di Marco Piccolino Boniforti
Innovation by invidia
“Innovation by invidia”. Così il rappresentante di un’associazione di categoria sintetizza in uno slogan pungente il concetto per cui molti imprenditori si decidono a sposare un’innovazione solo quando vedono che qualche altro imprenditore di loro conoscenza è “finito sul giornale” per aver messo in atto una misura simile.
Se il meccanismo principale per cui le innovazioni si diffondono nel mondo delle imprese fosse davvero questo, ci sarebbe poco da stare allegri. O forse è più che naturale che il meccanismo sia proprio questo, tenendo conto dell’importanza che imitazione, emulazione e giudizio dei pari rivestono in ogni aspetto della nostra vita. Bisogna dunque tenerne conto.
Le considerazioni qui sopra vengono espresse il 28 Febbraio nella sede di Regione Lombardia a Bruxelles, nel contesto dell’evento Connecting Voices: Social Dialogue for Digital Skills and Smart Working, atto finale del progetto IRESDES 4.0.
L’acronimo sta per Industrial Relations and Social Dialogue for an Economy and a Society “4.0”. Si tratta di un lavoro che ha occupato circa due anni, con un focus specifico sul dialogo tra le parti sociali, le relazioni sindacali e la contrattazione collettiva per la regolamentazione e l’implementazione di smart working (e telelavoro) e programmi di acquisizione delle competenze digitali e re-skilling di lavoratori e lavoratrici.
Le parti sociali fanno squadra
Aspetto non di poco conto, il progetto si è occupato in particolare del contesto delle aziende manifatturiere, e specificamente metalmeccaniche: non quindi del terziario dove lo smart working e la formazione al digitale dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) essere patrimonio comune in molte aziende, soprattutto dopo l’accelerata impressa dai lock-down, ma piuttosto in un settore che si avvale in massima parte di mansioni difficilmente remotizzabili (almeno nel breve periodo) e che per certi versi sconta una sensibilità variabile a queste tematiche.
Uno dei pregi del progetto IRESDES 4.0 è stato quello di coinvolgere, da protagonisti, sia rappresentanti del mondo “datoriale” (termine a mio avviso problematico e degno di una riflessione a parte) che sindacati. Nello specifico, a livello italiano sono stati coinvolti da una parte Confimi Industria e dall’altra FIM-CISL Veneto, mentre a livello europeo c’è stata la partecipazione della European Digital SME Alliance, organizzazione che riunisce circa 30 sigle di categoria nazionali e regionali nel mondo della Micro, Piccola e Media Impresa.
L’attività di ricerca e sintesi è stata curata da ADAPT, associazione senza fini di lucro fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere, in una ottica internazionale e comparata, studi e ricerche sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali.
Re-skilling e smart working: a che punto siamo?
Nella ricerca preliminare sullo stato dell’arte, dal titolo Report on the state-of-the-art regarding smart working and digital skills development in social dialogue practices and CLAs, Diletta Porcheddu e Margherita Roiatti, ricercatrici ADAPT, offrono una panoramica su 1) cambiamenti demografici in atto in Europa; 2) accelerata sulla digitalizzazione impressa dal Covid-19; 3) stato della digitalizzazione nelle MPMI (con particolare attenzione a telelavoro, smart working e digital skills); 4) iniziative più o meno di successo già messe in atto dalle parti sociali; 5) recepimento delle novità imposte dalla digitalizzazione alla contrattazione collettiva.
Per quanto riguarda i cambiamenti demografici, le informazioni contenute nel report, derivate in gran parte dall’Ageing Report 2021 della Commissione Europea, prospettano da qui al 2070 un incremento relativo del 9,6% di forza lavoro in età compresa tra i 55 e i 64 anni, a fronte di una contrazione del 16% della forza lavoro totale, con un impatto diretto sulla previdenza e uno indiretto sulle competenze di chi lavora e sulla loro rilevanza a fronte di mutamenti sempre più rapidi.
Mutamenti che già oggi identificano un’Europa a due velocità, come evidenziato dal Digital Economy and Society Index 2021. Due velocità che si riflettono lungo diverse dimensioni: grandi aziende più innovative rispetto alle MPMI, soprattutto per quanta riguarda la formazione al digitale (68% vs. 18%); 4 adulti su 10 (e una persona su tre) in Europa carenti sulle competenze digitali di base; paesi come Belgio e Irlanda che vantano una percentuale elevata di aziende che impiegano professionisti delle tecnologie dell’informazione (30%) contro la media UE (19%) e quella italiana (13%).
