di Giorgio Tonini
Leggo che il nuovo Comitato costituente del Pd intende riscrivere il Manifesto fondativo del Pd.
Quello scritto nel 2007 (approvato dal Congresso dei Ds e da quello della Margherita e poi sottoscritto dai 3 milioni e passa di elettori che votarono alle primarie costituenti del Pd ed elessero Walter Veltroni primo segretario del nuovo partito) non andrebbe più bene. Sarebbe troppo intriso di “liberismo”.
Non solo: sarebbe anche “brutto, bolso, illeggibile, fatto di parole d’ordine, burocratese”, dicono i nuovi giganti del pensiero, protagonisti di questa svolta epistemologica della sinistra occidentale.
C’è una certa ironia della storia nell’abiura, anzi nella stroncatura, di un Manifesto scritto da un comitato di saggi nominato da Romano Prodi (e di cui faceva parte, tra gli altri, un certo Sergio Mattarella), ad opera di un nuovo comitato nominato da Enrico Letta.
Da più parti mi chiedono di replicare, in qualità di componente del vecchio comitato.
Ho risposto che ci ha già pensato Marx: “Hegel osserva da qualche parte che tutti i grandi avvenimenti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa” (Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte).
Attenti, amici e compagni ri-costituenti: dal Manifesto al Nanifesto, il passo è breve.
Consigliere provinciale a Trento e presidente del gruppo del Partito Democratico del Trentino. Componente della Presidenza di Libertà Eguale.
Senatore dal 2001 al 2018, è stato vicepresidente del gruppo del Partito democratico in Senato, presidente della Commissione Bilancio e membro della segreteria nazionale del Pd.
E’ stato presidente nazionale della Fuci, sindacalista della Cisl, coordinatore politico dei Cristiano sociali e dirigente dei Democratici di Sinistra.
Tra gli estensori del “Manifesto per il Pd”, durante la segreteria di Walter Veltroni è stato responsabile economico e poi della formazione del partito.