di Mario Campli e Alfonso Pascale
La proposta del comitato di azione civile “Europa Che Decide” di svolgere, immediatamente dopo le prossime elezioni europee, il “Semestre costituente” mira a dare un rinnovato slancio all’integrazione europea, con tutta evidenza rallentata (se non bloccata) da un deficit di fiducia tra gli Stati nazionali membri.
La prima forte manifestazione di questo rallentamento risale all’insorgenza delle crisi finanziaria 2008-2009 e si è approfondita durante il lungo e complicato percorso di contrasto alle sue conseguenze: crisi dei debiti sovrani degli Stati della zona euro, pericoli per la stabilità della moneta unica, ecc.
Non basta il marchingegno dello Spintzenkandidat
È nella conduzione di quella crisi che il metodo intergovernativo della guida dell’integrazione si afferma nel governo dell’Unione europea. Ma questo modello di governance resta in piedi nonostante la qualificazione politica della Commissione attraverso il marchingegno del “candidato principale” (Spitzenkandidat) alla sua presidenza. Ancora recentemente, nella sua Decisione del 7 febbraio 2018 sulla revisione dell’accordo quadro riguardante le relazioni tra il Parlamento europeo e la Commissione europea, il Parlamento ha avvertito di essere pronto a respingere qualsiasi candidato, nella procedura d’investitura del Presidente della Commissione, che non sia stato nominato “candidato principale” (Spitzenkandidat) di un partito politico europeo in vista delle elezioni europee del 2019. Infatti, il Consiglio europeo – anche quando il Trattato non lo sottolinei formalmente – mantiene una funzione molto pregnante nel proporre al Parlamento l’elezione del Presidente della Commissione (si veda l’articolo 17, comma 7).
In estrema sintesi, il comitato “Europa Che Decide” propone che nella prima seduta del nuovo Parlamento, i “cittadini direttamente rappresentati, a livello dell’Unione, nel Parlamento europeo” (vedi art. 10/2 del TUE), affermino, con un voto, di voler mettere mano alla modifica del Trattato sull’Unione europea. Nulla di rivoluzionario: non nella forma (anche questo Trattato prevede nel suo articolo 48 che il Parlamento possa approvare “progetti intesi a modificare i Trattati”).
Certo, la proposta delinea una innovazione di sostanza: alla fine del semestre – dopo aver approvato solennemente le sue proposte di modifica – il neo-eletto Parlamento, anziché “sottoporre”, burocraticamente, questa sua volontà al Consiglio, dovrà aprire un negoziato esplicito – politico e istituzionale – con gli Stati membri o con Il Consiglio europeo, finalizzato al completamento della democrazia delle istituzioni e della forma di governo dell’Unione.
Il comitato “Europa Che Decide” è consapevole che questa proposta innova profondamente l’attuale assetto della democrazia delle/nelle istituzioni europee; ma è altrettanto consapevole che la crisi della democrazia rappresentativa adesso abbia bisogno di questo coraggio e di questo choc, per battere i populismi e le pratiche, persino già costituzionalizzate (!) in alcuni Stati membri, di lesioni allo Stato di diritto (vedi Ungheria e Polonia).
Chi dovrà assumere la guida di una rinnovata integrazione europea?
Il cuore della proposta sta nell’assunzione di piena responsabilità dell’emergenza democratica nelle democrazie nazionali, che strumentalizza la configurazione ibrida della legittimazione democratica del livello sovranazionale della democrazia configurata nell’Unione europea. Certo, si può volgere il capo dall’altra parte, dicendo: risolviamo i problemi sociali ed economici e i populismi svaniranno. Ma resta la domanda: chi dovrà assumere la guida di questa rinnovata forza e dinamicità dell’integrazione (il “risolviamo i problemi”)? Chi risponderà della lentezza o del non decollo di questo auspicato slancio? Quali maggioranze? E all’interno di quale Istituzione? Nel Consiglio europeo (gli Stati) o nel Parlamento?
Sia chiaro: la proposta non delinea affatto, al livello dell’Unione, una forma di “super-stato”; al contrario, richiede modifiche al Trattato che consenta una ridefinizione delle “due sovranità”, con la riscrittura delle relative competenze tra gli Stati nazionali membri e la Unione.
Tutto, ancora, resta nel perimentro dell’attuale “Trattato sull’Unione europea”. E si potrebbe anche osare di più: il Parlamento potrebbe aprire un vero e proprio conflitto interistituzionale, rifiutandosi di accettare le proposte che vengono dalla Commissione e dichiarare solennemente che interrompe la collaborazione interistituzionale del processo legislativo “fino a quando il Consiglio europeo non riconosca la inadeguatezza dell’articolo 48 del TUE – lesivo della dignità del Parlamento eletto a suffragio universale – e accetta di discutere il progetto di modifica in un processo bilaterale e di pari dignità; aperto formalmente questo “negoziato/confronto interistituzionale”, il Parlamento riprenderebbe la sua collaborazione (a questo punto, prescindendo dal suo esito).
Nella proposta del comitato “Europa Che Decide” al “Semestre” viene dato il nome di “costituente”, nel senso di ridefinizione delle forme e della sostanza delle istituzioni e del governo dell’Unione.
Queste forme e questa sostanza già oggi, nell’attuale Trattato, configurano una “costituzione politica” dell’Unione. La non contraddizione tra le due forme di regolare una comunità politica sovranazionale è, implicitamente, evocata nella dizione adottata nel 2004: “’Trattato’ che istituisce una ‘Costituzione per l’Europa’”.
Mario Campli. Sociologo. E’ stato Consigliere del Comitato Economico e Sociale Europeo dal 2006 al 2015, più volte relatore su tematiche sociali, economiche e ambientali, sulla politica agricola comune e della sicurezza alimentare globale.
Alfonso Pascale. Presidente del CeSLAM (Centro Sviluppo Locale in Ambiti Metropolitani). Dopo una lunga esperienza di direzione nelle organizzazioni di rappresentanza dell’agricoltura, nel 2005 ha promosso l’associazione “Rete Fattorie Sociali” di cui è stato presidente fino al 2011. Membro del Tavolo Permanente di Partenariato della Rete Rurale Nazionale e del Comitato scientifico del Terzo Settore del Lazio, si occupa di sviluppo locale e innovazione sociale. Collabora con istituzioni di ricerca socioeconomica e di formazione e con riviste specializzate.