Sul divario tra grandi aziende e MPMI l’analisi delle ricercatrici sintetizza diverse possibili concause: costo potenzialmente elevato delle tecnologie digitali; incertezze relative alla sicurezza dei dati; assenza di propensione al rischio da parte del management; scarsa consapevolezza dei benefici delle tecnologie digitali o della capacità dei vertici aziendali di farne un uso produttivo, oltre che un basso livello di competenze digitali tra datori, manager e addetti delle MPMI.
Quest’ultimo aspetto, a sua volta, sembra essere motivato dalla carenza di un’educazione e formazione professionale che sia modellata sulle specificità e sui bisogni delle aziende più piccole. Nel contesto italiano, in particolare, si evidenzia una propensione all’investimento in formazione inferiore rispetto alla media UE. Tutto questo in un comparto, quello manifatturiero, che nella sua versione 4.0 richiede grandi investimenti in digitalizzazione per l’automazione dei processi e l’interconnessione dei macchinari.
Anche per lo smart working e il telelavoro, termini che oggi assumono significati diversi tra loro, il report IRESDES 4.0 evidenzia un divario a livello europeo tra aziende di grandi dimensioni e MPMI, a partire dal 2002, anno in cui venne pubblicato l’Accordo Quadro Europeo sul Telelavoro. Le cause sarebbero ancora una volta da ricercare nei costi (che comunque negli anni sono diminuiti notevolmente), ma anche nel basso livello di fiducia nei confronti di impiegate e impiegati, e nella limitata capacità di alcune MPMI di gestire il cambiamento.
La ricerca di ADAPT si conclude con l’analisi di alcuni contratti formativi stipulati nel settore metalmeccanico italiano (sia tra aziende e personale, che a livello territoriale), prerequisito del recente Fondo Nuove Competenze), oltre che di contratti che regolano il lavoro remoto, sia come modalità di collaborazione continuativa, che come misura emergenziale legata al Covid-19.
Raccomandazioni a Stati e Commissione
Oltre ai già di per sé interessanti spunti di riflessione che emergono dal rapporto IRESDES 4.0, le parti interessate del progetto hanno sintetizzato una serie di raccomandazioni a Stati, Commissione e Parti sociali.
Per quanto riguarda gli Stati membri, risultano chiave la collaborazione e il dialogo con le parti sociali sia per lo stanziamento delle risorse per la formazione, in vista dei target europei per il 2030, che per l’avvio di programmi di ripresa e resilienza che garantiscano l’accesso alla formazione al maggior numero di persone possibile, che per la revisione delle competenze digitali di base e specialistiche, che, infine, per facilitare l’implementazione del lavoro da remoto. Fondamentali sono considerati anche rilevamenti statistici frequenti e possibilmente esaustivi sul livello di digitalizzazione delle MPMI. Si raccomanda poi una sburocratizzazione delle norme che regolano il lavoro da remoto.
Alla Commissione Europea si raccomanda invece la promozione dello sviluppo delle competenze digitali, sempre in dialogo con gli stati membri, tramite i numerosi strumenti già a disposizione e tenendo conto anche della cornice che vede nel 2023 l’Anno europeo delle competenze. A ciò si affianca la richiesta di investimenti maggiori per la sovranità digitale, e ad Eurostat un incremento delle rilevazioni statistiche.
Il ruolo chiave delle parti sociali
Il più delle raccomandazioni sono però rivolte alle parti sociali, nazionali e territoriali.
Alle parti sociali nazionali si chiede di promuovere congiuntamente l’accesso alla formazione sul digitale, incrementando anche l’utilizzo dei fondi europei e l’attenzione alle buone pratiche diffuse sul continente; promuovere l’uso di strumenti didattici ibridi, accompagnati da una certificazione delle competenze valida a livello europeo, e, d’intesa con i governi, la costituzione di fondi per la formazione e l’innovazione.
Le parti dovrebbero, ancora, occuparsi di anticipare le nuove competenze richieste dal mondo del lavoro, e definire una formazione di qualità sia per chi lavora che per chi è in cerca di occupazione; coinvolgere la rappresentanza sindacale aziendale e le MPMI, informandole sugli strumenti a disposizione per la crescita delle competenze e coinvolgendole nella progettazione dei percorsi formativi; occuparsi del trattamento dei dati nei rapporti di lavoro.
Alle associazioni datoriali si chiede di sensibilizzare le aziende sull’importanza dell’innovazione digitale, e di mettere a terra iniziative di condivisione delle buone pratiche, anche peer-to-peer.
