di Enrico Morando
Perché abbiamo deciso di tenere ora la nostra Assemblea Nazionale?
- Perché pensiamo che sia aperto il problema del posizionamento di fondo del partito dei riformisti italiani di centro-sinistra – del Partito Democratico – per la imminente campagna elettorale;
- Perché pensiamo che – come hanno detto in molti (dalla relazione di Tonini all’intervento di Fabbrini), sia questa la fase nella quale si decide se l’Italia vuole e può giocare un ruolo da protagonista nel processo di rilancio dell’Unione che – sull’asse Macron-Merkel – comunque ci sarà.
- E infine perché – ad un anno di distanza dalla più cocente delle nostre sconfitte, quella del referendum costituzionale del 4 dicembre – pensiamo sia giunto il momento di riproporre il tema della riforma dell’assetto politico-costituzionale del Paese. Come ha detto Ceccanti, non è in dubbio il se si riproporrà. La domanda è “quando”? E la nostra risposta è subito, all’esito – quale che esso sia – delle imminenti elezioni Politiche.
Ponendoci obiettivi tanto ambiziosi, noi di LibertàEguale cerchiamo di essere all’altezza della nostra tradizione, del ruolo che ci siamo affidati (e ci viene riconosciuto) nel vasto campo del riformismo italiano.
Una cosa è sicura: come dimostra il prezioso lavoro di Claudio Petruccioli (diciotto Orvieti+2), non ci ha mai spaventato la distanza enorme tra gli obiettivi che ci siamo proposti e la pochezza delle nostre forze organizzative.
Non quando reagimmo a Gargonza, aprendo quel duro scontro politico nei DS e nella Margherita che proprio qui, in questa sala, ci avrebbe portato prima alla relazione “costituente” di Vassallo sul PD; e poi al Veltroni che qui, alla nostra Assemblea, disse: “mi sono chiuso una porta dietro le spalle…. Andremo da soli”.
Non quando si è trattato di rompere la continuità del posizionamento programmatico della sinistra di governo italiana, costruendo soluzioni radicalmente innovative sulle principali questioni aperte, dal lavoro alle pensioni, passando per la formazione e arrivando alle riforme istituzionali ed elettorali.
Nel vivo di questo lavoro, si è selezionato quel giovane personale politico/tecnico che è venuto alla politica nazionale presentando qui – a questa Assemblea – le proprie elaborazioni e si è preparato a svolgere quella funzione di governo che ha avuto un così grande peso nelle scelte fondamentali di questi quattro anni. I nomi voi li conoscete da tempo. Ora li conoscono tutti, sicché non c’è bisogno che li richiami.
Questa è stata ed è LibertàEguale. E non c’è manovra trasformistica della vecchia sinistra conservatrice che possa negare questa evidenza. Ci possono prendere il nome, negando se stessi e manifestando la loro subalternità. Ma devono sapere che le posizioni dei veri Liberi ed Eguali, in Italia, sono quelle che abbiamo affermato in questi anni e costituiscono ormai una vera e propria tradizione. Sono le stesse posizioni che si troveranno tra i piedi ogni giorno, quando – ogni giorno, col nostro nome – le contrapporremo alle loro. Non per spirito polemico. Ma per amore della verità delle posizioni politico-programmatiche di ciascuno.
Ebbene – al termine di questa due giorni che corona il lavoro di un intero anno, con le riunioni aperte della nostra Presidenza, con il seminario di luglio in Lombardia – possiamo ora tirare le reti in barca: a- posizionamento politico: noi da una parte, gli altri – centrodestra e M5s – dall’altra, lungo il discrimine europeismo contro antieuropeismo -; b- alleanza con Macron, per la costruzione di una nuova sovranità europea, che ci consenta di recuperare “potenza” per la Politica, altrimenti destinata ad un progressivo deperimento, per l’effetto del combinarsi di rivoluzione tecnologica e globalizzazione; c- semipresidenzialismo alla francese.
Questo è il contributo che LibertàEguale offre al PD e al campo del riformismo italiano, nella fase in cui esso è chiamato a mettere a punto la propria piattaforma politico/culturale e programmatica.
Qualche osservazione, su ciascuno dei tre aspetti della nostra proposta.
