone viventi sulla terra ma anche ad altrettanto fondamentali questioni di solidarietà tra le generazioni. L’ambientalismo non ideologico, quindi rispettoso della scienza e orientato all’innovazione, che coniughi la difesa dell’ambiente non con una retorica declinista ma con la promozione della crescita e del progresso, rappresenta una scelta di largo respiro perché permette, anzi costringe, a fare riflessioni approfondite sulla sostenibilità dei comportamenti individuali e collettivi, e ad affrontare i grandi problemi di convivenza sociale con un’ottica mondiale e di lungo periodo. È quindi un elemento necessario di qualsiasi politica alta nel senso nobile del termine.
Salvo poche eccezioni il centrosinistra di governo non ha mai considerato le politiche ambientali perno dell’agenda politica globale, nazionale o locale. Che su questo fronte serva una svolta radicale è indubbio. E svoltare significa in primo luogo adoperarsi affinché l’ambiente diventi tema-chiave del dibattito politico come lo sono le tasse, l’immigrazione o le politiche contro la povertà. Non è ovviamente di un ambientalismo intriso di catastrofismo pro-decrescita che abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di un ecologismo propositivo e riformista. Proteggere l’ambiente significa darsi una strategia di governo sul fronte delle politiche energetiche, del contrasto ai cambiamenti climatici, dei rifiuti e dell’acqua, dell’alimentazione e della mobilità, dell’organizzazione della vita urbana. Il ritardo accumulato è drammatico. Colmarlo è un dovere morale e civile.
PER UNA DEMOCRAZIA TRASPARENTE, DECIDENTE E MAGGIORITARIA
E dar vita nel partito a un protagonismo strutturale degli amministratori locali
Da questa esigenza discende quella di avere tra gli obiettivi di fondo del nostro partito la costruzione di nuovi assetti istituzionali, perché è utopistico pensare di poter cambiare le politiche senza cambiare le istituzioni che le producono. Il nostro orizzonte deve essere quello di una democrazia trasparente, decidente e maggioritaria. Fondata su norme chiare contro le degenerazioni antidemocratiche nella vita interna dei partiti e su istituzioni liberate dalle magagne del bicameralismo paritario e di un rapporto inefficiente e disordinato tra centro e periferia; favorita da regole di voto imperniate sul sistema del ballottaggio nazionale, che è la più coerente traduzione a livello centrale del modello che negli enti locali da oltre venticinque anni assicura governabilità, alternanza, possibilità di affrontare il problema della non sommabilità di formazioni eterogenee senza finire nelle sabbie mobili di coalizioni-guazzabuglio condannate a trasformarsi, nella migliore delle ipotesi, in maggioranze parlamentari impotenti, paralizzate da veti incrociati e dalla presenza di istanze programmatiche inconciliabili.
Se così stanno le cose, anche la questione di come dar vita all’interno del partito a un protagonismo strutturale degli amministratori locali merita la più ampia considerazione.
PER UNA FORZA RIFORMISTA CHE FISSI CANONI DI LEGALITÀ CHIARI
Perché diritti e sicurezza vanno insieme
Diritti, sicurezza e legalità vanno insieme.
C’è chi usa la questione della sicurezza per spaventare le persone e chiuderle nelle loro case.
Una forza riformista deve invece affrontare questo problema per emancipare le persone dalle paure.
Una forza riformista deve impegnarsi in questa sfida con autorevolezza e senza imbarazzi, fissando canoni di legalità ben chiari e validi per tutti, sottolineando che è necessario intervenire su più piani nello stesso tempo.
L’obiettivo di fondo è integrare i poteri dello Stato; potenziare i simboli, i presidi e gli strumenti di prevenzione e di repressione dei reati; investire in riqualificazione territoriale e ambientale, affiancando sempre alla cultura della legalità la cultura dei diritti.
Un riformista sa che il cittadino non deve convivere con la paura, con il disordine sociale e urbano, con qualsiasi situazione sia suscettibile di alimentare sentimenti di insicurezza.
Non tutti possono scegliere di vivere in luoghi protetti e ben frequentati.