Si ritiene inoltre fondamentale che il dialogo sociale sia al cuore della contrattazione collettiva su smart working e lavoro da remoto, anche per valutare adeguatamente i rischi per la salute fisica e psichica di questi nuovi scenari.
Stringendo il campo a livello locale, si nota come la conoscenza che le parti sociali locali hanno delle carenze formative e professionali del territorio possa informare l’attuazione di interventi specifici. E’ posto l’accento sul ruolo del dialogo preventivo tra imprese e lavoratori nella definizione degli accordi, nonché la possibilità per le parti sociali di informare e fornire modelli anche alle MPMI prive di organi di rappresentanza di lavoratori e lavoratrici.
Infine, l’orizzonte si amplia al contesto europeo, dove si auspica una maggiore partecipazione delle parti sociali alle iniziative esistenti, anche per sfruttare gli strumenti e le risorse già sviluppati, incrementando la mobilità delle figure professionali e il riconoscimento delle competenze.
Le priorità, secondo le parti sociali
La conferenza finale di IRESDES 4.0 ha offerto un momento di confronto sul ruolo del dialogo tra le parti sociali per l’implementazione delle raccomandazioni e, più in generale, della transizione digitale in Europa. In due panel moderati da Antonio Grasso di European Digital SME Alliance, si sono confrontati rappresentanti delle parti sociali, portatori di interesse ed esperti.
Nel primo panel, Davide Licini Paoni per Confimi Bergamo sottolinea come alcune sfide urgenti riguardino 1) il vincolare alcune ore di formazione delle 24 triennali previste dal contratto metalmeccanici alla formazione digitale, 2) considerare il fatto che il lavoro da remoto sia ormai un benefit richiesto, da estendere quindi possibilmente anche alle figure tecniche e ibride, con particolare riferimento a chi si occupa di progettazione, con l’annessa necessaria revisione delle mansioni per obiettivi. Prosegue affermando come sia richiesto uno “scatto culturale per la sopravvivenza”, da concretizzarsi tramite la testimonianza di imprenditori che hanno già avviato questi percorsi (“innovation by indivia”); la capacità di comunicare le esperienze positive; l’avvio di collaborazioni intersettoriali e tra territori.
Massimiliano Nobis, segretario generale FIM-CISL Nazionale, invita le parti sociali ad attenzionare i fattori esogeni che condizionano l’innovazione; chiede norme efficaci ma leggère; ribadisce l’importanza della contrattazione, soprattutto su scala territoriale, dell’attenzione agli aspetti legati alla salute nello smart working e alla nuova organizzazione del lavoro. Ricorda poi che per molte persone siamo ancora all’”anno zero” sulle skill digitali, e che quindi è necessaria una “formazione di massa” sulle competenze di base e sulla certificazione delle stesse.
Nicola Panarella, segretario generale FIM-CISL Veneto, punta invece l’attenzione sulla mancanza di penetrazione delle parti sociali nelle MPMI, rimarcando anche come in alcuni settori la formazione unica non sia appropriata. Invita quindi le aziende a fornire i piani formativi, completi di temi e modi, da discutere a livello aziendale e territoriale.
Diletta Porcheddu, ricercatrice ADAPT, insiste sulla sensibilizzazione delle parti sociali, che reputa difficile all’interno delle MPMI; sull’insegnare ad utilizzare i fondi tramite la disseminazione di buone pratiche; sulla necessità di introdurre vincoli sui fondi (ad esempio la partecipazione obbligata delle parti sociali); sull’importanza del peer-to-peer learning.
Justina Bieliauskaite, Projects Director per European DIGITAL SME Alliance, si concentra sull’importanza della sovranità digitale in ottica di resilienza; sulla misurazione e sulla diffusione della conoscenza degli strumenti (finanziamenti, Pact for Skills, Digital Europe, Resilience Plan).
Le priorità, secondo gli osservatori
Nel secondo panel, Antonio Grasso amplia lo sguardo al contesto europeo coinvolgendo diversi osservatori privilegiati.
Anja Meierkord, Labour Market Economist presso l’OCSE/OECD, rivela che solo il 18% dei contratti collettivi a livello europeo trattano esplicitamente della formazione. Da questo punto di vista, l’Italia costituisce un esempio positivo. Meierkord menziona anche il Global Deal, iniziativa OCSE finalizzata all’implementazione del dialogo sociale e della crescita inclusiva.
