di Marco Leonardi
La recente sentenza del consiglio di stato che mette in dubbio la legittimità dell’affidamento dei lavori per il polo strategico nazionale (l’infrastruttura tecnologica che mette in comune tutti i dati della PA) non deve necessariamente mettere in dubbio l’utilizzo dello strumento del partenariato pubblico-privato (PPP). Anche perché, grazie a una norma PNRR, la sentenza contrariamente al solito non blocca l’esecuzione dei lavori. Bisogna usare però alcuni caveat.
Quando un ente pubblico non ha abbastanza soldi o competenze specifiche per costruire un’opera pubblica, può utilizzare il PPP invece del tradizionale contratto di appalto. Nel PPP pubblico e il privato cofinanziano un’opera pubblica e poi il pubblico paga il privato per la gestione successiva. Il PPP è stato utilizzato per realizzare numerosi investimenti (alcune tratte autostradali, metropolitane, ospedali, parcheggi, termovalorizzatori, ecc.) e alcuni importanti progetti del PNRR, come ad esempio il Polo Strategico Nazionale, la piattaforma di Telemedicina, le infrastrutture tecnologiche del Ministero dell’Università, piuttosto che l’efficientamento energetico del Teatro alla Scala di Milano, l’Ospedale Gaslini di Genova, ecc.
Il PPP – se usato bene- può aiutare l’Italia a superare le difficoltà di spesa per investimento che la caratterizza. Purtroppo però in alcuni casi, il ricorso al PPP è stato fonte di ritardi, di contenziosi o di potenziali default dei bilanci degli enti locali, alimentando perplessità sulla possibilità di uso dello strumento stesso. Il PPP è uno strumento complesso in cui l’ente pubblico per guadagnarci deve essere in grado di mettere i rischi dell’opera (il rischio di costruzione ma anche quello di domanda cioè se l’opera avrà un numero insufficiente di utenti paganti) in capo all’operatore privato. Questo spesso non accade perché i legittimi profitti dei privati prevalgono sull’interesse pubblico e i contratti di PPP tendono ad essere più vantaggiosi per i privati che per la PA. Spesso nella Pubblica Amministrazione mancano competenze specialistiche e figure professionali dotate di approccio manageriale, tecnico-ingegneristico, legale, finanziario etc. per affrontare progetti di PPP. Per di più in alcuni comuni può esserci anche la tentazione di scaricare i costi sulle giunte successive.
Facciamo un esempio di un PPP recente: la linea metropolitana 4 del comune di Milano finanziata con una partecipazione pubblico-privata e costruita da un consorzio di imprese che insieme al Comune hanno costituito una “società veicolo”, un esempio virtuoso non solo dal punto di vista tecnologico ma anche di gestione del progetto. Eppure ora il calo post-covid del tasso di utilizzo delle metropolitane (insieme al rifiuto del Comune di scaricare i costi sul biglietto al pubblico) rende più difficile la sostenibilità finanziaria del costo del canone annuo che il Comune deve ai privati (circa 100milioni di euro). Non è la prima volta che succede che i contratti di PPP si firmano con previsioni di utenza più alte di quelle che poi si realizzano e, siccome questo rischio non è stato condiviso con il privato, alla fine la PA si trova o a dover aumentare le tariffe per gli utenti o a pagare a piè di lista per compensare il calo delle entrate.
Se non si avesse avuto bisogno dei capitali privati nella fase di costruzione forse questo problema si sarebbe evitato. In molti altri paesi il PPP si usa non tanto per il cofinanziamento dei privati ma per avere la loro expertise tecnologica e per la gestione successiva alla costruzione. Questo sarebbe possibile anche in Italia dove i soldi per investimento adesso non mancano. Si potrebbe utilmente valutare di ricorrere a forme di PPP anche per la programmazione degli interventi del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) per il ciclo 2021-2027, al fine di concepire i progetti in un’ottica integrata che comprenda anche la gestione, con specifici livelli di performance definiti dal partner pubblico già in fase di progettazione. Un’ulteriore spinta all’utilizzo del PPP può venire dalle comunità energetiche rinnovabili (CER) nelle quali l’incentivazione alla produzione di energia verde incoraggia anche la condivisione o l’autoconsumo dell’energia.
Ma prima bisogna risolvere il problema della convenienza pubblica del PPP e purtroppo non basta, anche se è un buon segno- il nuovo Codice degli Appalti che dedica un intero nuovo Libro al PPP e alle concessioni (il libro IV), rendendo le procedure effettivamente più attrattive, oltre che per gli operatori economici e le amministrazioni, anche per gli investitori istituzionali. Per poter usare il PPP, anche nei progetti più piccoli, bisogna essere sicuri che la PA che firma il contratto abbia ottenuto condizioni di vantaggio nell’utilizzo del denaro pubblico per sé e per le generazioni successive. Per i progetti più grandi serve una valutazione preliminare, indipendente e centralizzata, che verifichi che il progetto sia conveniente tanto per il privato quanto per il pubblico.
Pubblicato sul Foglio il 2 novembre 2023
Professore di economia politica all’università degli Studi di Milano, si occupa di disoccupazione e diseguaglianze. E’ stato tra gli anni 2015 e 2018 membro del comitato tecnico di valutazione della Presidenza del Consiglio e consigliere economico del Presidente Gentiloni. Ha scritto un libro sulle riforme di quegli anni dal titolo “le riforme dimezzate, perché su lavoro e pensioni non si può tornare indietro”, EGEA 2018. Fa parte della Presidenza Nazionale di Libertà Eguale.