di Carlo Fusaro
Si parla di leggi elettorali più che delle formazioni delle squadre di calcio. Diciamolo una volta per tutte: non è serio e non è normale. Soprattutto non è giusto: serve a ben vedere solo al patetico tentativo di sollevare le proprie responsabilità da parte di alcuni leader di partito.
E lo dice uno che a questa roba c’ha dedicato la vita e – negli anni Novanta – anche tanta militanza e tanto impegno civile (la stagione dei referendum elettorali). Pentito? Nemmeno un po’: anche perché le leggi Mattarella (che avevano alcuni difetti) stavano funzionando alla grande quando Berlusconi, Casini (sì, il candidato indipendente Pd a Bologna) e Fini con Calderoli decisero di cambiarla a proprio uso e consumo: con la stessa identica logica che fa dire a molti, Letta in testa – ahimé, che la Legge Rosato (quella vigente ora) andrebbe cambiata. Berlusconi ieri e Letta oggi temevano la vittoria degli avversari (ieri Prodi oggi Meloni e compagnia), che formule maggioritarie avrebbero ovviamente enfatizzato (servono apposta!).
Da allora (dal 2005) è invalsa la malsana idea che si possa e convenga giocherellare con le leggi elettorali. Senza mai raggiungere (ovviamente!) una stabilità.
Perché ovviamente? Perché vedete NON esistono leggi elettorali belle o brutte in assoluto: sono tali rispetto agli scopi che si propone chi le fa (e quindi chi le vuole cambiare). E siccome questi cambiano (e cambiano perché ora sono attesi vincitori questi, ora sono attesi vincitori quelli!) e cambia il quadro delle convenienze c’è sempre qualcuno che pensa di guadagnarci e qualcuno che pensa di rimetterci (a lasciare le cose come stanno o a cambiarle).
Risultato: nessuna legge elettorale si salva dall’entrare nell’occhio del ciclone da parte di chi la vuol cambiare (perché gli conviene, in genere). Il grande Sartori vituperò del tutto ingiustamente le leggi Mattarella: ma fu un caso anomalo, non aveva altra convenienza che perseguire il suo favorito modello uninominale a doppio turno (le Mattarella erano a turno unico). Poi Berlusca e c. ci dettero la legge Calderoli (con difetti e pregi, più i primi dei secondi, a mio avviso, ma tant’è) e cominciò la canea dei nominati e del c.d. Porcellum. Ci si mise nel mezzo la Corte costituzionale (invasione di campo clamorosa quanto mai e che non le si potrà mai perdonare) e Renzi riuscì a introdurre Italicum. Sembrava a molti di noi un grande passo avanti: e invece di nuovo la Corte e un coro di critiche (a posteriori). Si temeva che vincesse Grillo al secondo turno (era a doppio turno). L’intervento della Corte obbligò (sì: obbligò: quel che restava dalla sentenza 35/2017 era inutilizzabile senza una nuova legge) a ricambiare. E fu la legge Rosato (dopo alcuni tentativi sabotati da questo o quel partito in Parlamento).
Ora la Rosato si dà il caso che sia di tutte (inclusa quella del 1948) la legge elettorale con il più alto grado di consensi parlamentari (Pd, Forza Italia, Lega e minori). La meno partigiana. Ma partigiana lo era anch’essa: fu così voluta non tanto per salvare il maggioritario possibile (ridotto a ⅜) ma per permettere alle destre e alle forze intorno al Pd di fare coalizioni e battere così il M5S (che era al 29% nei sondaggi e aveva avuto un 25% nel 2013), che era il singolo partito all’epoca più forte.
Dopo di che si è passata la XVIII legislatura a dire quanto brutta fosse la legge Rosato, in realtà soprattutto a sinistra: dove si cominciava a temere un successo delle destre. Dopo averla voluta, complice il M5S che la proporzionale l’aveva sempre voluta (da partito alieno dalle coalizioni) si è cercato di cambiarla appunto per una proporzionale al 100%. E’ diventata la sentina di tutti i mali. Certo che al Pd di Zingaretti (e poi Letta) la proporzionale piaceva: a) per non far vincere le destre; b) per allearsi dopo il voto con il M5S (che a un bel pezzo di Pd e di suoi elettori non è mai andato giù).
Fu così che si prese a pretesto la riduzione dei parlamentari: che in sé per sé con la legge elettorale non c’entra. Divenne la scusa. Ma la revisione proporzionalistica non fu mai perseguita con determinazione: primo, perché a un pezzo di Pd (figlio del maggioritario: remember Veltroni?) non piaceva; secondo e soprattutto perché le destre già in vantaggio nei sondaggi non avevano nessuna intenzione di cedere quei ⅜ di seggi maggioritari che pensavano di poter vincere (non sbagliando a quanto pare).
Ora se ne sentono di tutte e di più. E spiace che sia anche Letta a mettersi su questa strada, tra l’altro accusando Renzi che di tutto può essere accusato ma non di essere colui che ha voluto (se non come extrema ratio, da segretario del Pd e non più presidente del consiglio: c’era Gentiloni) a tutti i costi proprio la Legge Rosato (Italicum, ben diversa, era la sua legge elettorale: che gli italiani respinsero insieme alla riforma costituzionale). Vedere del resto le dichiarazioni dei vari esponenti Pd all’epoca (gira un’intervistina illuminante di Orlando, non proprio un seguace di Renzi).
Il fatto è che se uno non ha i voti è inutile che se la prenda con la legge elettorale. Punto. Con i consensi che i sondaggi attribuiscono alle tre destre io fo fatica a immaginare una legge elettorale che impedirebbe loro di governare. Certo: la componente maggioritaria (dei ⅜) favorisce chi ha più voti distribuiti omogeneamente o quasi sul territorio nazionale, ma è appunto quel che si voleva in nome della stabilità di governo! Garantire a chi vince un surplus di seggi per consolidare la sua posizione in Parlamento.
Il sogno di certi leader sembra essere quello di avere una legge elettorale che li premi quando contano di vincere e che punisca gli avversari non facendoli vincere o facendoli perdere quando temono di avere meno voti di loro. Ma una legge elettorale così non esiste e non esisterà mai. Per fortuna. E basta prendersela con la povera Legge Rosato e con chi la votò: non gli icsos perbacco ma destre a parte, quelli stessi per i quali ora è diventata il peggio del peggio (ma il peggio dipende dal fatto che non sono in grado – certo non per colpa loro o solo loro – di costruire coalizioni vincenti). Ma non è che per questo si debba avere una legge elettorale che faccia perdere tutti. Via: il minimo sindacale di onestà intellettuale ci vuole (o siamo tutti Berluschini?).
Presidente del Comitato scientifico di Libertà Eguale. Già professore ordinario di Diritto elettorale e parlamentare nell’Università di Firenze e già direttore del Dipartimento di diritto pubblico. Ha insegnato nell’Università di Pisa ed è stato “visiting professor” presso le università di Brema, Hiroshima e University College London. Presidente di Intercultura ONLUS dal 2004 al 2007, trustee di AFS IP dal 2007 al 2013; presidente della corte costituzionale di San
Marino dal 2014 al 2016; deputato al Parlamento italiano per il Partito repubblicano (1983-1984).