Giuseppe Guerini, membro dell’European Economic and Social Committee (EESC), presidente CECOP (European confederation of industrial and service cooperatives) e Confcooperative Bergamo, estende il ragionamento al mondo dell’impresa sociale dove, afferma, nelle cooperative strutturate la contrattazione collettiva è comparabile a quella di altri settori, su tutti l’esempio della basca Mondragon Corporation. Meno mature da questo punto di vista sono solitamente le cooperative di servizi e sociali, ad oggi maggiormente finalizzate all’emersione dall’informalità, per esempio nel lavoro di cura. Speciale infine è il caso delle cooperative di lavoro, dove il dialogo sociale è parte integrante della governance.
Guerini introduce poi il tema dei lavoratori che non hanno copertura contrattuale (tra cui anche le “partite IVA”) per cui, sostiene, l’organizzazione in cooperativa può rappresentare un interessante strumento; segnala l’EESC come “casa del dialogo sociale” il cui compito è elaborare pareri sulla legislazione europea, e si auspica che venga trovata una via europea alla digitalizzazione (rispetto a quelle di USA e Cina). Reputa infine utile la costituzione di consorzi e cooperative finalizzati al mutualismo dei dati usati per l’A.I.
Isabelle Barthés, vicesegretaria generale della federazione sindacale IndustryAll Europe, sottolinea l’importanza della contrattazione collettiva per bilanciare rischi e opportunità, e introduce altri temi caldi: l’essere umano in controllo dell’intelligenza artificiale e la dignità umana rispetto alla sorveglianza. Si augura lo sviluppo di strumenti inclusivi per la gestione del cambiamento; un’estensione della contrattazione collettiva grazie all’introduzione del salario minimo; maggiore comunicazione tra le parti sociali.
Enrico Giovannini, già Ministro del Lavoro e delle Politche Sociali e direttore scientifico di ASviS, richiama infine il quadro complessivo, costituito dalla transizione digitale ed ecologica, e la necessità di guardare al futuro del lavoro al di là dei bisogni formativi attuali. Cita il report “Future of Work” (2019) dell’International Labour Organization (ILO), dove si sostiene che la formazione deve essere considerata un investimento, non un costo, e il Life-Long Learning come parte della contrattazione collettiva, per via della responsabilità sociale delle imprese.
Giovannini mette poi l’attenzione sulla formazione dei consumatori del digitale, come mercati potenziali per le imprese innovative.
Spostandosi al tema della sostenibilità, cita l’esempio positivo del Regno Unito, dove sono stati costituiti tavoli di confronto che tengano conto delle diverse dimensioni del fenomeno simultaneamente. Promuove infine un approccio che definisce di “resilienza trasformativa”.
Domenico Galìa, presidente di Confimi Digitale, chiude in dialogo con Nicola Panarella di FIM CISL Veneto che, sottolineando la fiducia e collaborazione reciproca, auspica un passo ulteriore su temi collegati, come la settimana corta e la condivisione delle buone pratiche.
Galìa dal canto suo sottolinea l’aspetto di rivoluzione culturale dello smart working, che richiede un nuovo modello di relazioni industriali e stravolge anche il paradigma della competizione, con risvolti quali l’attrattività di talenti e competenze, un mercato del lavoro europeo, il passaggio a modelli organizzativi innovativi e più flessibili. Ricorda infine il contesto della nuova globalizzazione a macroaree che si sta costituendo, nonché le sfide europee dell’indipendenza energetica, digitale e delle materie prime nel quadro della transizione ecologica, e auspica una continuazione del progetto IRESDES perché si allarghi alle tematiche ESG.
Spunti per un’agenda laburista
Da questa panoramica, necessariamente sintetica ma ricca di spunti, dovrebbe risultare evidente come i due temi delle digital skills e dello smart working, assieme agli altri qui menzionati solo a latere, ma intrinsecamente uniti (transizione eco-digitale, governance dell’intelligenza artificiale ecc.) dovrebbero non solo rientrare, ma essere al centro di un’agenda laburista di respiro europeo: da come verranno governati dipenderà indubbiamente parte della sorte di aziende e lavoratori nel futuro a breve e medio termine. Da dove partire? Magari dall’Innovation by invidia: mappatura delle buone pratiche e disseminazione tra pari.
Sito del progetto: https://iresdes40.eu/
Marco Piccolino Boniforti (1981) è un microimprenditore nel campo delle interfacce uomo-macchina. Dopo studi umanistici e tecnici in Austria, Italia e Spagna, ha svolto un dottorato di ricerca presso l’Università di Cambridge sulla modellazione al computer del riconoscimento della lingua parlata. E’ interessato alla governance di digitalizzazione e automazione per il futuro del lavoro e la giustizia sociale nel contesto europeo e globale. Vive e lavora a Bergamo.