- Sul posizionamento politico. Si osserva: “sì, la linea di frattura europeismo versus antieuropeismo è culturalmente interessante e forse feconda. Ma è politicamente incidente? Essa trascura troppo il disagio sociale diffuso, cresciuto nella Grande Recessione”.
Alla base di questa osservazione, c’è un equivoco che va rimosso. La nostra proposta “parte” dalle cause profonde del disagio sociale, non “arriva” a considerarlo come qualcosa di cui “tenere conto”, sostanzialmente laterale rispetto al nucleo essenziale della strategia riformista.
Mi spiego meglio: cos’è il disagio sociale? Il lavoro che non c’è o, quando c’è, è di scarsa qualità, poco stabile e poco remunerato; la presenza dell’immigrato, avvertita come una minaccia dalla parte più debole della popolazione dei Paesi industrialmente avanzati, tra cui l’Italia; la crescente disuguaglianza, nelle società avanzate, tra chi ha troppo – l’1%, o addirittura lo 0,1% della popolazione – e chi sente di perdere ogni giorno qualcosa del suo benessere, del suo reddito, della sua serenità – la “scomparsa” del ceto medio –, sotto l’urto di una distruzione creatrice che distrugge qui e crea altrove, in un’altra parte del globo. E ancora: il collasso demografico, espressione di una vera e propria depressione delle aspettative degli adulti più giovani, spesso oppressi dai doveri di cura di anziani famigliari non più autosufficienti, con la collettività (welfare State) che non ha costruito strumenti adeguati né per la prima esigenza (aiuto alla genitorialità), né per la seconda (Amoretti e le proposte di intervento sul tema delle “badanti”). Ora, la nostra tesi è semplice, in sé: se vogliamo aggredire davvero le cause di questo disagio, dobbiamo prendere atto che la dimensione cui i riformisti del ‘900 si sono organizzati – e alla quale hanno costruito il loro “miracolo”, la loro “età dell’oro” – quella dello stato nazione europeo -, viene progressivamente perdendo forza: non c’è sovranità effettiva da “cedere” dalla politica nazionale alla politica europea.
C’è da ricostruire sovranità: per riprendere il governo dei confini; per tornare a garantire sicurezza; per impedire la concorrenza fiscale esasperata che prosciuga le risorse che finanziano lo Stato Sociale del modello europeo; per investire a lunghissimo termine in ricerca e formazione del capitale umano; per trattenere presso i lavoratori una più elevata quota del valore aggiunto che essi producono.
Noi dobbiamo pensare e costruire una nuova sovranità europea, come condizione del nuovo governo globale. Senza il quale potrà forse esserci compassione per il disagio sociale, ma non soluzione… E noi Riformisti siamo al mondo per trovare soluzioni, non per trovare colpevoli (come dicemmo qualche anno fa, qui ad Orvieto, discutendo di riformismo versus populismo, con una relazione di Antonio Funiciello).
Una seconda osservazione, in tema di posizionamento politico: “ma è poi vero che centrodestra e M5s – se vincessero – ostacolerebbero la partecipazione dell’Italia al processo di rilancio della UE? In fondo, hanno molto annacquato le loro posizioni anti-euro, non parlano più di referendum…”. Seguono immagini dei salamelecchi di Cernobbio, tra Di Maio e Salvini da una parte e l’élite economico-finanziaria dall’altra.
Cominciamo dal centro-destra. Stando le cose come stanno oggi, è il più probabile vincitore delle prossime elezioni. Il suo leader, Silvio Berlusconi, ha concesso una lunga intervista a Bruno Vespa (vi ricorda qualcosa?), sul programma. Cito tra virgolette: “Occorrerà una profonda riorganizzazione scientifica dello Stato, una forte riduzione della spesa pubblica e la possibilità di stampare una nuova moneta, che dovrebbe affiancare l’Euro”. (2 novembre 2017 – Panorama).
