di Stefano Ceccanti
Intervento sulla pregiudiziale di costituzionalità al decreto Ucraina
Il testo di questa pregiudiziale dei colleghi di Alternativa, che slitta da un’impostazione di opportunità su cui si erano incentrati finora i dibattiti ad una di legittimità, mi ha fatto venire in mente una nota pagina dei Promessi Sposi, quella in cui Don Abbondio, impaurito dai bravi, cerca delle scuse per evitare di celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia. “Sapete voi quanti siano gl’impedimenti dirimenti?” “Che vuol ch’io sappia d’impedimenti?” “Error, conditio, votum, cognatio, crimen, cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, si sis affinis, …” cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita. “Si piglia gioco di me?” interruppe il giovine. “Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?” (I Promessi Sposi – capitolo 2).
Quali sarebbero qui secondo i colleghi gli impedimenti dirimenti, derivanti in ultima analisi dall’articolo 11 della Costituzione?
Ce ne sarebbero tre.
Evito di dedicare troppo tempo al secondo e al terzo, perché dovrebbe essere loro noto che un decreto-legge è fonte equiparata alla legge e si può quindi bene con un decreto successivo derogare ad una legge precedente e dovrebbe essere loro ancor più noto che in quest’Aula, la settimana scorsa, martedì 1 marzo, vi è stata una preventiva autorizzazione, preventiva rispetto al decreto interministeriale come richiesta dal testo del decreto-legge, con la risoluzione Crippa ed altri, nello specifico al suo punto 3, che seguiva peraltro all’informativa della settimana precedente in cui l’orientamento di un’ampia maggioranza dell’aula era già evidente.
Il punto chiave è però il primo. Per il gruppo di Alternativa non sarebbero sufficienti le cause di legittimità previste dall’articolo 51 della Carta dell’Onu, la delibera a larghissima maggioranza dell’assemblea Generale del marzo, gli articoli 3 e 4 del Trattato Nato decisioni del Consiglio europeo del 28 febbraio che si collocano nell’European Peace Facility. No, per i colleghi l’apertura al multilateralismo, alle limitazioni di sovranità a cui l’articolo 11 ricollega il ripudio della guerra, si avrebbe solo con una delibera formale del Consiglio di Sicurezza. Ma che si fa se uno qualsiasi dei componenti del Consiglio con diritto di veto è aggressore o complice di aggressori? Ci si dovrebbe arrendere? Renzo non si arrese alla lista degli impedimenti dirimenti di don Abbondio e non lo faremo neanche noi. Non abbiamo paura dei Bravi e non siamo equidistanti, come non si può mai essere tra aggressori e aggrediti. L’ordinamento che richiede l’articolo 11, quello che deve assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni, non è fatto né di paure né di omissioni. E’ fatto di responsabilità. Quella che ci assumiamo come Parlamento, gentile ambasciatore della Repubblica Russa che ha scritto ai nostri colleghi della commissione difesa per ricordarci appunto che saremo ritenuti responsabili.
Ce la assumiamo questa responsabilità perché questo Parlamento non ha paura dei bravi. Non è don Abbondio. E questo Parlamento sa come diceva Bonhoeffer che la responsabilità vera non è quella che nasca da cause astratte ma dal servizio alle persone, specie se oppresse.
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.