di Umberto Minopoli
Il Censis, il Pd, il centro… Da anni la fotografia annuale del paese del Rapporto Censis ci accompagna come una vecchia abitudine.
Il rapporto Censis
Per anni è stato un Rapporto un po’ irritante. Descriveva un paese indolente, un po’ bolso, pacioso, menefreghista, adagiato, rassicurato nella perpetrazione di un benessere precario e mediocre, alimentato dal debito pubblico, dalla bassa crescita, dalla tassazione alta, dalla produttività nulla e dalla scarsa qualità dei servizi.
Ma, tutto sommato, sopportabile e illusoriamente omeopatico, da effetto placebo. Questo paese, tranquillamente conservatore, moderato, distaccato, consenziente (che, per quelli che votavano, si divideva, quasi sempre con le stesse percentuali, tra centrodestra e centrosinistra senza passioni radicali).
La società della ‘cattiveria’
Vivevamo, però, su una bolla. Che, per tanti motivi, è esplosa. La fotografia del Censis del 2018 cambia la scena. Descrive una società insicura e in cui cresce la “cattiveria”, l’egoismo, la disgregazione corporativa, l’individualismo, la xenofobia, la paura dell’altro. Pulsioni talmente insofferenti che rendono disponibili molti, scrive il Censis, persino ad avventure reazionarie.
Esagerazioni? E’, comunque, la descrizione della vittoria gialloverde (ma anche, forse, di quello che avviene in tutta Europa): il paese si radicalizza, vincono gli estremismi, prevale la rabbia.
Che c’entra il Pd? C’entra. Nella radicalizzazione della società la politica democratica ha perso il “centro”. Vale per il centrosinistra come per il centrodestra. Centro è, nelle società aperte, il luogo della moderazione, del cambiamento tranquillo, del riformismo gradualista e concreto, dell’ottimismo politico, dei programmi “miglioristi” (si devono migliorare non rivoluzionare i nostri stili di vita). Con la leva della crescita economica. Che è l’unica via che rende sopportabile il cambiamento. E’ questo che si è perso. Sinistra e destra liberali, sbandate, si sono messe ad inseguire la radicalizzazione. E così stanno diventando prigioniere dei populismi.
La via riformista
Ma, dicono molti, la via riformista, il Pd di Renzi e la sua narrazione hanno perso le elezioni. Dunque: di che parli? E’ vero.
Ma siete sicuri che la sconfitta indubbia del riformismo implichi la sua archiviazione? Siete sicuri che l’autocritica e l’abbandono del riformismo salvi il paese? Salverà forse la coscienza (fragile) dei burocrati di partito che pensano con l’autocritica e l’abbandono del riformismo, di mettersi in corrente con la società che si radicalizza. Ma non salva il paese.
Perché sta emergendo il problema vero, oggettivo, inevitabile della radicalizzazione: l’impossibilità dei populisti ad essere forza di governo. Essendo somma di rabbia, protesta, corporativismo, opposizione di tutti a tutto e a tutti, suggestioni, promesse, pulsioni estremiste su ogni cosa, il populismo non riesce, oggettivamente, a governare. Non può governare.
Il populismo non riesce a governare
Non può realizzare i suoi programmi: contraddittori, incompatibili con l’economia e la realtà, che dividono il suo stesso elettorato. Solo 6 mesi di governo populista e il paese è nel caos.
Siete convinti, ripeto, che il riformismo (e i governi del Pd, i 5 anni di Renzi) pur con la sconfitta del 4 marzo, debba essere abbandonato?
Non è il caso, invece, di far percepire la differenza tra gli anni del riformismo e il caos attuale? Con più coraggio e dignità? Non e’ ridicolo, penoso, disarmante dinanzi allo stato della società italiana oggi, al caos gialloverde, ai fallimenti del populismo in soli 6 mesi, ai pericoli della degenerazione (la “disponibilità all’avventura” eversiva di cui parla il Censis) che i dirigenti del Pd si dividano o discutano su “come prendere le distanze da Renzi”? O su “che fa Renzi, che ha in testa Renzi”?
Renzi va rivalutato
Pensate, piuttosto, ad utilizzare i 5 anni di Renzi come modello alternativo al caos in cui ci hanno messo: valorizzate e rivendicate il riformismo come unica alternativa all’ingovernabilità populista.
Più coraggio e più orgoglio. Crescete! Io, da parte mia, faccio un esperimento mentale (di quelli che piacevano ad Einstein, scusate l’immodestia): provo a immaginarmi Conte, Salvini e Di Maio capi del governo e un tipetto, risoluto, incontenibile, iperattivo, incalzante, alla Renzi insomma, capo dell’opposizione, al posto della nebbia attuale.
Secondo voi non devo rodermi dal rimpianto? Dicono che Il Pd voglia fare il governo ombra. Ecco: proponete a Renzi di presiederlo
Presidente dell’Associazione Italiana Nucleare. Ha lavorato nel Gruppo Finmeccanica e in Ansaldo nucleare. Capo della Segreteria Tecnica del Ministro delle Attività Produttive tra il 1996 e il 1999. Capo della Segreteria Tecnica del Ministro dei Trasporti dal 1999 al 2001. Consigliere del Ministro dello Sviluppo Economico per le politiche industriali tra il 2006 e il 2009.