Questa è la risposta alla domanda: “dove pensa di trovare l’enorme mole di denaro necessario..”. Necessario per fare cosa? Ad esempio, per fare quello che Forza Italia e Lega hanno scritto nella loro risoluzione sulla NADEF: “modificare in maniera drastica e strutturale la riforma Fornero, al fine di abbassare l’età per l’accesso al pensionamento, reinserendo il sistema delle quote e le pensioni di anzianità”. Cioè: il leader del centro-destra – dopo tutti i sacrifici fatti non dai governi, ma dagli italiani, per rimettere sotto controllo la finanza pubblica – pensa di finanziare un fortissimo aumento di spesa pubblica stampando una seconda moneta, da usare per il mercato interno… E, si badi, questa proposta ha un ruolo centrale nella piattaforma del centro-destra: i rapporti di forza elettorali tra Lega e Forza Italia consentono alla prima di imporre condizioni che rendono il centro-destra italiano nel suo complesso incapace di svolgere in Italia la stessa funzione dei partiti del PPE. Quindi, gli impediscono di garantire la presenza dell’Italia tra i protagonisti del rilancio dell’Unione Europea. Di salire sul treno, che tra poco partirà, di Macron-Merkel.
Quanto al M5s, è presto detto. Risoluzione M5S al Senato su NADEF: “impegna il Governo a sospendere l’applicazione del pareggio di Bilancio e quindi il rispetto dell’indebitamento entro il 3% del PIL…”. Avete capito bene: a sospendere l’applicazione della Costituzione Repubblicana e a violare non il F.C, ma il Trattato di Maastricht.
Non c’è dunque alcuna forzatura propagandistica nel presentare le prossime elezioni Politiche italiane come la sede del confronto tra l’unico partito che vuole iscrivere l’Italia tra i protagonisti, con Francia e Germania, del processo di costruzione della nuova sovranità, da una parte; e Centro-Destra e M5s dall’altra, che hanno costruito il loro rapporto col Paese e, nel caso del Centro-Destra, la loro stessa esistenza come coalizione, su di una posizione che ci emargina in Europa e ci condanna all’ininfluenza….
Silvio Mantovani si è chiesto: “Bene. Ma fin dove possiamo spingere la critica all’Europa che c’è, se vogliamo mantenere questo posizionamento politico?”. È una buona domanda, che può trovare una buona risposta nelle concrete proposte di rilancio: se diciamo, per il presente e per il futuro, Comunità di Difesa e sicurezza… è perché critichiamo l’insufficienza del presente, nel quale spendiamo meno solo degli USA, ma più di tutti gli altri, per non avere uno strumento di difesa adeguato…
Se diciamo Project Bond, per finanziare infrastrutture materiali e immateriali europee, è perché pensiamo che regole fiscali che frenano la capacità di investimento dei singoli stati e contemporaneamente impediscono investimenti europei, privano l’Unione di uno strumento fondamentale per la promozione del suo sviluppo quantitativo e qualitativo…
Insomma, ci siamo capiti: la radicalità del processo di innovazione che proponiamo è più che sufficiente per far ben intendere il nostro giudizio sui limiti della Unione così com’è oggi…
Il Presidente Napolitano – che ancora ringrazio – ci ha invitato ad avanzare proposte “per una messa in questione e radicale trasformazione del Welfare europeo, dinanzi ad un larghissimo malessere sociale”. Accettiamo senz’altro l’impegno a lavorarci ancora, ma non credo che – anche in questo caso – noi si parta da zero. Tre esempi: 1- la proposta di Web Tax alla dimensione europea. Italia muove in questa direzione, con la Legge di Bilancio. 2- La proposta Padoan per uno strumento europeo di contrasto alla disoccupazione non strutturale. Anche a questo proposito, è indispensabile mutare radicalmente il punto di vista, come meglio dimostra il terzo esempio. I lavoratori dei Paesi più avanzati della UE soffrono le conseguenze della concorrenza di imprese dei nuovi Paesi della Unione che impiegano i loro lavoratori pressoché stabilmente da noi – in Italia, in Francia, in Germania -, ma pagano contributi sociali inferiori ad un terzo di quelli pagati dalle imprese italiane, francesi, tedesche. Fino ad oggi, la risposta che si leva è di chiusura: stroncare, impedire, ostacolare… .
Ha detto Macron: paghino gli stessi contributi, e noi ci impegniamo a trasferire tutto il gettito al Paese di provenienza di quegli stessi lavoratori.