Per queste ragioni abbiamo quindi il dovere di intervenire in profondità in quelle zone dove il cittadino è più prigioniero delle proprie paure, combattendo il degrado e l’illegalità e offrendo spazi pubblici di alta qualità, strutture ricreative e di aggregazione che siano accoglienti e capaci di rafforzare il senso di comunità.
PER UNA GIUSTIZIA PIÙ GIUSTA E EFFICACE
Il garantismo non è un tema di secondaria importanza
L’indipendenza della magistratura, la separazione delle carriere e il giusto processo sono principi da difendere a testa alta.
Una magistratura libera e indipendente è un presidio di democrazia e un fattore primario di equilibrio tra i poteri costituzionali.
È quindi da respingere ogni tentativo finalizzato a limitarne indebitamente l’azione a difesa della legalità e dello stato di diritto.
D’altra parte è l’articolo 111 della Costituzione che parla di durata ragionevole del processo, che deve svolgersi di fronte ad un giudice terzo ed imparziale.
Ed è il codice di procedura penale che definisce i rappresentanti dell’accusa non come organi di emissione di verità indiscutibili bensì come una parte del processo, posti su un piede di parità rispetto all’altra parte, quella della difesa.
La separazione delle carriere, con la creazione di due Csm da eleggere tramite sistemi atti a contrastare le degenerazioni correntizie, traduce questo principio e rimuove un assetto sbilanciato risalente all’epoca in cui l’Italia era uno stato autoritario.
Nel 1991 fu Giovanni Falcone a rimarcare che giudici e pubblici ministeri non potevano essere inseriti nello stesso percorso di carriera, perché diversa è la loro “forma mentis” e la loro funzione istituzionale.
La questione delle garanzie dell’imputato e del garantismo non può essere trattata come un tema di secondaria importanza.
L’attenzione al principio della presunzione di innocenza non può variare a seconda di chi si trova sotto processo, amico o avversario che sia. È un principio non stiracchiabile alla bisogna, con argomentazioni ricche di parole e povere di pensiero, perché è proprio nelle situazioni più critiche e delicate che da esso abbiamo bisogno di essere orientati e vincolati. Le garanzie devono essere vere e non di facciata, così come la certezza del diritto e la certezza della pena debbono essere pienamente assicurate.
Abbiamo il dovere di affermare con forza che chi vuole processi penali che non si prescrivono mai ottiene l’effetto di colpire sia le parti offese dal reato sia chi, assolto magari dopo vent’anni, di processo penale sarà morto. Quando la Costituzione parla di ragionevole durata del processo intende esattamente questo.
PER UN’ECONOMIA DELLA CULTURA
Per una nuova visione delle politiche culturali
Nel campo della cultura occorrono scelte lucide e coraggiose. In seguito alla crisi economica esplosa nel 2008 i finanziamenti pubblici alla cultura sono scesi del 20%, quelli privati del 30%, quelli delle fondazioni bancarie del 35%. Nella scorsa legislatura si è lavorato per invertire questa tendenza e per creare una nuova governance dei beni culturali, con l’obiettivo di stimolare una nuova e migliore progettualità. Sono state colte opportunità inedite nei territori e in Europa. Abbiamo destinato i finanziamenti aggiuntivi più all’incentivazione della domanda che al sostegno dell’offerta, realizzando nuove partnership tra pubblico e privato. Oltre a tener viva questa corrente di iniziative dovremo pensare a realizzare forti investimenti per le nuove professioni del patrimonio culturale, che per competenze e talento vedono in posizione privilegiata giovani e donne, e che possono concorrere a mantenere un legame vitale con le migliori pratiche in atto in Europa. Oggi l’aumento di piattaforme che concentrano il potere derivante dal possesso di quantità sterminate di dati nelle mani di pochi giganti privati chiamano in causa principi per noi fondamentali: dal diritto alla privacy alla concorrenza, dall’equità fiscale a quella culturale. Sono strumenti, come il sistema di incentivi che implicitamente contengono, tutt’altro che neutrali, capaci di condizionare lo sviluppo della cultura. Per questo serve trattare tali temi con un approccio lungimirante e inclusivo. L’intelligenza artificiale, per far solo un esempio, è un settore nel quale l’Italia rispetto agli altri grandi Paesi europei sconta un ritardo drammatico in termini di investimenti. Va utilizzata per favorire la convivenza civile, per raggiungere più alti livelli di utilizzo delle tecnologie nel mondo della produzione e della cultura, per garantire una più robusta equità di accesso alle informazioni rilevanti e per tutelare la conoscenza condivisa nella comunità insieme al rispetto delle specificità dei fatti e delle opinioni, che sono pilastri insostituibili di ogni reale processo democratico.
