di Umberto Minopoli
I militanti gridavano “unità, unità”. I dirigenti in piazza covavano la divisione. La loro ignavia è di aver impostato il dopo Renzi su due binari:
- liberarsi del passato del Pd tra il 2013 e il 2018 (Zingaretti) e
- rispondere al risultato del marzo 2018 con l’autocritica e le scuse sulla politica seguita dai governi del Pd (Martina, domenica).
Così il Pd si spacca. E non per volontà di Renzi.
Se la ‘nuova maggioranza’ (sembra) del Pd impone un congresso di vendetta e restaurazione (tornare al prima di Renzi) il Pd è, definitivamente, finito. E andrebbe abbandonato.
La piazza di domenica dovrebbe servire all’opposto:
- a chiudere un dibattito interno introverso, ossessionato dall’assillo anti Renzi, dalla idea di un congresso di scontro e divisione;
- a cambiare l’odg del Pd e del congresso: tornare alla politica. Che, in questa fase, è quella dell’opposizione. Dura ma efficace al governo gialloverde. E senza più distinzioni tra gialli e verdi.
La piazza di domenica dice “opporsi si può”. Il dovere del Pd sarebbe smetterla con le vendette e le conte su Renzi, liquidare un congresso ridotto a Primarie per chiudere con Renzi e passare alla politica. Ma qui emerge il nodo: il Pd più che su Renzi è diviso sulla politica. Liquidare Renzi è solo una copertura che serve solo a burocrati, mediocri e inconsistenti, per gonfiare ambizioni di leadership o a dorotei in sonno per tornare alle manovre ministeriali da Prima Repubblica.
La vera divisione è, invece, politica e strategica. E’ bene lo sappiano i militanti che invocano “unità”. E ruota su una domanda: “il Pd vuole fare opposizione effettiva a questo governo?” Se lo chiede con chiarezza un lucido e convincente editoriale di Angelo Panebianco.
Opposizione effettiva significherebbe:
1. smetterla con ogni illusione di dialogo con il M5S. E non per la loro subalternità a Salvini (come ha detto noiosamente il Pd sino ad ora), ma perché sono loro – e la loro piattaforma assistenzialistica e distruttiva dell’economia – il vero motore del disastro populista;
2. fare appello ad allargare l’opposizione, ben oltre i confini del Pd;
3. cominciare a delineare un’alternativa al governo, con nuove alleanze.
C’è un centrodestra (dentro e fuori Forza Italia) che non vuole finire in braccio a Salvini. E’ fatto non solo di politici forzisti ma di imprenditori, artigiani, professionisti, cittadini ed elettori (specie al Nord) delusi del governo e impauriti dal cedimento di Salvini all’assistenzialismo e all’avventurismo dei 5 Stelle.
E’ qui che va allargato il Pd: ad una nuova coalizione, rivolta a tutta l’opposizione possibile. Altro che riunire il piccolo e confuso centrosinistra. Dove dominano, su tutto, l’ubriacatura ideologica per il movimentismo dei Cinquestelle e la retorica contro la destra: anche quella liberale e di opposizione.
E’ ad un altro mondo che occorre fare appello. Non a LeU e ai fuoriusciti. Ai militanti va detta la verità: se volete un partito unito dovete liberarlo da questa mostruosità politica, dal fantasma del dialogo con i Cinquestelle e dalla resa ai confini ristretti e perdenti del centrosinistra. Confrontiamoci sulla politica non sui nomi per il segretario.
Presidente dell’Associazione Italiana Nucleare. Ha lavorato nel Gruppo Finmeccanica e in Ansaldo nucleare. Capo della Segreteria Tecnica del Ministro delle Attività Produttive tra il 1996 e il 1999. Capo della Segreteria Tecnica del Ministro dei Trasporti dal 1999 al 2001. Consigliere del Ministro dello Sviluppo Economico per le politiche industriali tra il 2006 e il 2009.