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Minniti: “Connettere il riformismo al popolo”

di Marco Minniti

 

La candidatura

Ho deciso di mettermi in campo perché considero la mia una candidatura di servizio. Di una persona che ha ricevuto tanto dal suo partito, dalla sinistra e che sente ora di dover restituire qualcosa. So bene che le scorse elezioni sono state più di una sconfitta. C’è stata una rottura sentimentale con i nostri elettori. Questa è la sfida del Congresso. Io non cerco scorciatoie.

 

Parlare con la società italiana

La sconfitta del nazionalpopulismo è possibile solo si riesce a parlare con la società italiana. Va ricostruita una connessione. Serve un Congresso che parli all’Italia, non un regolamento dei conti interni. C’è stato un stacco netto tra la crescente preoccupazione per quel che sta avvenendo nel Paese e l’ordinaria amministrazione con cui il mio partito ha affrontato quella preoccupazione. Ci siamo schizofrenicamente guardati l’ombelico.

 

Politiche riformiste e servizio alle istituzioni

In questi anni mi sono occupato di due grandi questioni: la sicurezza nazionale e il ministero dell’Interno. Abbiamo garantito sicurezza dinanzi al terrorismo internazionale. E poi ci siamo cimentati con il governo dei flussi migratori coniugando umanità e sicurezza. Il Pd non può nemmeno cancellare le politiche riformiste della scorsa legislatura. 

550 sindaci hanno firmato un appello. Rappresento questa parte del partito e non un equilibrio correntizio. Se non ci fosse stata questa richiesta da parte di tanti eletti, non mi sarei reso disponibile. E poi rivendico con una certa fermezza una storia personale, fatta al servizio delle istituzioni. Si sta candidando Marco Minniti. Punto.

 

Il riformismo che risponde alla rabbia e alla paura

Essendo stato tra chi non ha esagerato nel lodarlo quando era al potere, non ho alcun bisogno di prenderne le distanze. Renzi ha perso e si è giustamente dimesso assumendosi responsabilità che vanno anche oltre le sue. Il tema ora non è più questo, ma come salvaguardare il progetto riformista. Connettere il riformismo al popolo.

Non abbiamo risposto a due grandi sentimenti: la rabbia e la paura. Non si può rispondere a chi ha perso il lavoro con la freddezza delle statistiche. Dicendogli che l’occupazione cresce. Così come non si può dire al cittadino che ha subito un furto in casa, che i reati diminuiscono.

 

La sinistra riformista è l’unico argine al nazionalpopulismo

C’è bisogno della sinistra riformista. I più deboli si sono sentiti abbandonati. Anzi, addirittura biasimati. Quello spazio è stato colmato dai nazionalpopulisti. Basta vedere quel che è accaduto nelle nostre periferie».
Forse siamo stati aristocratici. Non possiamo più esserlo. Anche perché mai come in questa fase il Pd è l’unico argine democratico a questa maggioranza nazionalpopulista. Un argine che si costruisce su otto parole chiave: sicurezza e libertà, sicurezza e umanità, interesse nazionale e Europa, crescita e tutele sociali. I nazionalpopulisti contrappongono queste parole e impongono una scelta, noi dobbiamo conciliarle. Dobbiamo farlo sapendo che senza l’Ue – che va cambiata profondamente – non si affrontano le questioni poste dalla globalizzazione. Una grande Italia in una grande Europa.

 

Le alleanze possibili 

Per farlo serve una grande alleanza democratica. Va rimesso in campo un partito forte ma consapevole dei suoi limiti, alleato con pezzi di società, con queste azioni di cittadinanza che abbiamo visto a nascere a Roma e a Torino.

L’M5S può essere un alleato? Il discorso può essere fatto solo dopo che questa maggioranza nazionalpopulista verrà sconfitta nel Paese. I grillini stanno vivendo una eclisse. Questo governo sembra il pentapartito: litigano e poi si mettono d’accordo sul potere. Ma se c’è la crisi di governo si deve votare. Qualsiasi altra soluzione, un’intesa tra Pd e M5S in questo Parlamento sarebbe una manovra tra due sconfitti.

 

Il futuro del Pd

Lo dico da esperto avendo partecipato a tutti i cambi di nome dal Pci in poi: non serve cambiare nome al partito. Semmai dobbiamo unirlo, ricostruirlo e cambiarlo profondamente. Ora sembriamo una confederazione di correnti. E una confederazione di correnti non può vincere.

La prospettiva del Pd è stata messa in discussione. Se la situazione non fosse stata senza precedenti, non avrei mai pensato ad una mia candidatura. Il futuro del Pd, inoltre. è connesso a quello della democrazia italiana.

 

Gruppo dirigente e rinnovamento

Nicola Zingaretti non è un avversario. Io penso a un ricamo unitario che valorizzi le differenze politiche. Per questo proporrò a tutti i candidati un codice di comportamento per far capire che non c’è una gestione contrapposta. Non dirò mai una parola contro di loro. Nel codice vorrei scrivere che chiunque vinca, avrà la collaborazione degli altri.

Quando stavo nel Pci, un leader di allora mi diceva: i capi scelgono come successore uno più coglione di loro e la chiamano continuità. Poi a volte si sbagliano e scelgono uno più intelligente e allora lo chiamano rinnovamento. Ecco, io voglio il rinnovamento.

 

(Testo rielaborato dell’intervista a Repubblica del 18 novembre 2018)

 

 

 

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