PER UN PD CHE PARLI ALL’ITALIA NON AL PD
Con una vocazione maggioritaria senza il rifiuto aprioristico delle alleanze
I cambiamenti da realizzare sono tanti e tali da richiedere un Pd con forti basi innovative e riformiste, motore di iniziative politiche che, mentre nutrono l’opposizione a scelte sbagliate e sciagurate, siano atte a preparare una credibile alternativa di governo alla regressiva alleanza nazional-populista oggi al potere.
Un Pd che riacquisti la capacità espansiva che da tempo gli fa difetto; che sia in grado di parlare a una larga maggioranza del Paese manifestando fino in fondo la propria vocazione maggioritaria, beninteso senza conferire ad essa un significato di rifiuto aprioristico delle alleanze e una connotazione isolazionistica; che sia in relazione permanente con le realtà più vive della società civile organizzata e casa comune e plurale delle più radicate tradizioni riformiste del nostro Paese, da quella socialdemocratica a quella liberaldemocratica, da quella cattolico-democratica a quella ambientalista.
Un Pd rinnovato nelle sue strutture organizzative e comunicative, nella sua capacità di interagire con i cittadini e di coinvolgerli nei processi decisionali. Un Pd che sappia ridefinire e rinvigorire la sussidiarietà federale nei rapporti tra centro e periferia, tra organismi sovraordinati e territori. Un Pd compiutamente e orgogliosamente di centrosinistra, capace di rispondere appropriatamente alle esigenze degli strati più indifesi della popolazione come a quelle dell’elettorato moderato e dei ceti medi produttivi.
Un Pd non tentato da confuse operazioni di esternalizzazione della rappresentanza del centro e da artificiosi e asfittici disegni di creazione, per mezzo di scissioni di fatto consensuali, di partitini-stampella, quasi che il suo compito fosse favorire la nascita in vitro di alleati-ascari.
Il Pd più che a delle stampelle deve pensare a cosa fare per tornare a correre, sfruttando le opportunità offerte dall’estrema volatilità degli orientamenti elettorali, che permette di immaginare il superamento dell’assetto di tripolarismo imperfetto uscito dal recente voto europeo (con i partiti di centrodestra prossimi al 50%, quelli di centrosinistra staccati di oltre venti punti e il M5S sotto il 20%) non tramite la costruzione di alleanze posticce ma puntando in primo luogo ad allargare considerevolmente il proprio insediamento elettorale.
In un panorama politico in cui, come dimostra in un campo lontano dal nostro la Lega di Salvini, solo partiti grandi appaiono provvisti di una sufficiente capacità attrattiva, una strategia priva di ambizioni maggioritarie non consentirebbe di strappare consensi all’astensione e agli avversari.
Né potrebbe condurre alla formazione di governi passabilmente efficaci nel momento in cui dovessimo tornare maggioranza. Pur in un sistema elettorale per due terzi proporzionale, qual è quello vigente, non c’è tattica delle alleanze che possa esimerci dall’esigenza prioritaria di riportare il Pd ad essere il primo partito del Paese, il partito-pivot del sistema politico, che dà le carte perché ha più forza di tutti gli altri.
Conclusione (PD a vocazione maggioritaria e pivot del sistema politico) autoreferenziale e irrealistica.
L’alternativa all’ascendente Destracentro è in una VERA coalizione civico leberalsocialista europeista, nella quale il PD non pretenda di farla da padrone.