“Deliberate provocazioni, ma stanno facendo quel che avevano detto: rinazionalizzare tutte le politiche e far arretrare l’Ue”
Intervista a Enrico Morando di Eugenio Fatigante – Avvenire
Da fine politico oltre che economista (è stato viceministro dell’Economia negli ultimi governi a guida Pd), Enrico Morando scorge un preciso disegno in tutto ciò che sta accadendo in queste convulse settimane: «Vedo profilarsi il rischio, molto serio, che i due partiti della maggioranza abbiano già messo nel conto gli effetti negativi delle scelte che stanno compiendo. Fino a prefigurare una rottura traumatica della legislatura, che potrebbe divenire la base per trasformare l’incerto bipolarismo italiano in un bipolarismo Lega-M5s, marginalizzando le altre forze».
È questo il loro fine ultimo?
Credo di sì. Sono partiti diversi, ma hanno una comune impostazione di cultura politica: un’idea del recupero di sovranità che passa per la rinazionalizzazione di tutte le politiche, con l’unico residuo del mercato comune. Non vogliono cambiare l’Europa per renderla più efficace, ma introdurre un sostanziale passo indietro.
La preoccupa lo scontro con l’Ue?
Qui o siamo in presenza di un comportamento irrazionale o di una razionalità che risale però ai programmi elettorali. La responsabilità, quindi, non è loro che avevano detto dall’inizio cosa volevano fare, con ancor maggiore chiarezza nella prima versione del contratto di governo, quella poi mascherata e cambiata, ma della sottovalutazione di quanti pensavano che, in fondo, non lo avrebbero fatto davvero.
Cosa la colpisce di più di questa Nota di aggiornamento?
L’aspetto più clamoroso, e grave, è quello delle pensioni. Il governo si mostra consapevole, nel focus sulla spesa previdenziale che riprende il precedente Def di aprile del governo GentiIoni, che l’intervento di stabilizzazione delle uscite fatto negli ultimi anni è stato fra i più efficaci in Europa ma che, al tempo stesso, il sistema è tornato parzialmente instabile dopo il peggioramento dei dati demografici e di produttività nazionali. Tuttavia, solo poche pagine dopo, si parla della “quota 100”, con 62 anni d’età e 38 di contributi, e dell’impegno a integrare le pensioni esistenti al valore della soglia di povertà relativa, a 780 euro. Misure che, come minimo, costano 10 miliardi in più. Un’incoerenza che dà l’idea che si voglia innescare la reazione di coloro che devono dare un giudizio, a partire dai mercati. Sembra una deliberata provocazione. Persino sul deficit il governo usa l’espressione chiave di “deviazione significativa” dal piano di rientro.
Vede rischi dietro l’angolo?
Il rischio è davvero drammatico: potremmo vanificare in pochi mesi tutti i sacrifici che abbiamo fatto per arrivare a un ritmo di ripresa non adeguato, ma comunque significativo.
Come giudica l’operato del ministro Tria?
Francamente non può essere positivo. Ha smentito la sua stessa azione costruita nei mesi estivi. La sua perdita di credibilità è oggettivamente drammatica. Quale interlocutore potrà fidarsi di lui?
Cosa risponde a chi dice che il Pd non può opporsi a una manovra che aumenta sussidi e pensioni?
Dico che rispettare le regole della Costituzione, a partire dall’art. 81, è fondamentale per una forza di sinistra che voglia cambiare. Perché la violazione delle regole fa venir meno la credibilità di un Paese, che rischia così di deperire senza risolvere davvero i problemi della gente. Con le promesse demagogiche si possono vincere le elezioni, ma poi i fatti si prendono la rivincita.
Non crede all’effetto espansivo dimettere più soldi in circolo?
Sarà molto limitato nel breve periodo, può persino diventare negativo nel medio. Un effetto tonificante sulla crescita si potrebbe avere facendo spesa in deficit ma con altre finalità, indirizzate agli investimenti pubblici e al sostegno fiscale di quelli privati.
Non trova positiva nemmeno la lotta alla povertà?
Il fatto è che il vero contrasto può venire solo dalla crescita e dal lavoro. A partire dalla pressione fiscale che va abbattuta ancora di più, ma che la stessa Nadef riconosce che al netto degli 80 euro è calata di ben 2 punti negli anni del centrosinistra.