Il principale punto di forza del piano triennale di riduzione fiscale delineato da Renzi nell’ultima assemblea nazionale del Pd consiste nel fatto che è un tentativo serio di affrontare entrambi i versanti del problema, agendo sull’Irap, sull’Ires, sulla Tasi, sulle pensioni, sull’Irpef. La pressione fiscale italiana supera la media europea di quasi tre punti e mezzo di pil. Sono circa 50 mld di euro. Non a caso questa è la portata complessiva dell’intervento taglia-tasse che si dipanerà nel nostro Paese tra il 2016 e il 2018 e che si aggiunge alle defiscalizzazioni già significative introdotte nell’anno corrente per un totale di 15 miliardi tra 80 euro, riduzione dell’Irap e decontribuzione sui neoassunti a tempo indeterminato. Se il progetto sarà interamente attuato nei tempi previsti, noi potremo dire, a fine legislatura, di aver abbattuto la montagna tributaria italiana di quasi 70 miliardi di euro (oltre quattro punti di pil) e di avere le tasse sui produttori (lavoro e impresa) più basse a livello europeo.
La nostra economia per risvegliarsi definitivamente ha bisogno di uno choc positivo. Il programma fiscale appena ricordato ne ha tutti gli ingredienti. Trovare le coperture non sarà facile ma non è impossibile: dovremo intensificare la spending review e completare le riforme strutturali per ottenere in cambio la possibilità di arrivare a un deficit un po’ più alto del previsto e tuttavia compatibile con il proseguimento della tendenza alla riduzione del rapporto tra debito pubblico e pil. Se su questi due fronti raggiungeremo gli obiettivi che ci siamo prefissati, avremo senza dubbio una crescita al di sopra delle attese, e anche questo ci aiuterà a stare ben dentro i parametri europei. Se andremo avanti sul terreno delle riforme, non sarà un deficit/pil un punto più alto dell’1,8% previsto per il 2016 dall’attuale quadro programmatico di finanza pubblica a metterci in conflitto con le autorità europee.
Come ogni piano fiscale di largo respiro che si rispetti, anche quello di Renzi ha ricevuto delle critiche. Non ci pare che nessuna delle principali colga nel segno. Definire l’eliminazione della Tasi una scopiazzatura della misura-Berlusconi del 2008 significa ignorare cosa è avvenuto dal 2008 in qua nel nostro Paese e nel mondo, quanto la situazione è cambiata rispetto ad allora, quanto l’aumento delle tasse sulla casa ha prodotto incertezza e sfiducia, crisi del mercato immobiliare, diminuzione vertiginosa dei posti di lavoro nel settore delle costruzioni, nel quale si è concentrata la metà dell’emorragia occupazionale conosciuta dall’Italia nella Grande Recessione. Significa anche non voler capire che per scuotere l’economia italiana dal torpore servono interventi chiari, semplici da fruire, comprensibili da tutti, rivolti a tutti. L’attenzione quasi esclusiva riservata all’eliminazione della Tasi rivela anche un po’ di strumentalità: in un pacchetto triennale da 50 mld, essa rappresenta meno del 10% delle frecce che lanceremo dal nostro arco. Parlare di quello e quasi sorvolare sul resto non è una gran prova di onestà intellettuale. Né sembrano appropriate altre contestazioni. Che siamo capaci di ridurre le imposte senza tagliare il welfare lo abbiamo già dimostrato nel 2015. Che non è il caso di farci la lezione sull’evasione fiscale lo dimostra il nuovo dinamismo dell’Agenzia delle Entrate contro le grandi frodi e la velocità con la quale abbiamo raggiunto accordi internazionali importanti anti-segreto bancario. Che la preoccupazione di contenere le disuguaglianze ha una parte di primo piano nella nostra agenda lo dimostra la struttura dell’intervento degli 80 euro, con il quale abbiamo distribuito 10 miliardi di euro (una somma tre volte superiore a quella che è in gioco con la Tasi) a chi percepisce redditi medio-bassi.
In sintesi: per la prima volta da molto tempo a questa parte un governo italiano è disposto ad assumere coi cittadini e con le imprese un impegno chiaro, di lungo periodo, verificabile, suscettibile di avere effetti psicologici e sostanziali di notevole rilievo. Non è un passo da poco, soprattutto se, come tutto lascia pensare, riusciremo a compiere un salto di qualità anche in termini di contrasto alla povertà e di rilancio degli investimenti pubblici, attraverso l’impiego accelerato di ingenti fondi già stanziati.
Sindaco di Vinci dal 2004 al 2013. Parlamentare Pd dal 2013, è stato Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato dal 2020 al 2022. Attualmente ne è Vicepresidente.