Ecco cosa vuol dire cambiare il punto di vista, guardare a tutti i problemi aperti con occhio europeo…
Certo: condizione per avere successo è la nostra credibilità. Perché noi abbiamo riconquistato credibilità, nel contesto europeo, grazie al lavoro svolto dai nostri Governi Renzi e Gentiloni. Non è questione di parole o di messaggi: è stata ed è questione di risultati concreti, traducibili in numeri. Sia sul versante della crescita, sia sul versante del consolidamento fiscale. Sulla crescita, chiuderemo attorno al +1,7/1,8 una legislatura inaugurata in profonda recessione. Merito di fattori esterni, e della “flessibilità” accordataci in sede comunitaria? Certamente. E delle riforme strutturali, senza le quali (pensiamo alla legge Fornero di fine 2011) a- neppure la politica monetaria espansiva della BCE avrebbe potuto iniziare; e b- non avremmo avuto accesso ad alcuna flessibilità di bilancio.
Ma anche sul consolidamento fiscale: dalla procedura di infrazione per indebitamento eccessivo non siamo passati per caso ad un indebitamento inferiore al 2%. Abbiamo camminato con perizia sul sentiero stretto tra l’esigenza di rilancio economico e quella di stabilizzazione della finanza pubblica. Ed io penso – con Giorgio Tonini – che sia un serio errore ipotizzare di fuoriuscire ora da quel sentiero: il problema non può essere quello di “tornare a Maastrich”, cioè ad obiettivi quantitativi fissati a prescindere dal ciclo economico. Il problema è quello che abbiamo posto, coi Governi Renzi e Gentiloni: cambiare le modalità di calcolo del saldo strutturale, adottando soluzioni tecniche più simili a quelle usate dal FMI e dall’OCSE. E, soprattutto, il problema è quello di scrivere il nuovo Growth Compact, per quegli investimenti in ricerca, formazione e infrastrutture che solo il livello “federale” può sviluppare, se non lo possono i bilanci dei singoli stati membri.
Infine, un’ultima osservazione, in tema di riforma semipresidenziale dell’assetto politico-costituzionale. Quello che sta accadendo in Spagna, ci deve far riflettere sul fatto che l’autonomia e l’autogoverno di comunità regionali e locali sono un elemento essenziale della unità nazionale; e la rafforzano, perché vengono ogni giorno ricontrattate, all’interno delle regole costituzionali, tra soggetti entrambi dotati di forte legittimazione. Se questa ricontrattazione quotidiana si interrompe, dal lato dell’uno o dell’altro, la domanda di autonomia degenera in istanza di secessione.
Da questo punto di vista, trova piena giustificazione la soluzione adottata in Italia attraverso la specialità (pensiamo alla Regione Trentino-Alto Adige); e attraverso l’art. 116 terzo comma, per ciò che riguarda le Regioni a statuto ordinario. Un articolo che noi abbiamo scritto e inserito in Costituzione nel 2001 e che non è una minaccia all’unità, ma uno strumento per il suo rinnovarsi…
Ecco perché è perfettamente compatibile con lo sviluppo qualitativo della democrazia politica l’iniziativa della Regione Emilia Romagna e della Lombardia per forme particolari e più avanzate di autonomia…
È Zaia che strumentalizza, e fa cattiva propaganda, quando parla di “specialità”.
Come ha detto Stefano Ceccanti, c’è una condizione sine qua non: la pari legittimazione di chi contratta e ricontratta i termini della autonomia…
Il processo è esposto a gravissimi rischi solo se questa pari legittimazione non c’è. Per ben individuarli, possiamo essere aiutati da Schumpeter (Capitalismo, socialismo e democrazia): “si consideri la posizione del primo Ministro. Dove i governi sono instabili, come in Francia dal 1871 al 1940, è inevitabile che la sua mente sia quasi completamente assorbita da un problema simile a quello di costruire una piramide con palle di biliardo”. Ecco perché c’è bisogno della riforma propostaci da Ceccanti…
Presidente di Libertà Eguale. Viceministro dell’Economia nei governi Renzi e Gentiloni. Senatore dal 1994 al 2013, è stato leader della componente Liberal dei Ds, estensore del programma elettorale del Pd nel 2008 e coordinatore del Governo ombra. Ha scritto con Giorgio Tonini “L’Italia dei democratici”, edito da Marsilio (2013)