di Stefano Ceccanti
Il momentaneo (si spera) blocco dei lavori del Senato causa Covid ripone con urgenza il tema del Parlamento a distanza, ovvero del poter autorizzare, a determinate condizioni, la partecipazione a distanza, voto compreso ma non solo, a distanza dei parlamentari impediti. Tema ampiamente approfondito ad inizio emergenza e risolto in quei termini da pressoché tutte le più importanti assemblee parlamentari, escluse le nostre, per un conservatorismo culturale che ha francamente dell’inspiegabile.
E’ bene ribadire anzitutto come questa decisione sia nella piena disponibilità delle Assemblee parlamentari. Non esiste nessuna norma costituzionale, ordinaria o regolamentare, che impedisca un tale esito. Se proprio si vuole, è possibile intervenire per tempo con un rapido intervento regolamentare che ne precisi limiti e condizioni.
Pressoché tutto è stato detto nei mesi scorsi. E’ bene però fare un’importante aggiunta.
In queste ore, anche di fronte a una possibile concentrazione di casi in uno dei gruppi di maggioranza al Senato, quello del Movimento Cinque Stelle, ci sarà chi riproporrà soluzioni pragmatiche, come il bilanciamento pro quota delle assenze. Sarebbe cioè sufficiente, ad esempio, far assentare dieci senatori dell’opposizione di fronte ad altrettanti impediti della maggioranza.
Ora, per carità, il pragmatismo, il fair play reciproco, non è certo da disprezzare. Tuttavia esso non può tutto, specie se si verifica uno squilibrio permanente in uno dei gruppi che non può essere risolto volta per volta perché quel gruppo verrebbe danneggiato in modo stabile particolare e, ancor più, se si considera quanto potrà e dovrà accadere nei prossimi mesi.
In seguito alla riduzione dei parlamentari sono in programma una serie di votazioni per le quali sono richiesti quorum particolari, per i quali sono richieste maggioranze rafforzate che potrebbero non essere raggiunte a causa degli impedimenti. Vi è il voto finale sull’elettorato attivo ai diciotto-venticinquenni al Senato che richiede quanto meno la maggioranza assoluta dei componenti di Camera e Senato, ma meglio sarebbe (come possibile) raggiungere i due terzi. Si inizia poi il percorso della riforma costituzionale Fornaro sulla riduzione dei delegati regionali per eleggere il Presidente della Repubblica e per il superamento della base regionale che avranno bisogno di analoghi quorum nella lettura finale. Sono preannunciate significative riforme dei Regolamenti parlamentari che hanno bisogno della maggioranza assoluta dei componenti.
Come se già non bastasse possono anche essere necessarie ulteriori autorizzazioni per il debito che ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione hanno anch’esse bisogno della maggioranza assoluta (anche se sinora quello è stato terreno consensuale, niente assicura che lo sarà anche per il futuro) e lo stesso quorum è richiesto anche per le leggi applicative dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 166 terzo comma della Costituzione su cui il dibattito è ripreso.
Possiamo rischiare votazioni falsate? Possiamo eludere la semplice verità secondo cui è meglio un voto a distanza che nessun voto per parlamentari oggettivamente impediti?
Davvero, su questo tema, se non ora, quando si inizierà a ragionare?
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.