di Simona Bonafè
Un costoso supersondaggio o il momento in cui i cittadini europei sono finalmente chiamati, più che a votare per il rinnovo del parlamento europeo, a compiere una riflessione seria sul senso e il valore di stare in una comunità di 500 milioni di abitanti? Che cosa sono le elezioni di domenica prossima? Che cosa vogliamo che siano?
Nonostante quanto si sente affermare in giro, credo che in queste elezioni europee si sia parlato di Europa molto più di quanto era accaduto cinque o dieci anni fa, forse non ancora abbastanza ma certamente più del passato.
Il motivo è semplice: con l’affermazione dei partiti euroscettici in molti Stati membri della Ue, le ragioni stesse dell’Unione sono state messe un po’ ovunque in discussione. Ognuno ha i suoi Salvini e Di Maio verrebbe da dire, e il palco sovranista affollato sabato scorso a Milano – affollato molto più della piazza – testimonia che una riflessione approfondita è in corso.
Negli stessi programmi elettorali di partiti europeisti come il Pd in Italia non si mette infatti in dubbio l’asserto che una profonda ristrutturazione dell’unione, una sorta di tagliando, è indispensabile. Il cui punto di partenza imprenscindibile è però la presa di coscienza, senza cedere al conservatorismo, della bontà del cammino effettuato e il valore della permanenza in Europa. Sentimento peraltro acquisito nella gente comune più di quanto noi stessi crediamo, come evidenziano anche le recenti rilevazioni demoscopiche dell’Eurobarometro.
Sono in molti a contestare l’Unione europea, ma il senso di una coscienza europeista è radicato. E qui viene fuori la contraddizione di una narrazione antieuropeista, specie quella salviniana, che ha le gambe corte, come le bugie: la Lega parla a un mondo di piccoli imprenditori e a ceti produttivi che senza l’Unione europea non potrebbe esportare, si troverebbe esposta più di quanto non lo sia alla concorrenza dall’estremo oriente, sarebbe in ballo di una moneta fragile come lo fu la Lira degli anni Settanta.
Salvini mente sapendo di mentire quando ricorda il saldo negativo dell’Italia nei confronti dell’Unione europea citando solo il dare/avere tra contributi versati a Bruxelles e fondi strutturali che tornano indietro, e non cita i vantaggi commerciali che la stabilità della moneta ci garantisce, il volano economico che i fondi rappresentano, la facilità negli scambi rappresentata dalla mancanza di barriere e di dazi. Gli uffici studi dell’Unione hanno quantificato tali benefici in una quarantina di miliardi di euro all’anno, a fronte di tre o quattro di saldo negativo tra entrate e uscite dirette. Che dite, ci possiamo stare?
Ecco, è da questa considerazione che deve partire ogni discorso sul “rinnovamento” dell’Europa. E basti osservare le difficoltà che gli inglesi incontrano nell’uscire dall’Unione. Loro che pure non sono nell’area euro.
Si fanno tanti discorsi, ma poi arrivati al dunque ci si accorge che i benefici sono di gran lunga maggiori dei presunti sacrifici e il valore stesso di questa nostra istituzione è testimoniato da quanto altre grandi potenze concorrenti sul piano geopolitico si danno da fare per contrastarci. Mi riferisco per esempio alla Russia di Putin, i cui sforzi economici per mettere i bastoni tra le ruote all’Unione sono ormai evidenti nei finanziamenti davvero poco trasparenti che arrivano ai partiti sovranisti.
D’altra parte, c’è qualche politico italiano sano di mente davvero disposto a dire a uno dei nostri giovani che non può più iscriversi ai programmi Erasmus, a chiedere ai milioni di italiani che ogni hanno vanno all’estero di tornare a munirsi di carta d’identità e passaporto per passare in Francia, Austria o Slovenia, a spiegare a un imprenditore che deve pagare come una volta tasse di importazione ed esportazione per commerciare con la Germania o l’Olanda, ad annunciare il ritorno delle tariffe telefoniche o aeree di quando serviva un mezzo mutuo per parlare con l’estero o volare un weekend a Parigi?
Ci rendiamo conto che senza l’Unione europea la battaglia del futuro, quella della salvaguardia del nostro Pianeta, è persa in partenza? Come pensiamo di tutelare la qualità dell’aria, la salute dei nostri cibi sempre più internazionali, di salvaguardare la pulizia dei nostri mari con una legislazione solo nazionale? Come pensiamo di governare la globalizzazione mettendo intorno ad un tavolo i grandi player internazionali per scrivere nuove regole? Come pensiamo di mettere in campo strumenti di protezione sociale di fronte ad un mondo del lavoro che ha cambiato i connotatati e che oggi vede in prima linea i grandi colossi multinazionali?
Il mondo è andato avanti, e l’Unione europea fa parte di questo mondo per dirci che non possiamo guardarci alle spalle.
Eurodeputata del Partito Democratico. Candidata Pd-Siamo Europei per le elezioni europee 2019